35. Roma

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ROMA


Ogni atto di creazione è,
prima di tutto,
un atto di distruzione.
Pablo Picasso



Prima di partire per Roma Mario era stato costretto a recarsi ancora una volta in caserma. Il maresciallo aveva voluto interrogarlo una seconda volta probabilmente con la speranza di ottenere qualche informazione in più circa l'auto dichiarazioni di Claudio Sona, ma da parte di colui che, a suo dire, avrebbe dovuto essere la vittima non ricavarono nulla di diverso da ciò che già avevano annotato durante il primo colloquio.
Mario era fermo sulla sua decisione e non avrebbe cambiato idea per nulla al mondo.

Subito dopo aveva finalmente preso quel treno che non prendeva da quasi un anno. Quello che lo avrebbe riportato dalla sua famiglia che non vedeva da troppi mesi perché ormai la sua vita era a Verona.

L'ultima volta erano stati i suoi genitori a salire a trovarlo, quindi tornare nella sua città natale dopo veramente tanto tempo fu una boccata di aria fresca.

Arrivato a Roma, con la valigia ancora sui gradini del treno e con un piede ancora su, venne circondato da tutti i suoi più cari affetti, la famiglia e gli amici di una vita, e lì capì che tutto quello era ciò di cui aveva bisogno in quel momento per staccare la spina.

I primi due giorni venne sballottato da una parte all'altra. Pranzi in famiglia, cene dai nonni, festa a sorpresa dagli zii: non ebbe nemmeno il tempo materiale per fermarsi a pensare, se non qualche istante la sera prima di crollare esausto nel suo letto d'infanzia.

Il terzo giorno, invece, si trovò al parchetto con i suoi amici.
Matteo, Alvise e Vittorio erano i suoi compagni di vita e quel parchetto era il loro posto nel mondo. Era lì che avevano passato la maggior parte del loro tempo, da bambini per giocare, da adolescenti per parlare di stupidaggini, di cotte e di scuola, e per stare in compagnia.

Adesso, in veste di quattro ragazzi che piano piano si spingevano verso l'adultità, i loro discorsi erano decisamente cambiati.

Mario non aveva mai avuto il coraggio di rivelargli tramite telefonate o videochiamate ciò che era successo tra lui e Claudio e quando lo avevano sentito o visto giù di morale lui li aveva sempre tranquillizzati dicendo che semplicemente era stressato per l'università. Non che loro ci avessero mai creduto davvero, chiaramente, ma erano stati in grado di accettare la sua volontà di non parlarne e lo aveva rispettato in silenzio. Intanto prima o poi gliene avrebbe parlato, ne erano certi. E infatti, seduti sull'erba poco lontani dagli schiamazzi dei bambini intenti a giocare, dopo aver parlato di esami, tirocinio e ragazze con cui i suoi tre amici uscivano, Mario sentì l'impellente bisogno di sfogarsi con loro.

"La mia vita sta andando a rotoli", esordì facendo calare il silenzio tra di loro. Sei occhi gli si puntarono addosso e giurò di aver sentito Vittorio trattenere addirittura il fiato.

"Non so nemmeno più chi sono", abbassò lo sguardo, "e dentro di me covo così tante emozioni contrastanti che mi sembra di impazzire".

Alvise provò a parlare ma gli altri due lo zittirono.

"Io e Claudio abbiamo rotto, qualsiasi cosa ci fosse tra di noi non c'è più", ammise ai suoi amici che conoscevano la natura particolare del loro rapporto, "si è... lui... mi ha fatto male", iniziò a strappare dei fili d'erba, "tanto. Poi io ne ho fatto a lui. E siamo addirittura finiti dai carabinieri e io, non lo so, non capisco più niente, poi mi sembra di esserne ancora innamorato e un secondo dopo lo odio e voglio che soffra", spiegò parlando velocemente come a voler finire presto il discorso, "la settimana prossima, quando torno a Verona, ho una seduta da uno psicologo", confessò, "ho bisogno di aiuto altrimenti non ne uscirò mai".

L'aria per me Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum