Capitolo 51

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C'è un'atmosfera inquietante nell'appartamento questa notte. Siamo rimasti appena un mese e mezzo ma ormai lo avevamo reso nostro. Vederlo così vuoto, senza più i vestiti di Cole sul divano o il laptop di Condor perennemente acceso sul bancone della cucina.

Mi pare di riuscire a sentire l'eco dei miei pensieri mentre me ne resto seduto da solo sull'enorme divano a fissare il muro spoglio dove prima c'era la tv. Dovrei riposare come stanno facendo gli altri nelle rispettive stanze, preparandomi per il lungo viaggio di ritorno che ci aspetta all'alba, ma non ci riesco.

Sono ancora sveglio, sdraiato sul divano a fissare il soffitto, quando sento bussare con forza alla porta d'ingresso. Guardo l'ora sul cellulare. Chi accidenti può essere alle tre di notte? Mi metto subito a sedere con il cuore che comincia a correre. Potrebbe essere... ?

Corro alla porta d'ingresso con una speranza che brucia dentro, ma che si spegne appena spalanco la porta e mi ritrovo davanti niente meno che Liam. Non riesco a trattenere una smorfia contrariata alla sua vista. Tuttavia non posso fare a meno di chiedermi perché sia venuto qui.

«Che cazzo ci fai qui nel cuore della notte?»

«Io...» comincia Liam, interrompendosi subito per poi sbattere ripetutamente la testa contro lo stipite della porta.

«Devo chiederti un favore» riesce infine a confessare. Ogni parola sembra costargli uno sforzo enorme.

«Se vuoi chiedermi di stare lontano da Clarissa... allora non devi preoccuparti. Domattina lascio la città. E quindi adesso me ne torno a letto, dato che mi aspetta un lungo viaggio» gli rispondo irritato, cercando di chiudergli in faccia la porta ma che lui blocca prontamente.

«No. Non puoi andartene» esclama, quasi in tono di supplica.

Riapro piano la porta e osservo attentamente Liam e la disperazione sul suo viso. Qualcosa non va. Ed è qualcosa di serio e che mi mette subito in allerta.

«Che cazzo succede?» gli chiedo allora. Liam si tira i capelli tra le dita mentre volge lo sguardo al soffitto. Posso vedere i suoi occhi luccicare sotto le flebili luci del pianerottolo.

«Sarà meglio entrare». Gli faccio cenno di accomodarsi. Lui annuisce piano ed entra a capo chino.


Liam, seduto al bancone della cucina, accetta con mani tremanti la bottiglietta d'acqua che gli porgo. Prendo posto davanti a lui e lo osservo attentamente: ha la fronte imperlata di sudore, lo sguardo inquieto e le labbra tese.

«Che succede, Liam?» lo esorto allora. Mi guarda negli occhi per dei lunghi istanti, poi le sue spalle si afflosciano mentre lascia uscire tutta l'aria dai polmoni.

«Non credo di averti mai raccontato molto di mio padre» comincia, giocherellando con il tappo della bottiglia. Rimango in silenzio, dandogli il tempo di parlare, ma con un pessimo presentimento.

«Mio padre è un bastardo. Intendo nel vero senso del termine. È sempre stato un delinquente fin da quando ero bambino. Quando si ubriacava picchiava mia madre, ma solo quando ha cominciato ad alzare le mani su di me lei ha trovato il coraggio di lasciarlo. E di questo lui mi ha sempre incolpato. Mi ha sempre ritenuto la causa di ogni suo fallimento».

Mi lancia un'occhiata di sottecchi, poi riabbassa lo sguardo e ricomincia a parlare piano: «Dopo il divorzio, non abbiamo più saputo nulla di lui. Sapevamo solo che si era trasferito in Nevada. Non ho più avuto sue notizie finché mia madre non è morta in un incidente d'auto. Allora si è rifatto vivo ed ha ottenuto la mia custodia, nonostante le azioni legali intraprese dai miei zii. Appena l'ho rivisto, ho capito che non era più il piccolo delinquente alcolizzato che ricordavo. È venuto a prelevarmi a casa scendendo da un lussuoso SUV, vestito in un impeccabile abito elegante blu e accompagnato da un paio di guardie del corpo. Non scorderò mai quel giorno...». Prende un altro sorso d'acqua e si passa una mano su viso.

Tienimi nel cuoreWhere stories live. Discover now