4. Rabbia e imbarazzo

4.1K 372 43
                                    


4
RABBIA E IMBARAZZO


Un animo onesto
quando viene offeso
si irrita più del normale.
Publilio Siro



Erano passate esattamente tre settimane dalla morte di sua sorella.

Non si era mai concesso il lusso di piangere, di soffrire, di sentirne la sua mancanza. Si ripeteva che le aveva voluto bene, che gliene avrebbe voluto sempre, ma che non erano mai stati quel genere di fratelli uniti da un legame indissolubile - a malapena si raccontavano le cose fondamentali delle loro rispettive vite - e di conseguenza non c'era alcun bisogno di dolersi per la sua scomparsa. Certo, quando si soffermava a guardare i lineamenti dolci di Pietro, già molto simili a quelli della madre, avvertiva una morsa stringergli il petto e lo stomaco, ma dopo i primi giorni di tormento era riuscito ad esorcizzare anche quel tipo di dolore. Stava bene. O, per lo meno, così diceva.

Allo stesso modo, erano passate due settimane da quando quel rospetto di suo nipote gli aveva invaso casa. Non era brutto, era solo strano. Piccolo, rosa, pieno di pieghette, probabilmente pronto a spezzarsi in mille pezzi se solo lo avesse toccato nel modo sbagliato. A Claudio sembrava un ranocchio e spesso si era ritrovato a chiamarlo così anziché usare il suo vero nome.

Non aveva ancora imparato granché sui bambini e su come crescerli, in realtà, ma per fortuna c'era Mario.

Mario. Dannazione!, imprecò tra sé e sé spingendosi ancora una volta dentro le carni di quel ragazzo posizionato a 90 davanti a lui. Accelerò il ritmo, facendo gemere brutalmente lo sconosciuto del giorno che era già venuto una volta sotto alle sue spinte, fino a riversarsi a sua volta dentro di lui sentendo l'altro esplodere in un nuovo orgasmo. Si rivestì velocemente e con un cenno del capo congedò il biondino ancora steso con il busto sulla superficie in cui avevano consumato per riprendere fiato.

Corse a casa cercando di fare il prima possibile e quando si chiuse la porta alle spalle l'odore pungente di ospedale gli fece storcere il naso.

Aveva chiamato Mario, quel pomeriggio, chiedendogli di raggiungerlo dopo il suo turno di tirocinio e il più grande non se l'era fatto ripetere due volte. Solo un'ora dopo, infatti, si era presentato a casa sua, ancora l'odore dei reparti sulla pelle.

Era diventata una cosa usuale ormai, in realtà. Dopo quel giorno di due settimane prima, il giorno in cui Mario aveva infranto il suo giuramento di non pensare mai più al caso della famiglia Sona, non c'era stato dì in cui Claudio non lo avesse chiamato in suo soccorso. E Mario non si era mai tirato indietro sebbene ogni volta almeno per un'ora il castano se ne andasse lasciandogli il totale comando della situazione. Un po' perché era maledettamente attratto da quello sguardo verde, ma un po' soprattutto perché aveva potuto vedere con i suoi occhi quanto Claudio fosse incapace di prendersi cura da solo di quel bambino. Si era ripromesso di aiutarlo un po', di insegnargli le basi, di fargli capire come e cosa fare nelle diverse situazioni, giusto il tempo di assicurarsi il benessere di Pietro. Così, quando Claudio lo chiamava in preda alla disperazione, accorreva in suo soccorso per accertarsi che il più piccolo stesse bene e che il più grande non avesse commesso qualche errore che potesse ledere la serenità di suo nipote. D'altronde Mario amava i bambini e non avrebbe mai permesso che gli succedesse qualcosa sapendo di poterlo evitare.

Claudio avanzò tra le mura di casa, completamente avvolta nel silenzio, e un sorriso si fece spazio sul suo volto quando, arrivato in salotto, scorse la figura esile di Mario addormentata sul tavolo. C'erano dei libri aperti e qualche foglio sparso qua e là: probabilmente si era assopito mentre cercava di studiare qualcosa. Solo qualche metro più distante, la carrozzina con dentro il ranocchio spaparanzato a gambe e braccia aperte.

L'aria per me Where stories live. Discover now