52. Alison

33 6 12
                                    

Alison Russel era in ritardo, come ogni santa mattina.

La sveglia non aveva suonato oppure era stata lei a non averla sentita. Si era fiondata subito in bagno, dopo essersi spogliata del pigiama nella corsa lungo il corridoio. Si era lavata in fretta e furia, abbondando con il deodorante, sul viso un accenno di trucco e in ultimo, aveva raccolto i lunghi capelli ricci in una crocchia scomposta alla base della nuca.

La sua giornata non era partita nel migliore dei modi: era lunedì e peggio ancora, un lunedì di inizio del mese.

A lavoro avrebbe dovuto fare i salti mortali e mantenere il controllo non sarebbe stato semplice.

Aveva trentun anni, otto dei quali già sprecati a lavorare allo sportello dell'ufficio postale del paese dimenticato da Dio in cui viveva. Mille anime scarse popolavano il posto in cui era cresciuta e da cui non era ancora riuscita a scappare.

La maggior parte dei suoi concittadini erano over settanta, con nulla da fare nella vita se non aspettare i momenti più salienti degli ultimi anni di esistenza, tra cui il giorno di ritiro della pensione. Quel fortunato giorno coincideva con il primo lunedì del mese e per la gioia di Alison quel lunedì era proprio il lunedì fortunato.

Avrebbe dovuto fare apertura con Jerry, ma essendo arrivata con circa venti minuti di ritardo, trovò già le luci accese e le casse operative mentre il parcheggio di fronte all'ingresso era gremito di auto, i cui passeggieri si erano già disposti in una fila disordinata davanti alla porta principale, nell'attesa che venisse aperta alle otto in punto.

Aveva ancora mezzo minuto per entrare, occupare la sua postazione e lasciarsi poi travolgere dalle pressanti richieste della sua poco adorabile clientela.

"Abbiamo un problema" la informò Jerry affacciandosi al suo sportello, la solita aria affranta dietro gli occhiali dalle lenti spesse "Niente soldi per le pensioni oggi. La cassa centrale ha avuto un problema con gli invii e sono tutti slittati di un giorno."

"Cosa?!" esclamò Alison "E cosa diciamo a quelli là?"

Il collega non si voltò nemmeno a guardare la folla crescente che si accalcava davanti alla porta in vetro blindato.

"Di tornare domani" rispose con un alzata di spalle.

"Alison sei in ritardo" sentenziò il signor Marshall, il direttore dell'ufficio, comparendo dall'ingresso sul retro, la tazza di caffè d'asporto fumante ben salda nella mano destra.

Quell'uomo, basso e tarchiato, era sempre l'ultimo ad arrivare eppure sapeva sempre chi tra di loro era arrivato in ritardo ma solo perché aveva il dannato vizio di controllare i dipendenti attraverso le telecamere di sicurezza.

Alison non tentò nemmeno di giustificarsi, il pensiero rimbalzante dalle parole di Jerry alle facce avide di denaro che la fissavano dall'altra parte della barricata.

"Jerry, mi serve una mano per la contabilità interna oggi. Dato che non ci saranno flussi da erogare fino a domani, Alison, potrai benissimo stare da sola allo sportello" sentenziò entrando nel suo ufficio dopo aver percorso l'atrio principale con la sua camminata fatta di troppi passi brevi dovuti alle gambe esageratamente corte.

Perché quell'uomo era sempre così dannatamente stronzo? Si domandò lei mentre lo fissava lasciarsi cadere mollemente sulla sua sedia da direttore, dove le sue gambine avrebbero ondeggiato a dieci centimetri dal pavimento per la bellezza di cinque ore scarse, ovvero la durata del suo turno di lavoro.

Lei avrebbe dovuto fare gli straordinari, anche quella sera, e di certo si sarebbe dovuta fermare da sola, dato che Jerry ormai era pappa e ciccia con lui e con un pretesto del cavolo lo avrebbe lasciato uscire a orario regolare.

Tornò a fissare i clienti, la cui impazienza presto si sarebbe riversata in tutta la sua foga, dritta al suo sportello.

Mancava meno di un minuto all'apertura automatica delle porte e in quei pochi istanti i momenti sbagliati della sua vita le sfilarono davanti agli occhi.

Non seppe perché ma accadde. Rivide sé stessa in quel carosello di autocommiserazione che troppo spesso si era lasciata scorrere tra i ricordi della mente: la borsa di studio andata perduta, il suo futuro come avvocato annegato negli antidepressivi, le amicizie sepolte, i genitori pressanti, gli occhi di tutti puntati su di lei nel giudicarla senza possibilità di difesa alcuna.

Anni di terapia e quantitativi esagerati di farmaci non erano serviti a cancellare del tutto la delusione e il rammarico per quanto si era permessa di fare. La frustrazione di sapere di aver compromesso per sempre i suoi sogni non la smetteva di tormentarla e il dover essere lì, in quell'ufficio, ogni singolo giorno, a dare risposte banali a persone troppo stupide per capirle, consapevole di poter essere molto di più ma di non avere la forza di essere diversa, era una consapevolezza che la uccideva lentamente da tredici anni a quella parte.

Avrebbe voluto gridare al mondo il suo dolore, ogni istante in cui, la delusione di essere diventata un surrogato scialbo di ciò che sapeva potenzialmente di poter essere, prendeva il sopravvento. Era stanca di dover rispondere a sua madre che tutto andava bene quando invece si sentiva consumata dentro, stanca di essere sola, di non essere stata capace di innamorarsi davvero di qualcuno, stanca di dire sempre di sì per la mancanza di voglia di complicarsi ulteriormente quanto già aveva di complicato. Odiava sé stessa per sentirsi mancante di qualcosa a cui aveva rinunciato, forse, consciamente. Odiava essere lì e il pensiero di dover passare l'ennesimo lunedì a farsi insultare per incompetenze che non la riguardavano non giovò alla propria condizione interiore.

Avrebbe voluto sparire o che tutto sparisse. Se l'ufficio postale non fosse più stato lì, lei non avrebbe avuto quel vincolo a doversi alzare ogni mattina e autoinfliggersi quella punizione che sapeva, in fondo, di non meritare.

Senza quel luogo, quel personale limbo, forse avrebbe poi trovato lo slancio, tanto agognato, a ricominciare.

Le porte automatiche si aprirono e la gente iniziò la risalita lungo l'atrio, con il passo di un esercito invasore. Li sentiva già tuonare accuse nella sua direzione; probabilmente nell'attesa, là fuori, qualcuno aveva già fatto la soffiata sul malfunzionamento del sistema, forse lo stesso signor Marshall, incurante del fatto che quella folla inferocita si sarebbe accontentata di una testa da tagliare e si sarebbe accontenta di quella di lei.

Odiò il signor Marshall, odiò uno a uno quei pazzi furiosi e in uno sbalzo di odio desiderò che tutto diventasse silenzio nel peggiore dei modi. 

La Rivelazione di AdrielWhere stories live. Discover now