Capitolo 26

818 59 34
                                    

Le lacrime cadono ormai copiose sulle sue guance. Istintivamente allungo una mano verso il suo viso e quando lei si scosta velocemente, quasi temesse che potrei ferirla, sento una pugnalata al cuore. 

«Volevo solo asciugarti le lacrime» sussurro, ritraendo la mano. Clarissa sembra accorgersi solo ora delle lacrime che le bagnano il viso. Si asciuga le guance con le maniche della felpa e torna a fissare lo sguardo sul suo libro, sfuggendo da me.

Quanto male le ho fatto? Riuscirò mai a farmi perdonare? Mi appoggio con i gomiti sul banco e mi prendo la testa tra le mani.

«Mi odi? È per questo che mi hai restituito il bracciale? Per questo ti sei fatta rimuovere il tatuaggio?» chiedo in un sussurro, temendo la risposta.

«Il bracciale rappresentava una promessa che non hai mai mantenuto. Mi hai tradita, Ethan. Mentre io combattevo per te e per noi contro tutti e tutto. Non significava nulla per te... e non significa più nulla per me. Così come il tatuaggio. Pensi davvero che avrei potuto passare il resto della mia vita con quella bugia marchiata sulla mia pelle?» mi chiede con la voce velata di disprezzo.

«Non hai risposto alla mia prima domanda» le faccio notare, ignorando gli sguardi curiosi degli altri ragazzi su di noi.

«No, Ethan, non ti odio. Nonostante tutto non ci riesco, perché ti ho amato tanto come non amerò mai nessun altro».

Queste parole riaccendono in me un barlume di speranza... che lei si affretta a spegnere: «Ma odio l'amore che ho provato per te. Perché era un inganno. Quando ho avuto davvero bisogno di te, tu dov'eri, eh?» mi ringhia contro, facendosi pervadere ancora dalla rabbia.

Un inganno? Quello che provo per lei è la cosa più vera che esista... come fa a non capirlo?

Si alza e raccoglie in fretta e furia le sue cose, scappando via dall'aula detenzione, ignorando i richiami del professore. Ovviamente mi ci vuole meno di un secondo per decidere di rincorrerla, ignorando a mia volta le minacce del professore di raddoppiare la punizione.

Corro lungo il corridoio deserto, seguendo la sua sagoma in lontananza, mentre la rabbia prende il sopravvento.

Dov'ero? Ero lì, dannazione!

La raggiungo in men che non si dica e la fermo trattenendola per il polso. Il suo volto è una maschera di lacrime, dolore e rabbia.

«Ti prego, Ethan... lasciami andare» mi supplica. E so benissimo cosa intende dire.

«Vuoi sapere dov'ero, eh? Vuoi saperlo?» le grido contro, dando sfogo a tutta la frustrazione che mi porto dentro da quella notte.

«Non eri accanto a me, e questo mi basta» mormora lei.

«Io ero lì! Ero accanto a te in ospedale! Aspettando che ti svegliassi. Pregando che tornassi da me, che aprissi gli occhi. Anche solo per darmi del coglione come ti piaceva tanto fare! Finalmente ero dove dovevo essere: al tuo fianco» le rivelo finalmente. Vedo l'incertezza balenare sul suo viso.

«No... non è vero» mormora incredula.

«Sì, invece. Sono corso in ospedale appena hanno portato la tua auto al garage. Non hai idea di come mi sono sentito appena ho visto la tua macchina. Ero certo di averti perduta per sempre, che non avrei mai più rivisto il tuo viso arrossire, i tuoi occhi illuminarsi di quella scintilla di vita che ti caratterizzava e che io stesso ho spento con la mia stupidità. Ti ho osservata per ore, per tutto il tempo che mi è stato concesso per stare con te. Eri così pallida, immobile su quel maledetto letto d'ospedale. Non ho mai avuto così paura in vita mia. Non ho fatto altro che parlarti, chiedendoti perdono per ogni errore, ogni parola sbagliata, supplicandoti di svegliarti, di tornare da me».

Tienimi nel cuoreWhere stories live. Discover now