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Seguii le indicazioni che mi aveva dato il dottor Barnes e parcheggiai l'auto dietro il palazzo, nei posti riservati ai condomini. Prima di uscire dalla macchina, però, mi presi due minuti per riflettere e osservare dove mi trovavo. Mi sentivo così strana che non sapevo dire se la mia fosse felicità o tristezza.
Dopo anni passati con Dominic ero pronta a dare una svolta alla mia vita. A ricominciare dall'inizio. A fare cose che non avevo mai potuto fare perché Dominic non era d'accordo: tenere il televisore acceso fino a tardi o preparare un dolce con la cannella, che lui odiava.
Mi avvicinai al volante, alzando lo sguardo per osservare meglio il palazzo di fronte a me. Era una recente costruzione di quattro piani dall'aria moderna. I mattoni rosso scuro ricoprivano interamente tutte le pareti, conferendo al palazzo un aspetto leggermente antiquato che si intonava alla perfezione con la moderna porta blindata che c'era all'ingresso e le finestre nuove dai vetri splendenti. Strinsi tra le mani le chiavi che mi aveva il dottor Barnes, poi, facendomi coraggio, presi la borsa e scesi dalla macchina. L'aria fresca mattutina mi scompigliò i capelli e la respirai come se fosse la prima volta. Mi sentii libera.
Recuperai dal bagagliaio le due scatole e mi avviai verso la porta blindata. Mettendo a dura prova il mio equilibrio, riuscii ad entrare nel palazzo e, alzando lo sguardo al di sopra delle scatole, intravidi l'ascensore. Era in fondo ad un corridoio semibuio, che si illuminò improvvisamente appena mossi un passo. Delle luci a neon bianche si accesero e io mi guardai intorno allarmata; ma poi mi accorsi di essere sola. Le luci si erano accese grazie ad un sensore.
Attraversai il corridoio, il cui pavimento era coperto da un lungo tappeto grigio scuro. La stessa tonalità di colore era stata utilizzata per dipingere le pareti, tranne il soffitto che era bianco. Raggiunsi l'ascensore, premetti il pulsante di chiamata e aspettai. Il peso della scatole cominciava a farsi sentire, ma non avevo intenzione di risposarmi e appoggiarle a terra. Le porte d'acciaio nuove e lucide si aprirono e feci per entrare nell'abitacolo, ma andai a sbattere contro qualcuno.
"Mi scusi tanto" dissi, guardando al di là delle scatole.
Incontrai due occhi color ghiaccio incorniciati da ciglia lunghe e chiare.
"Quante volte ti ho detto di smetterla di camminare mentre guardi il cellulare?" Una voce irritata e bassa mi fece quasi sorridere. "Lo perdoni, signorina, ma lui non riesce mai a staccarsi da quell'aggeggio."
Un'anziana signora dai capelli grigi e la corporatura esile e ingobbita dalla vecchiaia comparve nella mia visuale.
"Mi dispiace," mi scusai nuovamente, "non ho visto..."
"Non ti preoccupare, non è colpa tua." L'uomo dagli occhi color ghiaccio infilò il cellulare nella tasca anteriore dei pantaloni, poi rivolse un'occhiata truce all'anziana.
"Beh, ti devo anche insegnare le buone maniere? Aiuta la ragazza con quelle scatole" ordinò l'anziana, dando un colpetto al gomito dell'uomo.
"No, grazie, ce la faccio da sola" mi affrettai a rispondere, ma ormai l'uomo aveva già preso dalle mie mani le scatole.
"Piano?" mi chiese, mentre guardava i tasti dell'ascensore.
"Davvero, non ce n'è bisogno." Feci per riprendere le scatole, ma lui si spostò.
"Oh, lo so che non hai bisogno del mio aiuto. Sono piuttosto leggere" esordì l'uomo senza smettere di guardarmi. "Però mia nonna si lamenterà tutto il giorno se non ti aiuto e non farà bene alla sua salute. Quindi, a che piano?"
Senza rispondere premetti l'interruttore del terzo piano e osservai le porte chiudersi.
"Devi smetterla di comportarti così con tutte le persone che incontri" lo rimproverò l'anziana.
"Mmh." L'uomo alzò gli occhi al cielo, poi mi rivolse un sorriso di scuse.
"E devi smetterla di stare sempre con gli occhi fissi su quel telefono."
"Devo gestire le pratiche..." si interruppe e mi guardò, come se si fosse appena reso conto della mia presenza.
Le porte dell'ascensore si aprirono improvvisamente e io uscii all'istante. L'anziana mi seguii, dietro di lei l'uomo. Raggiunsi l'appartamento e infilai la chiave nella serratura, ma prima di girarla mi guardai attorno. Il corridoio in cui mi trovavo era uguale a quello che avevo attraversato pochi minuti prima. Stesso tappeto, stesso grigio alle pareti.
Quando aprii la porta dell'appartamento, notai che l'anziana e l'uomo si stavano scambiando occhiate curiose e perplesse. L'ultima cosa che volevo fare era attirare l'attenzione.
"Non sei la figlia di Garry, vero?" domandò l'anziana.
"Garry?" ripetei, varcando la soglia.
"Garry Barnes" intervenne l'uomo seguendomi.
Gli indicai un angolo sul pavimento e lui appoggiò le due scatole.
"Oh, no, non sono sua figlia."
Entrambi rimasero in silenzio e mi guardarono. Solo in quel momento mi resi conto che avevano gli stessi occhi color ghiaccio.
"Sono un'amica di famiglia" mi affrettai a dire per colmare quel silenzio.
Prima che potessi aggiungere altro, l'uomo fece un passo verso di me allungando una mano.
"Stephan Brimbley. Mia nonna abita nell'appartamento affianco" si presentò con fare sicuro e determinato.
Gli strinsi debolmente la mano. "Mi chiamo Haylee."
"Io sono Margaret Brimbley, sua nonna" disse l'anziana con un sorriso scherzoso sul volto.
Strinsi anche la sua mano, poi distolsi lo sguardo perché iniziai a sentirmi a disagio.
"Hai altre scatole da portare qui?" domandò l'uomo.
Io scossi prontamente la testa. "Mi manca solo una valigia, ma ce la faccio da sola."
Lui annuì. "Allora il mo lavoro qui è finito."
"Grazie ancora."
"Figurati. Se hai bisogno di qualcosa, bussa alla porta affianco." Fece un cenno della testa in direzione della porta in fondo al corridoio, poi diede un colpetto alla spalle di sua nonna. "Pronta?"
L'anziana annuì e insieme uscirono dall'appartamento. Il mio appartamento.
"Ricordati che dobbiamo comprare delle costine per la cena di stasera" disse lei dopo avermi salutata.
Li seguii con lo sguardo e, appena scomparvero dentro l'ascensore, io imboccai le scale e tornai alla macchina per prendere la valigia.
Cinque minuti più tardi ero immobile all'ingresso dell'appartamento, immersa nel buio, la porta chiusa alle mie spalle. Dovevo accendere la luce e vedere ed esplorare la mia nuova casa, ma qualcosa me lo impediva. Agitazione, euforia, paura. Un miscuglio di emozioni che mi faceva sentire un'estranea nel mio stesso corpo. Non ero più Haylee, la vecchia Haylee sempre sorridente e solare. La vecchia Haylee che amava stare all'aria aperta e uscire con le amiche.
Feci un respiro profondo e mi decisi ad accendere la luce. Cercai a tentoni l'interruttore e, quando lo premetti, la stanza si illuminò.
La prima cosa che notai fu la cucina: ampia, spaziosa, con un grande ripiano a isola nel mezzo. Non avevo mai visto una cosa del genere. Non aveva nulla a che fare con la piccola cucina della casa di Dominic, ed era addirittura più grande di quella di mia madre. Abbandonai l'ingresso e, compiendo lenti passi sul pavimento ricoperto di piastrelle scure, mi avvicinai all'isola. Troneggiava con la sua grandezza sul resto dell'arredamento. Il ripiano era in granito, freddo e scuro, ma il resto era fatto di legno di un colore simile a quello delle piastrelle. Cassetti e credenze si trovavano su ogni lato dell'isola. Contro la parete, invece, c'era il resto dell'arredamento: i fornelli in vetroceramica, il lavandino in acciaio, il frigo a due ante. Mi sembrava di essere in un castello.
Una grande portafinestra con le tendine chiuse conduceva ad un balcone. Mi avvicinai e permisi ai raggi del sole di entrare. La cucina venne subito invasa da una luce più potente di quella delle lampadine e non potei fare a meno di sorridere. Non avevo mai visto nulla di così luminoso. Aprii la finestra e andai in balcone, anch'esso fatto di mattoni rosso scuro. In un angolo si trovava una piccola pianta secca, mentre in un altro c'era un minuscolo tavolino rotondo con due sedie nere. Quello sarebbe stato il luogo perfetto dove fare colazione e, forse, dove ricominciare a scrivere i miei articoli.
Mi sedetti su una delle sedie e assaporai quel momento di libertà. Avevo davvero bisogno di sentirmi libera, me stessa. Da troppo tempo ormai non mi riconoscevo più: Dominic mi aveva reso una persona triste, seria, priva di ambizioni. Ero diventata uno zombie. Lui mi aveva fatto abbandonare la mia passione per il giornalismo, mi aveva rinchiuso in casa facendomi perdere tutte le mie amiche. Con la decisione di scappare avevo cambiato la mia vita: potevo tornare ad essere la ragazza di prima. Col tempo sarei tornata a sorridere.
Passai il resto della giornata a sistemare le poche cose che avevo e ad ammirare la mia nuova camera da letto. Grande, moderna, piena di luce grazie a un'enorme finestra e con un materasso più grande di quello della casa di Dominic.
Quell'appartamento era un vero e proprio paradiso.

Life - Ricominciare a vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora