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Capitolo LIII

*Zayn's Pov*


Avevo passato due ore della mia vita dentro la cella di un carcere. Due ore immerso nell'agonia delle urla e dei lamenti strazianti di chi voleva andare via o di chi era finito lì ingiustamente. 

Chiusi gli occhi e appoggiai per la decima volta le spalle alla parete fredda e ruvida. Ero così sicuro che lei mi avrebbe salvato... era mia madre, non avrebbe mai potuto buttarmi in carcere, guardandomi negli occhi e ustionandomi con le sue parole fredde e più ruvide del muro su cui ero appoggiato. Ma l'aveva fatto... dimostrandomi davvero che per lei ero un capitolo chiuso. E forse avrei dovuto chiuderlo anche io quel capitolo, voltare pagina o cambiare direttamente libro, tanto per evitare ancora di offrire la mano, ritrovandomi però senza un braccio. Ma era così difficile. Non potevo allontanarla ancora. 

Così, dopo due esasperanti ore passate a piangermi addosso, ad incolparmi, a dirmi quanto possa essere stato idiota da aver creduto nella piccola crepa sulla sua maschera, decisi di lasciare tutto nelle mani del destino. Se fosse venuta a tirarmi fuori da lì, allora l'avrei perdonata, sennò avrai strappato la pagina e l'avrei fatta volare al vento, come la piccola Giuly faceva con i petali di rosa bianca. Solo che i miei erano macchiati di rosso e quel rosso era così denso che non indicava l'amore, ma il peccato. Ed ero stanco di essere macchiato anche del peccato degli altri.

- Malik, hanno pagato la cauzione per tirarti fuori da qui - mi alzai di scatto, credendo davvero nel destino e scappando da quella cella. In mente avevo già scritto un discorso di scuse da rivolgere a mia madre, l'avrei abbracciata, le avrei sussurrato quanto potessi amarla e che avevo fatto tanti errori nella mia vita, ma mai quello di andare fin sotto casa sua per cercarla. Mi sarei fatto arrestare altre dieci, cento e miliardi di miliardi di volte ancora pur di riaverla con me.

I miei piedi si incollarono al suolo. Lo sguardo fisso nella figura che nervosamente passeggiava in cerchio percorrendo a grandi falcate la piccola sala d'attesa. Fui sicuro di sentire il cuore vacillare, staccarsi da ogni appiglio e rotolare tra i polmoni, collassando. Gli occhi mi si riempirono di nuovo di lacrime e il fiato accelerò come se stessi correndo una maratona. 

Non appena la donna mi notò, corse verso di me, lanciandomisi addosso e abbracciandomi forte.

- Mi hai fatto preoccupare da impazzire Zayn! Non fare più simili sciocchezze, va bene? -

Singhiozzai forte sulla spalla e ricambiai il forte abbraccio. - Ti voglio bene, Johannah- mormorai, pensando davvero di essere sul punto di svenire.

- Sono scappata via da casa, avevo temuto il peggio! Anche nonno Sean si è spaventato quando gli ho detto che stavo venendo a prenderti qui -

- Mi dispiace - singhiozzai, non riuscendo a guardarla negli occhi - Ho solo commesso un altro grande errore -

- Ti va se andiamo a casa? Hai passato due ore lì dentro e scommetto che desideri tornare indietro. Poi mi spieghi cosa ci facevi qui! Ehi basta piangere, va tutto bene tesoro -

- Ti restituirò ogni soldo che hai speso per me, giuro! - 

- Zayn... non m'importa della cauzione. Ferma le tue lacrime, adesso ci sono io qui e sei di nuovo a casa. Non permetterò più che ti riportino là dentro. Vieni con me, dai. Fa freddo e hai le mani gelate -

Johannah staccò l'abbraccio e mi condusse fuori dalla struttura grigiastra del comando di polizia.

- Non hai incrociato qualcuno di familiare mentre venivi qui? - le chiesi, con un pizzico di speranza nel cuore.

- No tesoro, mi dispiace - scosse la testa e mi spinse delicatamente la mano sulla schiena, istigandomi a muovermi perchè fuori c'era davvero freddo.

Non appena arrivammo davanti la macchina e Johannah entrò frettolosamente perchè il vento freddo colpiva come schiaffi sul viso, mi guardai un po' attorno sperando di vedere la macchina di mia madre oppure di vedere Liam. Mi sfuggì un ultimo debole singhiozzo, poi entrai in macchina, senza voltarmi indietro e aspettando che Johannah mettesse in moto la macchina per partire via. 

- Che ne dici di riposare un po' mentre io guido? E' tardi e sembri davvero sfinito... - senza lasciare gli occhi dalla strada, trasportò la sua mano sui miei capelli, scompigliandoli un po' e sorridendomi. Mi sentivo un bambino, quando dopo una delle tante marachelle, la mamma finiva per perdonarti e accarezzarti la testa, istigandoti a non fare più una cosa del genere, ma sorridendoti e trasmettendoti amore. 

- Prima voglio provare a chiamare Liam... - frugai nella tasca dei jeans, trovandola vuota. Sgranai gli occhi e mi voltai verso Johannah. - Ho dimenticato di prendere gli oggetti personali che mi avevano requisito! - la donna rise e scosse il capo - Ci ho pensato io. Sono nella mia borsa, dentro una busta di plastica -

- Non voglio frugare nella tua borsa - ammisi, scuotendo il capo.

- Zayn, ormai sei uno di famiglia, come un altro figlio per me, quindi apri la mia borsa e prendi ciò che ti serve - mi sorrise ancora affettuosamente, e il cuore scricchiolò sotto il peso del dolore. Perchè Trisha non poteva amarmi in questo modo? 

Cercando di non pensare a nulla, aprii la borsa di Johannah e vi frugai dentro, tirando fuori il portafogli, un mazzo di chiavi di quella che era diventata la mia nuova casa e il mio cellulare. Posai la busta di plastica sulle mie gambe, mentre accendevo il telefono per rintracciare Liam. Purtroppo, la vocina antipatica della segreteria mi aveva detto che il telefono non era raggiungibile e che avrei dovuto lasciare un messaggio dopo il beep. Aspettai qualche minuto prima di provare a chiamare di nuovo, ma niente.

- Sono preoccupato - mi lasciai sfuggire e Johannah si voltò velocemente e brevemente verso di me.

- Perchè? - chiese, incurvando le sopracciglia.

- Liam ha il cellulare staccato e l'ultima volta che l'ho visto è stata due ore fa -

- Zayn non voglio pressarti, ma necessito sapere cosa ci facevi qui e cosa è successo. Cosa significa che hai tentato di entrare nella casa di uno sconosciuto? -

Sospirai e fermai il tremolio alle mani. Il nervosismo mi stava sbranando l'anima, ma Johannah meritava di sapere tutto, ogni dettaglio della mia vita, perchè lei mi aveva le porte della sua casa e mi aveva sempre trattato come un secondo figlio. Non potevo mentirle, mentre lei mi salvava costantemente il culo.

- Okay, io ti racconto tutto, ma tu non devi dirlo a nessuno... -

- Sono un pozzo, Zayn. Tutto quello che mi dici rimarrà dentro di me, così nel profondo che non potrà mai uscire fuori - dopo avermi sorriso ancora, lasciai che le parole fluissero via, in un miscuglio ordinato di soggetti, complementi, verbi e aggettivi.

Non ci volle molto che finissi di raccontare tutta la storia, anche se eravamo pure arrivati a casa, ma mi aveva fatto bene parlare con Johannah. Mi capiva, mi dava consigli e soprattutto ascoltava tutto quello che avevo da dire. Comprensiva e dolce. Avrei voluto avere quella donna per mamma. Ero sicuro che lei non mi avrebbe mai lasciato o buttato in galera.

- Zayn, noi mamme possiamo pure prendercela con il mondo e arrabbiarci per un po', ma mai per tutta la vita. Credimi, arriverà il momento in cui Trisha tornerà sui suoi passi e dovrà confrontarsi con il passato. Ha paura, è spaventata, ma non può escluderti dalla sua vita -

- Lo ha già fatto... tu... dovevi vedere il suo sguardo mentre diceva ai poliziotti di portarmi via. Ero convinto che non l'avesse fatto e invece è stata inflessibile. Mi ha accusato di un reato che non ho mai commesso! Mi ha guardato negli occhi e lo ha fatto anche mentre mi portavano via - come se a un tratto il ricordo delle manette mi fosse riaffiorato nella mente, passai le dita sui polsi, rabbrividendo a causa del dolore e della pelle ruvida e arrossata che si nascondeva sotto le maniche della felpa pesante.

- Mi dispiace così tanto tesoro... - gli occhi di Johannah si curvarono , trasportati dall'espressione amara del suo sorriso. Così azzurri e così malinconici. Mi sembrava di veder Louis, rispecchiato in quelle pozze chiare, con lo stesso sguardo di quella volta che gli avevo detto che ero io a tagliarmi e non Harry. 

Scendemmo dalla macchina e Johannah corse ad abbracciarmi, mentre lasciavo che le lacrime nascoste dentro gli occhi, mentre cercavo di non piangere più, sgorgassero via.

- Shh, va tutto bene. Adesso entriamo in casa, ti metti sul divano con una coperta calda e io ti preparo una buona e profumata tazza di tè caldo, va bene? - strofinò la sua mano sulla mia schiena e poi entrammo in casa. La signora Camille stava leggendo un giornale, seduta comodamente sul divano, mentre Harry e Louis stavano scendendo le scale. Corsero entrambi verso di me, chiedendomi dove fossi stato e che fine avesse fatto Liam che non rispondeva al cellulare. In quel momento, sentii il bisogno di riprovare a chiamarlo, così dissi loro che gli avrei spiegato tutto, consapevole che forse non lo avrei fatto e andai a sedermi sul divano, più distante possibile dal pezzo di ghiaccio che cercava di leggere un giornale e non voltarsi verso di me.

- Avete già cenato? - chiese Johannah, parlando soprattutto a suo figlio che alla signora Baxton.

- Si. Nonna è passata per portarci qualcosa da mangiare. Le piccole sono a casa loro, mentre Fizzy, Georgia e Lottie dormono già. Pff, io alla loro età stavo sveglio fino alle prime ore del mattino - borbottò Louis. Harry ridacchiò e gli diede un pugno sul braccio, poi si allontanò, sotto lo sguardo contrariato della signora Baxton.

- Sono grata per non averle fatte crescere come te, piccolo delinquente! Ogni volta che passavo dalla tua stanza, tu dormivi! - borbottò Johannah, incrociando le braccia al petto.

- Immedesimazione mamma, si chiama immedesimazione. Immedesimarsi in un ragazzo che finge di dormire per non subire le lamentele della madre - mi lasciai sfuggire una piccola risata, approfittandone per scacciare via le lacrime che appannavano la vista.

- Punizione figliolo, si chiama punizione, quella che avrei dovuto darti se solo lo avessi scoperto prima. Mai fidarsi dei figli con la testa sotto le coperte... - risi ancora, vedendo la donna dirigersi in cucina, possibilmente per fare quel tè che mi aveva promesso. La signora Baxton restò rigida e impassibile nel suo completo color azzurro chiaro. Ruotai gli occhi al cielo e mi arrotolai sul divano. Possibile che quella donna non sapesse il significato della parola "ridere"? 

Appoggiai la testa al cuscino del divano, fissando lo schermo del cellulare e sperando di vederlo accendersi. Ero così preoccupato per Liam. Se solo avessi avuto la forza di alzarmi, sarei andato a cercarlo ovunque pur di trovarlo. Non poteva essere rimasto da mia madre... e se gli fosse successo qualcosa? Un incidente? Un imprevisto? O peggio ancora? Cosa c'era di peggio?

I pensieri iniziarono a rallentare e a sfumare, cullandomi nel mondo dell'incoscienza.


Il grido della libertàWhere stories live. Discover now