13- Awakening With Myself

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"Cerca di tenere per te le mie informazioni e io cercherò di non fare Lise il mio prossimo pranzo. Dimentica ciò che è successo stamattina, con affetto, tuo Z".

Mi ero risvegliata con tre semplici righe scritte in corsivo, su un post it.
E ovviamente mi ero svegliata perdendo qualche battito e con un'ansia terribile, viste le circostanze e le parole che mi ero ritrovata a leggere.
Avevo aperto gli occhi a malapena e, proprio attaccato sul cuscino al mio fianco, avevo trovato quel nuovo ed inquietante messaggio, come un giornaliero ed angosciante ricordo di quel pazzo dal fascino irritante e dai tratti occidentali che, in qualche modo, aveva preso a far parte della mia quotidianità in maniera drastica ed inappropriata.

Quando mi ritrovai ad aprire gli occhi, mi sentivo a stento viva, avevo ogni muscolo del mio corpo al capolinea e i miei occhi focalizzavano per poco ciò che avevo difronte.
Non sapevo che ore fossero, vedevo soltanto la luce del giorno e sentivo le solite e rumorose automobili che transitavano lungo le strade affollate.

Per questo, innervosita, ero riuscita soltanto ad accartocciare quel foglietto di carta tra le mie dita, con frustrazione, sospirando poi, rassegnata.

Era un po' come se qualcuno mi avesse appena risucchiato l'anima ed avesse lasciato a terra il torsolo di una mela ormai mangiata.
E, nel caso non fosse chiaro, il torsolo era l'esatta rappresentazione del mio corpo.

Mi girava la testa, sentivo lievi ed insensati dolori addosso e la mia pelle era come congelata dal freddo; dal freddo che solitamente non ero abituata a patire.

Ricordavo perfettamente ogni cosa fosse accaduta prima che potessi riaprire gli occhi e ritrovarmi rinchiusa in camera mia, con i capelli arruffati e con il respiro corto.
Ricordavo i denti di quello psicopatico sul mio collo e ricordavo il buio più totale che, come un arco di tempo tra quella mattinata insolita e quel pomeriggio confuso, mi aveva riportata poi a casa, nel mio letto, perplessa e piena di interrogativi.

Ricordavo di dover essere morta e, a meno che quella non fosse la mia nuova vita da cadavere, potevo di certo dire di essere stranamente sopravvissuta.
Ricordavo il dolore, la sensazione del sangue che velocemente scappava fluido dalle mie vene e la continua pressione della sua bocca, feroce, che in quell'azzanno risucchiava ogni singola goccia di esso.

Tuttavia, seppur avessi sempre avuto buone aspettative a proposito della vita dopo la morte; di certo sapevo perfettamente che non poteva essere quella la situazione post vita.

Così, del tutto destabilizzata ed indebolita come un'automobile dopo un tamponamento frontale: mi alzai a fatica dal letto e, notando di aver ancora addosso tutti i miei abiti, mi trascinai con lentezza verso lo specchio del mio comò.

I miei occhi si sgranarono non appena osservai la mia mia figura riflessa: occhiaie evidenti come dopo infinite notti insonni, l'incarnato della mia pelle pallido come quello di un cadavere lasciato incustodito per più di due giorni e gli occhi spenti e dispersi come quelli di qualche drogato che passa le sue giornate a farsi di roba strana.

Potevo in qualche modo considerarmi nelle peggiori condizioni in cui fossi mai stata contando che, aldilà del mio aspetto del quale non interessava a nessuno, continuavo a non aver in mano niente e a non aver tirato fuori mia figlia da quella situazione.

Decisi così di dover dare una svolta a quelle circostanze che, onestamente, stavano cominciando a stancarmi.
Mi tolsi quegli orribili abiti di dosso e mi piombai in doccia, dove restai per circa un'ora, immersa nell'acqua calda ed immobile a fissare le piastrelle del bagno, mentre riflettevo su cos'avrei dovuto fare.

In fine, quando pensai di aver perso abbastanza tempo e lacrime a pensare a dove potesse essere Lise, in quel momento, chiusi l'acqua e mi rivestii con dei semplici pantaloni di una tuta nera, un maglioncino di lana e una crocchia disordinata.

Sightings - ZAYNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora