34. Addio

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ADDIO


Si può odiare
continuando
ad amare.
Jean Claude Izzo




Mario si svegliò stretto da due braccia possenti e con un leggero sottofondo musicale.
Aprì lentamente gli occhi e ci mise un po' prima di mettere a fuoco la stanza perché l'unica fonte di luce proveniva dalla tv accesa sui titoli di coda di un film.

Alzò piano il capo dal petto sul quale era adagiato e nonostante il buio venne investito dalla luminosità degli occhi di Claudio che lo fissavano e che erano rimasti vigili tutto il tempo per la paura di riaprirsi e non vedere più Mario come era successo solo qualche giorno prima.

A quella visuale, si sentì precipitare giù da un burrone.

Ci era ricaduto di nuovo.

Era di nuovo corso da Claudio resettando le ragioni della mente e seguendo solo l'istinto senza nemmeno rendersene conto.
E quella volta non poteva nemmeno sgattaiolare via come un ladro perché il castano era lì e lo stava guardando con quegli occhi carichi di parole.

Si sentì andare in frantumi.

Aveva passato gli ultimi giorni a impegnarsi per ripartire da zero a ricostruire la sua vita e invece eccolo lì, di nuovo punto e a capo tra le braccia di colui che lo aveva distrutto in quel modo e ridotto in quello stato.

"Ciao", sussurrò Claudio ignaro dei pensieri dell'altro, prendendo ad accarezzargli la schiena, e Mario sentì il cuore iniziare a ribellarsi nella cassa toracica e il panico riaffiorare. Non poteva essere vero. Non poteva continuare a finire in quella casa. Non poteva ricorrere sempre a quel ragazzo come se fosse la sua cura personale e al contempo la sostanza tossica che lo ammorbava. Doveva iniziare ad essere più forte di così, doveva cominciare a mettere dei paletti, e smetterla di ricadere sempre negli stessi errori. Doveva imparare da Claudio, forse, ad aver paura di sbagliare e così magari non sbagliare più. Eppure, guardando quel verde, sbagliare sembrava essere la cosa più bella e giusta del mondo.

Gli venne da piangere. Era come se non capisse più niente, assolutamente nulla, della vita. Si sentiva in balia di un burattinaio che si divertiva a muovere i sui fili. Si sentiva proprio un fantoccio, uno sciocco, una persona debole. E ad un certo punto le lacrime iniziarono davvero ad agglomerarsi agli angoli dei suoi occhi.

Il volto del ragazzo sotto di lui cambiò: da disteso si fece improvvisamente grave. Mario fece leva sulle braccia e si alzò da quel corpo tanto accogliente quanto funesto mettendosi a sedere e provò a respirare in maniera regolare mentre sentiva l'ansia strizzargli lo stomaco. 

Claudio si alzò alla velocità della luce e gli si inginocchiò di fronte afferrandogli le mani tremanti.

"Cosa succede?", gli chiese preoccupato, "Mario, tesoro, guardami", si agitò vedendo il corpo del moro scosso da dei fremiti, il suo respiro farsi sempre più veloce e le lacrime scendere libere lungo le sue guance. "Ti senti male?". Ma Mario non accennava a volerlo guardare, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza e il cuore a pulsare in gola serrandogliela in una morsa stretta.

Claudio andò in panico. Cercò di attirare l'attenzione del moro, di calmarlo, eppure il quasi ostetrico sembrava non riprendersi. Si vide costretto ad afferrare il cellulare e chiamare Giulio per chiedergli se, per i sintomi manifestati, fosse il caso di chiamare un'ambulanza, ma quest'ultimo gli spiegò cosa fare nell'attesa che arrivasse lui senza ricorrere al pronto soccorso.

Con l'ansia nel cuore Claudio accese la luce e poi gli si inginocchiò nuovamente di fronte afferrandogli il volto tra le mani obbligando l'altro a guardarlo, e solo quando vide il nero intenso e lucido fissarsi in maniera autentica nei suoi occhi iniziò ad accarezzargli il volto lentamente. "Va tutto bene, segui il mio respiro", inspirò ed espirò a lungo, "bravo, così", con i pollici cacciò via le lacrime che gli rigavano il viso, "è tutto ok, bravissimo", continuò sentendosi un po' più leggero perché Mario lo stava finalmente ascoltando e per questo si stava piano piano riprendendo. Quando lo vide più tranquillo rassicurandolo ulteriormente gli andò a prendere un bicchiere di acqua e dopo averlo appoggiato, vuoto, sul tavolo lo affiancò sul divano asciugandogli gli ultimi residui di lacrime.

L'aria per me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora