25 - Pride

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LILI

Sbuffo quando mia sorella mi tira l'ennesimo calcio e mi alzo a sedere sul letto, che nonostante sia matrimoniale, percepisco come troppo stretto e piccolo.

Barb mi sta attaccata come una cozza e in questo momento non riesco nemmeno ad immaginare quanto alta sia la temperatura del suo corpo.

Sembra una stufa.

"Lili? Lili!"

"Sono qui, pidocchio, sono qui" rassicuro la mia gemella, che già si stava agitando cercandomi nel buio. Lascia cadere le braccia - con cui prima tentava di toccarmi per capire se le fossi ancora accanto - sul materasso, provocando un tonfo rumoroso.

"Pensavo che fossi tornata da Cole..." sussurra sollevata dal fatto che io sia tuttora con lei, e mi scappa un sorriso nel notare che anche io nei giorni precedenti le ero mancata.

Nonostante la vorrei strangolare per avermi quasi fatto prendere un infarto e per non avermi nemmeno avvisata che sarebbe tornata in Alabama, non posso fare altro che accarezzarle i capelli.

Purtroppo la causa contro Heath, già dall'inizio, non era andata bene e quando i miei avevano scoperto che era venuto fin qui, non avevano aspettato molto per far partire una denuncia contro di lui. 

"Quel bastardo ha difeso il suo figlioletto di nuovo... alla faccia della giustizia" chiudo gli occhi, quando la figura del padre di Heath torna nitida nella mia memoria.

Tale padre tale figlio, come si suol dire.

"Non ho prove e bla bla bla, come se la mia deflorazione fosse una cazzata"

"Ti ha ferita nel peggiore dei modi, e come sempre nessuno ha intenzione di fare niente!" Esclamo arrabbiata, mentre mia sorella sospira sconsolata.

So che lei ormai ha perso tutte le speranze, dopo due anni di continue porte chiuse in faccia non puoi fare altro, ma sono disposta a fare di tutto affinché ottenga l'equità che merita.

"Sai la prima cosa che ho pensato quando mi sono svegliata quella mattina?" Mi giro verso di lei - guardandola a fatica a causa del buio pesto che ci circonda - quando dopo alcuni momenti la sua voce riecheggia tra le mura spoglie della stanza per gli ospiti di Beck.

Mi sporgo verso il comodino e accendo l'abat-jour, che un tempo era della nonna della mia amica.

La rappresentazione di quei due gatti che si fanno le fusa a vicenda e che si coccolano in modo così dolce mi rilassa ogni volta che la guardo.

Mi volto di nuovo nella direzione della mia gemella, che per i quindici secondi nei quali abbiamo riacquistato luce, è rimasta a fissare un punto fisso della camera in silenzio.

Quel suo profondo, emblematico - e a volte perfino preoccupante - silenzio, che racchiude tutto e niente.

"Sono una puttana" afferma dopo qualche altro attimo. Alzo il capo e la guardo insistentemente negli occhi; sarei tentata anche di gridare per la rabbia e per il senso di colpa che sento crescere sempre di più dentro di me, ma riesco a trattenermi. "Ecco quello che ho pensato quella notte. Di essere una puttana" schiudo le labbra.

Vorrei dirle tante cose, urlare per l'odio che tutta questa situazione mi fa reprimere da anni ormai. Vorrei alzarmi, correre fino ad arrivare ad Orange Beach, fino ad arrivare davanti a casa sua per sbraitargli contro che non merita neanche di essere definito uomo, per distruggerlo come lui ha fatto con l'unico punto fisso della mia vita; ma mi ritrovo solo a piangere, mentre contemplo lo sguardo stanco, ma forte, del mio pidocchio.

impara a conoscermi | SPROUSEHARTWhere stories live. Discover now