Capitolo 42

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L'imbarazzante quanto enorme cuore che, stava disegnato accanto al numero quindici nel mese di novembre,voleva significare solo una cosa.
Paulo oggi avrebbe compiuto ventiquattro anni , e sebbene in settimana avesse finto di non tenerci, alla fine ero consapevole che ci teneva e come.
Alicia e Mariano non avevamo preso un volo di sedici ore da Buenos Aires per Milano e poi altre due ore di macchina da Milano a Torino per niente, perché altrimenti ero quasi certa che se ne sarebbe stata tranquilla a casa ad aiutare sua suocera a fare le conserve di pomodoro, quelle per cui Paulo andava pazzo. La galleria fotografica del telefono della bellissima signora argentina, era piena zeppa di foto del figlio che lo ritraevano in ogni momento della sua vita e della sua quotidianità.
Per giorni avevo ragionato su questo aspetto, i miei genitori per quanto mi amassero e facessero di tutto per dimostrarmelo,rendendomi a volte una bambina e ormai giovane adulta viziata, non erano mai stati cosi ossessionati da me; potevo contare sul fatto che non andassero per le vie di Torino a mostrare foto imbarazzanti della loro figlia o almeno lo speravo.
Ci tenevano alla mia vita e alle belle esperienze che avrei dovuto collezionare affinché un giorno avrei potuto prendere gli album dei miei ricordi e avrei guardato a quelle vecchie foto con il sorriso ma, mai erano stati particolarmente apprensivi nei miei confronti,nonostante fossi la loro unica figlia e nonostante avessi rischiato la vita non più di quattro anni fa.
Quando quella mattina, al rientro dalle mie quasi ferie estive, Alicia aveva bussato alla mia porta, avevo allo stesso tempo permesso a questa donna di portarmi un po nella sua vita e di trascinarla un po nella mia.
Mentre parlava dei suoi figli aveva gli occhi che le brillavano dell'amore immenso che solo le mamme possono provare per i loro bambini perché, li sentono propri come parti del loro corpo che ad un certo punto le abbandonano ma che mai lo faranno per davvero.
Senza che io conoscessi personalmente ne Mariano ne Gustavo ,avevo intuito da quello che raccontava che erano  persone diverse, ognuno con i propri sogni nella vita e qualcuno più fortunato dell'altro.
Nell'esatto momento in cui il pensiero del figlio minore le attraversava la mente, le sue rughe si spianavano e la pelle iniziava a brillarle come un diamante sfaccettato.
Ne avevo percepito l'immenso amore e le foto avevano confermato quanto, il sogno del figlio se da una parte la inorgogliva perché lo vedeva felice a fare quel che voleva e perché sicuramente non aveva scelto di fare il soldato nelle guerre afghane ma, dall'altra parte le evidenti ore di volo che la separavano da lui, le gravavano sulle spalle come pesanti macigni che sorreggeva perché solo chi è mamma sa cosa significa scendere a compromessi con i sogni dei propri figli.
Digitai velocemente il suo numero sulla tastiera del mio cellulare e attesi che mi rispondesse.
-pronto?- mi rispose immediatamente e pensai che avesse il telefono tra le mani in attesa che qualcuno si ricordasse che oggi era il giorno del suo compleanno. Tipo me quando avevo cinque anni e ogni sette di Aprile mi sentivo l'erede al trono di Inghilterra,anche se poi la regina Elisabetta di morire no ne vuole sapere.
Povero il figlio Carlo.
-ciao nonno,come stai?- lo presi in giro e lui mi restituì indietro una delle sue risate migliori
-un modo originale per farmi gli auguri- ci teneva eccome, già me lo immaginavo tutto contento a girare per casa sentendosi il presidente D'America o il re della savana, mentre sua madre innamorata persa di lui, lo viziava come ogni qualvolta veniva a trovarlo, sia che fosse il suo compleanno sia che non lo fosse.
-mamma Dybala ti ha già cucinato gli alfajores?- aspettava questo momento da giorni interi e non mancava mai l'occasione per sottolineare quanto fossero estremamente buoni.
Ad una certa mi era venuta una voglia cosi assurda che persa nelle più assurde pazzie della mia mente avevo persino pensato di provare a farle, salvo poi ricordarmi che a casa non avrei avuto gli ingredienti e per questo un motivo valido  c'era.
La pasticceria non faceva per me!
-non ancora, qui sono le cinque del mattino e mia madre è andata a letto mezz'ora fa- aveva perfettamente ragione e mi chiedevo come fosse sveglio se ancora aveva del tempo per riposare prima degli allenamenti.
-e tu perché sei sveglio?- gli chiesi
-perché conoscendoti sapevo che non avresti pensato al fuso orario e mi avresti chiamato e cosi saresti stata la prima persona a farmi gli auguri- sorrisi della cosa e desiderai potergli dare un bacio leggero ed augurargli una vita felice non solo una giornata felice.
-me la lascerai una fetta di torta?- stavo avvertendo un senso di tristezza che si stava impossessando di me.
Sapevo che questa sera avrebbe festeggiato con tutti i suoi amici ed era stato gentile quanto pazzo ad invitare Mat che si preparava da giorni come se stesse per sfilare in passerella.
-si, se non se la mangia tutta Gonzalo- risi di cuore e mi immaginai il volto del Pipita imbrattato di panna e crema pasticciera.
-tutto pronto per stasera?- benché fosse adulto e quelli che stava per compiere non erano ne due ne quattro ma ventiquattro anni, si era recato in un negozio da articoli regalo e si era comprato i palloncini pieni di elio e la torta che si era scelta doveva contenere tutte e ventiquattro le candeline, perché una sarebbe stata poco e probabilmente perché voleva spolmonarsi nel tentativo di spegnerle tutte senza evitare che queste si sciogliessero sulla torta stessa o che,nei casi peggiori, avrebbe preso fuoco una delle sue infinite camice costose che sfilavano in fila indiana, appese ordinate in delle grucce rigorosamente nere,dentro la sua cabina armadio.
-si, c'è persino il tuo posto vuoto accanto a Mat,mi ha assicurato che porterà una tua foto che potrò mettere sul piatto- l'idea era macabra e fortunatamente sapevo che scherzasse perché diversamente Mat ne avrebbe pagato le conseguenze.
-Halloween è già passato da giorni- il porta penne, colmo di chissà quante penne non funzionati che,mi ostinavo a non buttare quasi soffrissi di horror vacui cioè la paura del vuoto, era diventato interessante e utile a distrarmi dai continui pensieri che inevitabilmente mi portavano a voler desiderare un'unica cosa:
Ritornare a Torino.
Ero consapevole che tra i motivi principali se non il principale in assoluto, c'era Lui e l'affetto che provavo verso di lui, qualcosa che mi spaventava per quanto era enorme e che definirlo amore sembrava sminuirlo perché, di amore in giro ce ne era troppo e non era vero.
Chiunque ,in questo momento, sarebbe potuto entrare da quella porta e avrebbe visto in che condizioni verteva il mio stato d'animo, come se dall'altro lato del mondo stesse per celebrarsi l'evento dell'anno o che stessero per firmare un trattato di pace nel mondo e io, rappresentante dell'ONU fossi rimasta incastrata in questo posto che, tutto poteva far avvertire tranne che la sensazione di essere ingabbiati.
Parlammo al telefono per almeno altri trenta minuti, discutendo di cose inutile e divertendomi a sentirlo ridere e blaterare su come avvertisse la sensazione di sentirsi più vecchio di un anno.
-hai solo ventiquattro anno e ti lamenti come mia nonna che ne ha ottantadue- che poi mia nonna,non si lamentava neanche perché era consapevole che i dolori che avvertiva fossero normali e dovuti alle ossa che nel tempo le si erano usurate per tutte quelle volte che da giovane aveva percorso la strada a piedi, sia che il tempo fosse soleggiato sia che fuori ci fossero appena due gradi, per raggiungere la fabbrica tessile dove lavorava.
Da piccola, quanto tornavo dalle scuole elementari e mio nonno veniva a prendermi,aspettandomi fuori dal cancello, mi portava a casa loro e dopo aver mangiato un piatto abbondante di pasta in bianco con l'olio, mi sbrigavo più che potevo a finire i compiti perché dopo la nonna, si sedeva davanti alla sua macchina da cucito e accorciava o sistemava i vestiti di alcune signore.
Era bello starsene seduta al suo fianco,ad osservare come le sue mani,ancora giovani ed agili, si muovessero con maestria e intagliassero e cucissero cosi perfettamente che sebbene mio padre, suo figlio, non avesse scelto la carriera da sarto, aveva sicuramente imparato da lei l'arte del taglio e de cucito.
Quando chiusi la chiamata il mio volto riflesso nel piccolo schermo del cellulare aveva un non so che di malinconico.
Nonostante non sarei stata fisicamente presente, avrei continuato a pensare a lui anche da qui, come da abitudine ormai.
Fortunatamente per me, il lavoro era da sempre stato un amico e tuffarmici a capofitto era stato il miglior diversivo di sempre, soprattutto quando tutto quello che mi capitava a tiro mi riportava inevitabilmente a lui, come se fossi in quella squallida pubblicità sul canale 8 in cui Enrico Papi continuava a dire :"vedrai solo otto" ,io invece vedevo solo Paulo.
Fuori dalle porte del mio ufficio, sentivo il rumore di tacchi che sbattevano continuamente sul pavimento e ad essi si accompagnava il rumore della macchinetta del caffè che ,distribuiva brodaglia spacciandola per quella che in Italia era come la linfa vitale degli uomini.
Le mie giornate lavorative ,ultimamente, erano ricche di impegni che mi portavano fuori dalle mura del mio ufficio e ogni volta, la fuori tutto appariva come un nuovo livello da superare per raggiungere poi, quello che sarebbe stato lo step finale.
Sono giovane e ne sono consapevole;del mondo del lavoro devo ancora scoprire molto e della vita probabilmente non ho ancora scoperto nulla ma, la fame di riempire la mia mente di tutto quello che mi circondava, bello o brutto che sia stato e che sarà , mi spingeva e continua a spingermi ad andare avanti in tutte le situazioni che mi si presentano davanti.
Forse,è questo quello che mi ha avvicinata per primo a Paulo; questa continua sintonia che si crea tra di noi e che è possibile percepirla come se fosse una carezza sulla pelle.
Se provassi a chiudere per un attimo i miei occhi, saprei che lui non si aspetterebbe da me nient'altro di quello che sa di poter ottenere.
Nella vita si fanno delle scelte o forse è la vita stessa che sceglie per te, perché bisogna che ci sia una selezione naturale e perche, non tutti possiamo e fortunatamente siamo uguali.
Ho incontrato persone che scelgono di coltivare gli affetti, di costruirsi una famiglia a cui dedicare tutto il loro tempo, impegnandosi a coltivare le relazioni umane come se fossero bellissimi tulipani nel giardino del loro cuore.
Altre persone, decidono di fare tutt'altro, forse perché non sono capaci ad esternare i propri sentimenti e molto più perché, la carriera per quanto difficile sia da ottenere e qualcosa che rimane tua e poche cose possono variarla, non come i sentimenti che invece sono in continua mutazione, come se fossero le stagioni.
Ed io?
Io, mi trovavo in una situazione di mezzo perché me lo hanno sempre detto: "in medio stat virtus" cioè: "a metà sta la virtù".
Mi considero una donna libera a cui piace contare nel mondo del lavoro, una persona che la mattina si alza e sa che una parte del mondo,anche se piccola, conta sul suo buon operato; poi però sapevo che se non avessi avuto qualcuno da cui ritornare a casa anzi, qualcuno per cui ritornare a casa, la mia vita sarebbe diventata vuota e nemmeno le soddisfazioni lavorative sarebbero state in grado di colmare questa sensazione e quindi, volevo la carriera ma volevo una famiglia con cui poter crescere ed invecchiare, colorando la mia vita e rendendola perfetta.
Paulo anche se ancora così giovane, aveva già ottenuto grandi risultati dalla sua magnifica carriera; avrebbe giocato per altri dieci anni e poi dopo, forse avrebbe continuato a stare sul campo in diverso modo, forse ad allenare le squadre giovanili perché era nato per fare questo, per stare circondato dalle persone.
È come il sole, tutto gira inevitabilmente attorno a lui.
Nonostante possedessi una macchina con cui potermi muovere in totale autonomia, fin dal primo istante avevo preferito muovermi con i mezzi, in primis perche ero convinta di impiegarci la metà del tempo e poi perché, adoravo confondermi tra le gente che mi circondava e provare ad immaginare la vita che questi ultimi vivevano.
Il momento migliore, di questi miei viaggi in metropolitana , era quando mi sedevo nel posto libero e osservavo di sottecchi il volto delle persone che continuavano a salire e scendere lungo tutte le fermate.
La maggior parte erano giovani ragazzi e ragazze, alcuni erano turisti e parlavano nella loro lingua mettendosi in risalto dentro quel piccolo spazio in cui il silenzio veniva interrotto dall'abbaiare di qualche cane o dal pianto di qualche bambino.
Quando scendo alla mia fermata, muovo velocemente i piedi stando attenta a non incrociarli e sopratutto a mantenere l'equilibrio,nonostante la gente si muova a blocco trascinandoti dietro con se.
Da qualsiasi parte della città tu ti muova, bisogna fare attenzione ai dettagli per accorgersi che ci si è effettivamente spostati da una parte all'altra.
Gli edifici sembrano tutti gli stessi e le enormi strade sono sempre così super affollate che, talvolta risulta veramente difficile osservare le vetrine dei negozi.
Il grande palazzo con le pareti fatte di acciaio e vetro a specchio, si eregeva enorme di fronte ai miei piedi e l'imponente porta di ingresso, lasciava intravedere gli interni.
Quando entrai dentro venni accolta da una bellissima ragazza che mi sorrise e compresi subito il perché l'avessero assunta.
Se non sai sorridere purtroppo non vai da nessuna parte.
-salve, sono Ginevra Meneghini e sono venuta perché avevo un appuntamento con Andrea Pirlo- annui immediatamente e da sotto il bancone che ci separava, aveva tirato fuori un badge e aveva scritto sopra il mio nome con un pennarello nero.
- è al quarantunesimo piano in una riunione straordinaria, se vuole può salire subito e la faranno attendere li, altrimenti può prendere qualcosa al bar al secondo piano- aveva una voce morbida e dolce; nonostante non ci fossi mai stata mi sentivo ben accetta e a mio agio.
-grazie- la salutai porgendole la mano che strinse immediatamente.
L'ascensore non era presente e quanto avevo pigiato per portalo indietro al primo piano, i numeri si susseguivano velocemente non come in Italia, quando l'ascensore fermo al decimo piano che, prima di arrivare al piano zero si faceva notte.

Fino Alla FineWhere stories live. Discover now