26. Sbagliare

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26
SBAGLIARE


Non esistono errori
ma opportunità
per conoscere le cose.
Ugo Foscolo



Mario si allontanò da quella casa incespicando sui suoi stessi piedi. Si lasciò alle spalle la fermata del bus e continuò a correre senza una meta. Gli occhi lucidi gli offuscavano la vista ma le gambe non ne volevano sapere di fermarsi.

Sentì l'aria mancargli dai polmoni e il fiato venir meno solo dieci minuti più tardi. Si accasciò sulle ginocchia e appoggiando le mani sull'asfalto sporco si concesse il privilegio di respirare.

Assieme al respiro si riattivarono anche i neuroni e in quel momento ammise a se stesso di non essersi mai sentito così tanto arrabbiato in vita sua come allora. Perfino le orecchie gli fischiavano per quanta rabbia sentiva montargli dentro, e sì maledì per essersi fidato ancora una volta di quella famiglia che a quanto pareva non era mai stanca di prendersi gioco di lui.

Ingenuo. Ecco cos'era. E anche troppo buono. Ma ormai era stanco di tutto e le cose sarebbero cambiate. Questo se lo promise.

Eppure l'immagine di Claudio immobile sul divano non riusciva a togliersela dalla testa. La pelle arrossata, strisci simili a graffi sul volto, gli occhi vitrei. Gli era apparso così diverso dal Claudio che conosceva lui, come se quello fosse solo un suo fantasma, che per un attimo aveva fatto fatica a riconoscerlo.

Lo odiava, eppure non riusciva a toglierselo dalla mente.

Urlò.

Aveva così tanto bisogno di liberarsi e sfogarsi che semplicemente lasciò che la voce uscisse prepotente dalla sua gola scagliandosi contro il cielo al quale si era ritrovato a chiedere più volte aiuto nelle notti di disperazione.

Un'anziana signora uscì di casa preoccupata. Gli chiese se si sentisse male e lo affiancò accarezzandogli la schiena ricurva. Mario scosse la testa e provò ad alzarsi barcollando un po'. Le sorrise per gentilezza, quel tanto che riuscì ad incurvare le labbra, e la ringraziò per essersi accorta di lui ed essere accorsa. La donna però era una madre e una nonna, e non se la sentì di lasciarlo da solo. Gli chiese di chiamare qualcuno che lo riaccompagnasse a casa e nel farlo Mario notò tutte le chiamate in entrata che continuavano ad arrivargli e imprecò tra sé e sé.
Non seppe come ma si ritrovò nel giardino dell'anziana signora a sputare parole di veleno su Claudio e Martina mentre aspettava che Giulio andasse a prenderlo, senza spiegarle nulla e raccontando frammenti di eventi senza un filo logico tra di loro, e la signora lo ascoltò accarezzandogli di tanto in tanto una mano senza proferir parola, che Mario aveva bisogno di liberarsi e lei lo aveva capito.

Prima di andarsene si scusò e le promise che sarebbe tornato a trovarla in un giorno migliore, e Giulio la ringraziò per essersi presa cura del suo amico.

"Cosa ci facevi nei paraggi di casa di Claudio?", lo fermò sull'uscio di casa loro una volta rientrati.

"Mi facevo prendere per il culo un'altra volta", rise.

"In che senso?".

"Nel senso che mi ha chiamato la babysitter di Pietro dicendo di aver bisogno di me e che Claudio non c'era, invece indovina com'è andata?", rise di nuovo, in un modo così cinico che a Giulio quasi spaventò.

"Claudio era lì?".

"Wow, bingo!", aprì il frigorifero, Giulio al suo seguito, in cerca di qualcosa che non sapeva nemmeno lui cosa fosse.
Lo richiuse con un tonfo qualche istante dopo, sbuffò, nel viso un cipiglio grave e i lineamenti duri, poi si appoggiò sullo stesso sbattendo la testa all'indietro.

L'aria per me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora