Più di mille parole

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Capitolo XLIX

Harry's Pov*


Mi svegliai con una nauseante sensazione di dolore alla bocca dello stomaco. Lo sentivo bruciare, come se mi avessero fatto bere litri e litri di acido. Aprii lentamente gli occhi, accorgendomi quasi subito di essere in una stanza d'ospedale. E quel bruciore allo stomaco, forse era dovuto al forte odore di medicinali che filtrava dal naso. Ebbi l'istinto di portarmi una mano a tappare il naso, ma una fastidiosa sensazione al braccio mi fece cambiare idea. Abbassai lentamente lo sguardo, sicuro che se l'avessi fatto velocemente avrei come minimo vomitato. Il giramento di testa non mi dava pace. Che senso ha essere rinchiusi in ospedale per stare meglio, quando quell'odore nauseante era la causa principale dei malori? Sbuffai, notando l'ago della flebo nell'incavatura interna del braccio. Ecco cosa pizzicava. Sbattei un altro po' le palpebre e fissai fuori dalla finestra. Non era giorno, probabilmente pomeriggio inoltrato.

- Bentornato con noi, Signorino Styles - mi voltai spaventato verso l'angolo destro della sala e me ne pentii subito. Il movimento brusco non aveva fatto altro che aumentare il giramento di testa e il senso di vuoto. Chiusi brevemente gli occhi, non volevo vomitare. Mi sentivo talmente scombussolato che se mi avessero detto che avevo fatto dieci giri su una montagna russa, io gli avrei creduto.

Una donna si alzò dalla poltrona in pelle bianca (come se di bianco, in quella stanza non ci fosse nulla) e venne verso di me, tendendomi una mano. La guardai, prima di cercare di capire come avrei fatto a raggiungerla. Osservai il braccio sinistro, quello in cui c'era la flebo, poi osservai il destro e vedendolo libero, decisi di faticare per poter raggiungere e stringere - se così si può definire mollare la mia mano sulla sua - la sua mano. - Sono Camille Baxton e il mio compito è assicurare al giudice che tra te e il Signorino Tomlinson non ci siano relazioni - spalancai gli occhi e volli riavere la sensazione di nausea solo per sporcarle il vestito lucido nero, elegante e dannatamente professionale.

- C-cosa? - quindi il giudice non aveva fatto riavere l'affidamento nella mani di mio padre? Ma che senso aveva se non potevo stare con Louis? E dov'era il sottoscritto? Che stava facendo?

- Il giudice ha deciso, momentaneamente, di farti rimanere con la famiglia Tomlinson, a costo che tra te e l'altro ragazzo non ci siano relazioni. In compenso, dovrai andare a casa di tuo padre due volte a settimana e decidere, alla fine, cosa sarà meglio per te - chiarì, passando le mani sul ventre ed eliminando una piccola piega che non mi ero nemmeno accorto ci fosse. Rialzò lo sguardo, puntandomi i suoi occhi freddi e sicuri addosso.

- Voglio Johannah - borbottai, non volendo dire altro a quella donna. Andare a casa di mio padre due volte a settimana? Ma di che droga si era fatto il giudice prima di deciderlo? Volevo solo baciare Louis in quel momento e sentirmi protetto tra le sue braccia.

- Vado a chiamarla, riprenderemo questo discorso quando ti faranno ritornare a casa - senza accennare nemmeno un saluto, aveva recuperato la giacca sulla poltrona e aveva aperto la porta. Dal piccolo spiraglio, notai Louis seduto su una sedia, con le gambe raccolte al petto e lo sguardo fisso verso di me. Quando si accorse che lo stavo guardando, si alzò e mi sorrise. Feci altrettanto sperando che potesse entrare nella mia stanza, ma Camille (se ricordo bene) lo afferrò per il braccio e lo allontanò, sussurrandogli qualcosa all'orecchio. Lo sguardo si Louis si rabbuiò subito e accennandomi un'ultima occhiata, si allontanò con la donna. Fui sul punto di alzarmi e correre verso di lui, se solo le gambe me lo avessero permesso, ma Johannah entrò nella stanza, correndo verso di me e abbracciandomi. Dietro di lei, l'avvocato Berk, si faceva strada nella stanza, chiudendo la porta.

- Tesoro come stai? E' quasi un giorno e mezzo che sei in uno stato di incoscienza e quella donna non si decideva a lasciare la stanza. Ha parlato con Louis... il mio povero piccolo ha pianto così tanto aspettando di vederti, ma... ma loro non vogliono - mi singhiozzò sulla spalla e alzai lo sguardo al soffitto, sperando di evitare di piangere. Ero stanco, stra-maledettamente stanco di quella vita.

- Signora Tomlinson, si sieda e si calmi, così di certo non aiuta Harry - disse l'avvocato, trascinando la poltrona alla mia destra e permettendo a Johannah di sedercisi sopra. La donna di staccò di malavoglia da me e asciugò gli occhi, prendendo respiri profondi.

- Sai perchè è qui quella st... quella donna? - mi chiese, torturandosi le mani. - E' qui per fare in modo che il mio rapporto con Louis vada in frantumi - ammisi, tendendo delicatamente il braccio sinistro e sentendo di nuovo l'ago pungere. Era così fastidioso.

Johannah annuì e poi disse: - Vi starà col fiato sul collo. Hanno aggiunto un letto nella tua stanza, dormirà con te. Se voi non dovreste comportarvi bene... il giudice ti trasferirà definitivamente nella casa con tuo padre. Per ora dovrai limitarti ad andarlo a trovare due volte a settimana. Tutto il giorno starai lì, ma tornerai a casa per dormire, non vogliono ancora fidarsi di lui -

- Io mi sto occupando di trovare prove che possano incriminare di più tuo padre, Harry, ma a quanto pare, Rick e John, quei due uomini che ti hanno violentato, si sono presi tutte le colpe degli abusi su di te e hanno tolto parecchie accuse a tuo padre. Questo intensifica il nostro lavoro - aggiunse l'avvocato Berk. Chiusi gli occhi, sospirando.

- Quante possibilità ci sono che io ritorni a casa di mio padre? -

- Non saprei. Se tu e Louis non darete segni di stare insieme, possono lasciarti a casa di Johannah e dovrai semplicemente visitare tuo padre, qualche volta a settimana. Ma se le cose non dovessero andare bene sotto il punto di vista della Signora Baxton, allora sarai costretto a salutare questa famiglia e a ritornare nel passato -

Il passato. Quel maledetto passato. All'inizio mi ero quasi abituato agli abusi di mio padre, pensavo che nessuno avrebbe potuto salvarmi e nonostante fossi spaventato, cercavo di cavarmela come meglio potessi. Poi Louis, è riuscito a farmi capire che anche io avrei potuto avere di meglio e allora tutta la paura era sparita senza che ci facessi caso. I primi tempi erano stati davvero dolorosi, ma nessuno mi aveva spinto a ricordare gli abusi di mio padre. Spesse volte, mi capitava di paragonare il tocco di qualcuno al suo, ma mi bastava davvero poco per capire che mio padre era lontano e non poteva più sfiorarmi. Ora, saperlo così dannatamente vicino a me, faceva riapparire tutte le paure che avevo deliziosamente e pazientemente nascosto in uno scrigno dentro di me. Aveva usato la sua maledetta chiave, per lasciare che il dolore prendesse il posto di quell'immensa gioia che avevo acquistato con la famiglia di Louis. Certo, nessuno avrebbe mai potuto pensare che venissi violentato, nascondevo il dolore con i sorrisi ed ero felice che nessuno potesse vedere la mia anima squarciata. Facevo il possibile per non darlo a vedere, facevo il massimo per non ricordarmi quei tocchi violenti. Ma ora... ora che lui era ritornato, aveva trascinato con se tutti quei fardelli che avevo lasciato nella mia vecchia stanza ed era stato inevitabile spostarmi per non farmeli cadere addosso. Mi avevano di nuovo sepolto.

- Harry stai bene? Sei parecchio silenzioso e mi sarei aspettata più domande da parte tua - sbattei gli occhi e ritornai alla realtà, grazie alla voce di Johannah. Non riuscivo ad essere arrabbiato o a urlare il mio dolore. Sembrava che dentro di me ci fosse una strana quiete. Che fosse la quiete prima della tempesta? Avrei dovuto alzarmi e correre in giro urlando che non volevo che Louis mi lasciasse, che non volevo nascondere di nuovo una relazione che era uscita allo scoperto, eppure riuscivo solo a restare fisso su quel letto, ed ero sicuro che non fosse la flebo a trattenermi, ma qualcosa che dentro mi mangiava tutte le cose buone che avevo.

