CAPITOLO 3 - 3.3 Ombre

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Taiki si girò e una miriade di pensieri cominciarono a martellargli la mente così forte che ogni altro rumore scomparve. Provò a parlare, a farli uscire, ma la sua voce non era che un sibilo.

"Che sta succedendo? Dov'è la porta d'ingresso? È tutto distrutto...", balbettò assieme ad altre parole incomprensibili, fin quando solo l'ultima si fece costante.

"Papà..."

Riuscì a pronunciare e pervaso da uno strano presentimento, mosse un passo dopo l'altro, fino a entrare in casa dove, oltre alle gambe, si fermò anche il cuore.

Tutto era a soqquadro: i cassetti erano scardinati, il divano era sottosopra, il tavolo in cucina era in condizioni anche peggiori, circondato da fogli di lavoro e pezzi di computer. E poi vetri, brandelli di stoffe e calcinacci coprivano l'intero pavimento,

"Papà..."

Provò a chiamarlo ancora, ma il suo si rivelò null'altro che un sussurro. Avrebbe voluto trovare una logica in quel disordine, avrebbe voluto che qualcuno gli rispondesse, ma l'unico rumore che lo accolse arrivava dal bagno: la luce che fuoriusciva dalla porta socchiusa faceva brillare dell'acqua che si muoveva sinuosa in corridoio, allargandosi ovunque lo spazio lo consentisse.

"Papà..."

Di nuovo solo un fiato sordo.

L'acqua non accennava a fermarsi e Taiki seguì con gli occhi il suo cammino fino a una macchia scura, accorgendosi, grazie alla penombra del vano scala, che la porta della camera del padre era scardinata. Sulla soglia, la sedia a rotelle era ridotta a un cumulo di ferraglia.

Provando a governare il panico capì che la macchia aveva una precisa direzione, quella delle scale. Preso un bel respiro, la voce si fece urlo.

"PAPÀ!"

Un tonfo sordo: tanto gli bastò per farlo smettere di pensare.

Di corsa, Taiki salì i gradini con il cuore che batteva così forte che avrebbe potuto uscirgli dal petto, ma non riuscì ad arrivare al pianerottolo che si trovò di nuovo paralizzato: il corpo del padre si muoveva, trascinato da qualcosa.

"Dov'è?", vibrò una voce grottesca.

A emetterla era stata una specie di creatura fatta di fumo nero, un ammasso irregolare con arti simili a braccia, ma completamente asimmetrici, e un volto contorto, dai tratti inespressivi e privo di occhi.

"Dov'è?", stridette di nuovo, sollevando il corpo del signor Kikuchi come fosse una marionetta.

"PAPAAAAAAÀ!"

Un altro urlo disperato uscì dalla gola di Taiki.

Il mostro si voltò e restò fermo qualche secondo prima di mostrare un orrendo ghigno, forse un sorriso. Ma non furono solo i suoi denti aguzzi a brillare nel buio: una seconda orribile bocca si spalancò poco dietro la prima figura e si protrasse in avanti nel tentativo di raggiungerlo, facendo perdere all'altra la presa sul padre che cadde a terra, inerme.

Taiki alzò i pugni: le lacrime gli bagnavano gli occhi, ma era determinato a battersi.

Il suo corpo però si sbilanciò e una forza misteriosa lo trascinò in basso, giù per le scale. Una forza che, si rese conto, apparteneva a Miu.

Dal piano superiore, delle urla lancinanti fecero tremare la casa e pezzi di intonaco caddero dal soffitto sopra le teste dei due ragazzi.

No, che cosa fai?! Lasciami andare! Mio padre... devo salvare mio padre, ma le parole rimasero pensieri. Miu tirò Taiki verso l'unica porta illuminata; lui si guardò indietro, in tempo per vedere una massa di fumo poco lontana spalmarsi a terra e vorticare nella loro direzione.

Poi un bagliore verde lo accecò e tutto si fece nero.

Zemlyan: RebirthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora