Capitolo 3:-Nell'oscurità della notte

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Cullata tra le leggende del cielo mi addormentai sognando il guerriero Ikar combattere contro le popolazioni straniere per conquistare nuovi villaggi.

Provai ad immaginare la bellezza di Arvel paragonandola alla bellezza di mia madre, ormai era un piccolo angelo e spesso da quegli immensi baobab scrutavo il cielo sperando che tra quelle stelle potesse esserci quel volto che ormai non ricordavo quasi più.

I suoi occhi ricordavano il colore della terra appena bagnata dalla pioggia durante i mesi invernali e la sua pelle olivastra entrava in contrasto con quelle piccole trecce castane che le scendevano lungo il collo.

La ricordavo lì, seduta nella sedia a dondolo in legno, nella nostra enkang e la sua veste verde scendeva intralciando il suo passo.

Era così lunga che si incastrava nei sandali, la sua shuka riportava i colori della passione, mille erano i ricordi ormai persi nell'oblio della mente.
Provai a ricordare, ma fui riportata alla realtà da quello strano rumore che inondava i miei sogni.

Svegliata nel pieno della notte, il sudore imperlava le mie tempie e il mio corpo, le lacrime scendevano dal mio viso, gli occhi arrossati.

Cosa stava succedendo? Cosa voleva dirmi mia madre in quel sogno?

Scesi dal mio letto e in punta di piedi mi avviai verso la cucina sentendo alcuni rumori provenire dal recinto, ero certa che non si trattava del bestiame, forse ero così impaurita da immaginare tali rumori.

Dovetti attraversare lo stretto corridoio che comunicava con tutte le stanze della nostra abitazione e nonostante fosse buio volsi lo sguardo verso la stanza di Gleidis e mio padre, riuscii ad intravedere la donna muoversi nel letto quasi turbata, l'altra metà del letto di paglia sembrava essere vuota.

Mi avvicinai cercando di fare meno rumore possibile evitando di urtare i vasi posti nel corridoio, avevo visto proprio bene mio padre era uscito nella notte, dovevo scoprire cosa stava succedendo.

Tornai in camera quasi confusa e correndo uscii dalla finestra, non mi importava di svegliare Gleidis dovevo sapere dove si era cacciato mio padre.

Corsi verso i campi e le spighe di grano sembravano quasi volare via trasportate dal vento, era lì che papà passava le sue giornate, lì in quel campo a raccogliere il grano che portava in casa.

Mentre correvo nella notte in mezzo ai campi improvvisamente mi ritrovai catapultata lontano dal nostro villaggio e immersa nella savana, il fruscio sollevava la mia veste, mi avevano sempre consigliato di non introdurmi nella savana durante la notte, perché le bestie erano sempre pronte all'attacco.

I predatori andavano in cerca della loro preda sfruttando a loro vantaggio quelle tenebre, dietro il quale sembrava esserci un velo di paura e di morte, una morte incombente per il piccolo alcelafo divorato da un ghepardo, il quale aguzzando la vista si nasconde mimetizzandosi, grazie alla colorazione del manto, tra la savane per poi scattare a grande velocità sulla preda per agguantarla e divorarla.

Avvolta nel buio ad un tratto si udii nell'aria uno strano rumore sembrava somigliare allo sparo di un'arma da fuoco, il mio cuore si restrinse sempre di più, dovevo capire da dove provenisse, dovevo avvicinarmi il più possibile ad esso, le mie gambe andarono incontro ad un irrefrenabile corsa e ancora una volta lo sparo sembrò ripetersi echeggiando per tutta la savana.

Ero giunta proprio lì all'apice del boato e notai del sangue sparso per molti ettari della radura , l'odore acre mischiato a quello della terra bagnata e a quello degli elefanti stesi tra l'erba mi dette quasi la nausea, ma nonostante ciò decisi di avvicinarmi.

Le zanne erano state staccate violentemente e sul dorso di ogni elefante sembrava esserci una freccia che conteneva del veleno, un piccolo era lì nella notte, quasi impaurito come me, era riuscito a scampare a quell'immensa strage compiuta dall'uomo, non potevo permettere che la notte successiva qualcuno avrebbe potuto ucciderlo e decisi che me ne sarei dovuta prendere cura fino a quando non avrei trovato un gruppo di elefanti che potesse prenderlo con sé.

Era così grande rispetto a me, ma ciò non mi impauriva, ero proprio come la mia mamma, temevo più l'uomo piuttosto che le bestie, perché spesso nell'essere umano può celarsi un'avida crudeltà, mentre in un cucciolo traspare docilità e voglia di protezione.

Avvertivo la paura del cucciolo, sembrava aver timore anche di me, mi paragonava a quella lurida gente, il sole stava per sorgere bisognava trovare una soluzione alla svelta, prima che Gleidis si fosse svegliata e non mi avrebbe trovata in casa.

Poco più in là nella radura notai una piccola caverna, non ci pensai neanche due volte e subito mi intrufolai in quella che poteva essere la tana di un leone lasciando lì il piccolo elefante indifeso e scappando via verso la mia enkang, il sole era quasi all'orizzonte quando entrai in camera e Gleidis mi svegliò per cominciare la mia giornata giù ai campi.

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Angolo autrice
Spero che questo capitolo vi abbia emozionato, cari lettori non è semplice trattare un argomento del genere, ma affascinata da tale terra ho deciso di intraprendere questa avventura e spero mi seguirete. Buona lettura.

Sunset 🐘Where stories live. Discover now