"Il veltro è una bestia che si ciba dell'amore, della sapienza e della virtù" ricordai di una lezione sul primo canto della Divina Commedia. "No Dante... il veltro si sta cibando di altro, nel mio corpo" pensai di essere impazzito, rivolgendomi a un uomo morto e memorando la sua più importante opera.

- Harry... mi stai facendo preoccupare... dì qualcosa -

- Cosa vuoi che dica? - sussurrai, passando la lingua sulle labbra screpolate.

- Non lo so... ma potresti anche dirmi cosa pensi, cosa ti sta passando per la testa, potrei aiutarti -

- L'unica cosa che al momento puoi fare è prendermi un bicchiere d'acqua... potresti?- le chiesi, abbassandomi sotto le coperte e chiudendo gli occhi. Sentii il frastuono della poltrona che sfregava con il pavimento e subito dopo una porta che si apre e si chiude. Passarono parecchi minuti prima che sentissi delle voci, all'interno della mia stanza.

- Ma perchè non parla? Insomma, forse l'abbiamo stravolto - chiese Johannah.

- E' normalissimo signora, il ragazzo ha subito più di uno shock in questi due giorni e non ha ancora assimilato bene la notizia. Lentamente ci farà caso - spiegò il dottore. Non volli aprire gli occhi, desideravo sapere di più.

- Quindi è normale se ancora non parla molto di quello che è successo? -

- Certo. In questo momento, la sua testa è un turbine di pensieri e ricordi. Potrebbe non esserci spazio per le parole da dire. Bisogna prima che la svuoti da tutto quello che ha dentro e poi riuscirebbe ad assimilare quello che sta succedendo. E' importante che non resti da solo, che trovi qualcosa con cui sfogarsi -

- E... cosa potrebbe aiutarlo a liberarsi da tutto questo peso? - Dio Johannah... sei un angelo sceso dal cielo, cosa ho fatto per meritarti?

- E' capitato molte volte che alcuni pazienti usassero la musica o la scrittura per sfogarsi. Io ho sempre consigliato lo sport. Non nuoce la salute e tiene i ricordi parecchio lontani -

- La ringrazio... quindi posso svegliarlo e portarlo a casa? Sono quasi due giorni che è qui - domandò con tono afflitto.

- Certo, le farò portare qui il certificato per uscire, nel frattempo può prepararsi per uscire - non udii altro se non Johannah che lo ringraziava, poi mi scosse la spalla e allora finsi di essermi appena svegliato e di non aver sentito il dottore ammettere che fossi sotto shock.

- Harry, possiamo uscire. Che ne dici se ti vesti mentre io ti aspetto fuori? -

Annuii semplicemente, mentre lei mi aiutava a tirarmi su. Mi voltai verso il braccio sinistro, perchè non sentivo più quel pizzicore e infatti non c'era più l'ago. - Te lo ha tolto l'infermiera prima, mentre dormivi. Oh tieni, ti avevo portato l'acqua ma stavi dormendo - mi chiarì, facendomi scendere dal lettino e sorreggendomi, aspettando che ritrovassi la forza delle mie gambe. Dovetti fare qualche passo in giro per la stanza, prima di essere sicuro di non cedere verso terra. Il mio strano silenzio continuava a sopprimermi l'anima. Volevo urlare, volevo sfogarmi con Johannah, ma avevo... paura. Il dottore diceva che fosse normale, che era lo shock a non farmi parlare... ma avevo lo stesso quella costante paura. Forse di finire di nuovo con mio padre. Forse di venire di nuovo abusato. Forse di morire. Di lasciare Louis. Di lasciare la mia nuova e perfetta famiglia. Di lasciare Zayn e tutti i miei amici e di ritornare da quell'uomo. La causa del mio shock.

Mi vestii in silenzio e mi voltai quando capii che Johannah stava parlando con me - E' normale che tu stia in silenzio, sai? Il medico ha detto che in tutto questo tempo hai tenuto un grande dolore dentro e che adesso stia emergendo lentamente e stia causando questo shock. Non ti va di parlare, ma è normale. E' come se fossi una capsula e se dentro avessi racimolato tutto quello che tuo padre ti ha fatto passare in questi anni. La capsula si sta lentamente rompendo e il contenuto uscirà totalmente fuori, ma devi provarci Harry. Devi provare a parlare. Il medico mi ha consigliato di farti fare uno sporto, oppure di farti scrivere dato che le parole non escono fuori, ti andrebbe di scegliere un'opzione? -

- Ci penserò- dissi semplicemente.

Quando arrivammo a casa, mi accorsi che fossero semplicemente le sette di sera e che tutti mi aspettavano per cenare. Nonno Sean e sua moglie Kaila mi deliziarono della loro compagnia sin da subito, facendosi trovare sull'uscio con le braccia aperte. Li abbracciai, prima di essere coinvolto anche dalle ragazze. Daisy e Phoebe quasi mi fecero cadere, aggrappandosi velocemente alle gambe e quando mi girai verso Louis sentii un tuffo al cuore. Mi sorrideva debolmente, ma non accennava a muoversi. Mi feci forza, andando verso di lui, ma scosse il capo e indietreggiò, eliminando quella fievole traccia di sorriso sul suo volto. Accanto a lui, nascosta, ma non invisibile, se ne stava la signora Baxton, che con un libretto in mano segnava tutto quello che stava avvenendo. Fui costretto, quindi, a farmi trascinare lontano e sperai di poter mandare a Louis, con un solo sguardo, più di mille parole. Più di tutte quelle che covavo dentro e che non volevano uscire fuori.

Chi avrebbe mai pensato che tutto il male che ho sopportato si tramutasse in semplice stato di shock? Che mi ferisse senza lasciarmi l'occasione di gettarlo fuori? Lentamente, capivo perchè era stato così semplice scordarmi di mio padre. Era successo solo perchè si stava accumulando per farmi arrivare a questo punto. Al punto in cui mi mancavano le parole, cosa mai successa in vita mia. Ero il tipo logorroico che, cacciata via la timidezza, non vedevi l'ora di sentirlo tacere. E invece, sembrava che tutti mi pregassero per dire anche solo una parola. Ma non volevo. Avevo ancora... paura.

- Ti abbiamo preparato tantissime cose buone stasera. In ospedale non hai avuto modo di mangiare se non con le flebo e quindi abbiamo pensato che fosse una buona cosa riempirti lo stomaco a casa - disse nonna Kaila. Le sorrisi, ma poi abbassai lo sguardo. Scusa, ma non riesco a parlare, avrei voluto dirle. Mi guardò comprensiva e mi fece segno di prendere posto a tavola. Il mio solito posto era vicino a Louis e fui felice quando mi sedetti accanto a lui, ma quella felicità non durò molto.

- Prego Harry, non di dispiacerà sederti qui, vero? - disse Camille, facendomi intendere di cambiare posto. La casa di ammutolì e tutti si girarono a fissarmi.

- Harry si è sempre seduto lì - ribattè la piccola Phoebe.

- Lo so piccole, ma ogni tanto è un bene cambiare le abitudini se non si vuole rischiare di rimanere intrappolati in quelle vecchie - strinsi i pugni e presi un respiro profondo. Camille non doveva dire quelle cose, era una chiara ma illecita minaccia. Scalai di un posto e osservai Camille sedersi tranquillamente tra me e Louis. Non era una donna molto vecchia. Non poteva avere più di quarant'anni, ma il suo lavoro la rendeva un'arpia. E non c'è niente di peggio che essere giovani fuori, ma vecchi dentro.Poteva pure usare gli abiti più eleganti e i trucchi più raffinati e costosi, ma restava comunque una donna con un cuore di pietra. Ringraziai nonno Sean per essersi seduto accanto a me, almeno lui riusciva a non farmi pensare a qualche modo per uccidere quella stronza e liberarmi del suo cadavere. " E' solo il suo lavoro" pensai, "non ha colpe" e invece di colpe ne aveva pure troppe. Poteva fingere di non vedere nulla e lasciarci vivere in pace, invece tutto quello sembrava divertirla, come una bambina sull'altalena.

Presero tutti posto a tavola, ma uno era ancora vuoto. Prima che potessi pensare dove fosse Zayn, sentii il portone di casa aprirsi e poco dopo apparve la sua figura. I capelli umidi e il fiatone, come se avesse fatto una maratona.

