Ti uccide lentamente

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Capitolo XLIII

* Zayn's Pov *


Camminavo distrattamente per le strade di Londra. Sapevo già dove volevo andare, ma fingevo che mi stessi facendo trasportare dal vento e dai ricordi. Era quasi sera ormai e non avevo più risposto a Liam. Mi ero alzato dal suo letto, stavamo semplicemente parlando, ma il dolore al petto si faceva troppo doloroso e ho sentito la necessità di alzarmi e andare via. Così, senza una spiegazione o un apparente motivo. Mi aveva inseguito per un po', urlandomi dietro di fermarmi, ma a quel punto avevo iniziato a correre. Poi, una volta che non ho più sentito la sua presenza dietro di me, ho rallentato il passo e ho messo le mani nelle tasche, cercando di diminuire il freddo della stagione quasi invernale.

Mi ostinavo a non voler indossare felpe pesanti, mi pungevano e poi non mi permettevano di usare il classico giubbotto di pelle. In compenso, gelavo. Soprattutto le mani... diventavano fredde come il ghiaccio. 

Girai lo sguardo a destra e sinistra, poi attraversai e intrapresi una piccola stradina cosparsa di foglie secche e colorate. Arancioni, gialle, rosse. Una piccola stradina desolata, con qualche albero spoglio a farmi compagnia. Era quasi Novembre e l'idea della neve non mi faceva fare i salti mortali dalla felicità. Avrei visto di meno Liam... non potevo guidare per le strade innevate o camminare tra il ghiaccio. Certo, per lui lo avrei fatto, ma avrei preferito farmi trovare integro e non un pupazzo di neve. Le mie labbra dovevano sempre sapere che gusto avessero quelle di Liam. Se si fossero congelate, non avrei più potuto baciarlo ed era una cosa che non doveva succedere. 

Svoltai a sinistra. Il cielo iniziava a scurirsi e nuvoloni neri prendevano il posto delle nuvolette bianche che aleggiavano di mattina. In questi mesi avevo visto parecchie giornate di sole a Londra. Solitamente la neve avrebbe già sepolto ogni casa e ogni automobile a Novembre. 

L'aria fredda pungeva sulla pelle. Cercavo di stringermi sempre di più in quel giubbotto di pelle, ma non poteva fare molto. Anzi, non poteva fare nulla. Una volta che mi trovai di fronte a un cancelletto arrugginito, capii che ero arrivato. Erano anni che non ci andavo, ma non era cambiato nulla. Il terreno era interamente coperto di foglie dai colori spenti. Il grigio prevaleva ovunque balzassi lo sguardo. L'unica cosa colorata che mi circondava, erano i cipressi perennemente verdi che affiancavano il recinto arrugginito dal tempo. Mi feci spazio tra le diverse casette di chi ormai non viveva più, non avevo la più pallida idea di dove si potesse trovare quella che cercavo. Mia madre mi aveva accidentalmente spifferato di avere una casetta di famiglia, perciò avanzai sul lato sinistro del cimitero. Al centro c'erano le tombe singole. A destra c'erano lunghe ed estese mura, contenti le casse di legno. Oltre il freddo, sentii la pelle d'oca salire per le braccia e fermarsi alla schiena. Cercai di avanzare il passo, di affrettarmi tra le tante lapidi e di sedermi di fronte a quella che desideravo vedere da troppi anni. 4... 5... 20.. che differenza avrebbe fatto? Ero stato solo un codardo a non averla cercata prima, a farmi condizionare dai sensi di colpa e dalla paura.

Il cielo diventava sempre più scuro, i lampioni che si trovavano in diversi punti del cimitero, si azionarono, riempendo di luce ogni piccolo centimetro di quel luogo tetro. Non avevo paura, non credevo nemmeno alle stupide storielle degli zombie che uscivano dal terreno. Ero troppo grande per credere a quelle storie e inoltre la realtà in cui vivevo, mi faceva più paura di qualsiasi essere paranormale. 

Il silenzio circondava i miei passi. Gli anfibi sbattevano rumorosamente contro il terreno asciutto. Le foglie scricchiolavano al mio passaggio. Non c'era più nessun canto di uccellini in cielo. Ormai stavano tutti migrando nelle zone più calde. Restava qualche pipistrello nero che iniziava ad accamparsi negli alti e verdi cipressi. Per loro era tutto così semplice. Mandavano maledette onde sonore, si orientavano, si cibavano, si ribaltavano a testa in giù e riposavano. Per noi umani, ogni secondo della nostra vita è una battaglia per ottenere ciò che vogliamo. Che sia la felicità o che sia un obiettivo, non conta molto. Alla fine, cerchiamo sempre di ottenere qualcosa.

Il grido della libertàWhere stories live. Discover now