- Scusa Johannah, ma sono appena uscito dalla palestra e in autostrada c'è stato un incidente, quindi ho dovuto fare la fila prima che l'ingorgo venisse liberato - si scusò, poi prese posto e tavola e restò sorpreso quando vide la nuova donna che occupava il mio solito posto. Si alzò e venne ad abbracciarmi  - Finalmente sei tornato, sono stati due giorni pieni di stress in casa - mi confessò, girandosi poi verso la donna - Sono Zayn - disse, porgendole la mano. Lei ricambiò il saluto e fece la solita presentazione - Sono Camille Baxton e sono qui per fare in modo di... - non la lasciai finire che presi parola -  Di sgretolare il rapporto tra me e Louis - Veleno. Ecco cosa sputavo fuori. Stavo in silenzio per ore e poi tralasciavo solo veleno. Tutti si voltarono, sorpresi. Certo, non avevo salutato nessuno e poi prendevo all'improvviso parola.

Zayn fissò la donna, quasi a volerla uccidere con lo sguardo e poi prese lentamente posto, lasciando che Johannah riempisse i nostri piatti. Ogni tanto, sentivo lo sguardo di Louis pungermi addosso e avrei tanto voluto girarmi e fissarlo ma avevo ancora... paura. Se lo avessi fissato non sarei riuscito a controllarmi. Sarei scoppiato a piangere e avrei urlato e non volevo di certo far sembrare a Camille che volessi ritornare da mio padre. Dovevo cercare di essere neutrale, stabile, sicuro, anche se dentro mi sgretolavo e i miei grattacieli lasciavano posto e insensate piccole casette in paglia. Bastava una piccola fiamma per incendiare tutto e dovevo evitare di creare uno sfregamento tra due rocce o non avrei più saputo come domare quel fuoco che aspettava di bruciarmi dentro.

- Zayn, tu in palestra fai ancora boxe? - chiese Johannah, interrompendo il monotono rumore di forchette.

- Si, perchè me lo chiedi? -

- Mi chiedevo se potessi portare Harry con te, qualche volta. Non gli farebbe male un po' di sport e poi è un ottimo modo per scaricare le tensioni che in questo periodo sembrano non voler cessare - alzai lo sguardo dal piatto e fissai Zayn che mi sorrideva calorosamente - Certo, inoltre avevo intenzione di volerglielo portare già da tempo, questo può sembrarmi l'incentivo adatto. Che ne dici Harry? - mi chiese, sorridendomi.

- Non voglio fare sport - annunciai, scuotendo il capo e pizzicando l'hamburger con la forchetta. Johannah sospirò e poi prese parola - Harry, tesoro... anche il medico ha detto che è importante -

- Non voglio... -

- Credimi, sarà più facile per te riuscire a superare tutto questo -

- Ti prego Haz... vai con Zayn - mi girai di scatto verso Louis, non potevo crederci che avesse parlato. La sua voce usciva così roca, ma accarezzava lentamente ogni organo dentro di me. Sembrava voler cacciare via tutta quella paura e quello shock che avevo dentro. Ti prego parla ancora, Lou. Parla così tanto da far uscire tutto quello che ho dentro. Ti prego.

Camille, uscì il blocchetto da una tasca del vestito e scrisse velocemente qualcosa. Louis scosse il capo e si fece più avanti. Mi guardò e il suo azzurro riprese a sciogliersi nei miei occhi. Mi sorrise e Dio quanto amo quel sorriso. - Non è per niente male fare sport con Zayn, ti divertirai tantissimo, te lo assicurò - scoppiò anche a ridere. Era teso, lo potevo benissimo vedere, ma c'era qualcosa che cresceva dentro di me e che germogliava alla velocità della luce. Mi ritrovai involontariamente a sorridere e a scuotere il capo, mordendomi l'interno della guancia.

- E va bene, andrò con Zayn - dissi sorridendo. Cosa mi stava succedendo? L'attimo prima non parlavo del proprio e l'attimo dopo sorridevo a Louis e a tutti gli altri. La famiglia esultò e Camille sembrò troppo impegnata per accorgersi di ciò che Louis mi stava mimando. - Ti amo, e lo farò sempre - mi fece l'occhiolino e poi cercò di sbirciare nel blocchetto della donna. Ma quella lo chiuse e continuò a mangiare.

E fui sicuro che Louis con quelle sei parole era riuscito a trasmettermene più di mille. Perchè avremmo superato anche quell'ostacolo, ne avevamo passate davvero tante, ma Louis continuava a sorridermi, ad amarmi e forse avremmo dovuto aspettare un po', forse sarebbe stato un periodo duro e difficile, ma Louis mi amava e io non avevo poi così tanta...paura.



Il grido della libertàTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang