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"Siediti qui." Trevor scostò uno sgabello della cucina e io obbedii.
Piangevo ancora, ma meno rispetto a qualche minuto prima. Mi calmai del tutto solo quando Trevor mi porse dei fazzoletti e un bicchiere d'acqua e si mise davanti a me.
"Cos'è successo?" mi domandò quando finii di soffiarmi il naso.
"Dammi qualcosa che mi faccia dormire. Qualsiasi cosa. Tranquillanti, sonniferi. Ti prego."
Lui si accigliò nel sentire le mie parole
"Non ti prescriverò nulla."
"Trevor" lo implorai.
"Haylee, dimmi cos'è successo."
Lo fissai a lungo, chiedendomi quanto ancora sarei riuscita a sopportare tutto quanto.
"Mi tormenta giorno e notte."
"Dominic?"
Assentii. "Ho avuto un altro incubo."
"Vuoi parlarne?" Trevor si appoggiò al ripiano della cucina.
Non risposi subito: la mia mente era occupata a rivivere l'incubo che mi aveva scosso.
"Ho paura di dormire. So che lo sognerò di nuovo. Trevor, ti prego, dammi qualcosa."
Lui scosse la testa, facendomi sprofondare nella disperazione. "Sei una donna forte. Non hai bisogno di quel genere di cose."
"Come fai a dirlo? Sono qui, praticamente disperata. Non sono forte."
"Sì, lo sei." Trevor mi guardò con determinazione e io mi persi nei suoi occhi.
Improvvisamente mi scordai dell'incubo, concentrandomi solo sulla persona che avevo davanti.
"Non permettere alla paura di abbatterti."
Lo fissai a lungo, assorbendo ogni sua parola.
"Non arrenderti" mi incoraggiò, stringendomi le mani tra le sue.
Annuii lentamente. "Sai sempre cosa dire."
Trevor mi rivolse un sorriso sincero e io arrossii. Non mi capitava da diverso tempo, addirittura anni, e la cosa mi fece sentire meglio.
"Mi dispiace averti svegliato."
Si fece serio senza distogliere lo sguardo dal mio. "A me no."
Si avvicinò ancora un po', permettendomi di sentire il calore del suo corpo. Indossava una maglietta a maniche corte spiegazzata e un paio di pantaloni di una tuta verde scuro. Mi sembrava di vederlo sotto una nuova luce: non era più l'uomo professionale e ben vestito che avevo conosciuto. Era più rilassato, dimostrava qualche anno di meno rispetto alle altre volte che l'avevo visto; ma era bellissimo comunque.
"Hai da fare domani sera?"mi domandò a bassa voce.
Non c'era nessuno in casa a parte noi; eppure quel suo tono rendeva tutto più misterioso.
"No" dissi piano, scuotendo lentamente la testa.
"Conosco un posto dove si mangia molto bene. Vorresti venire a cena con me?"
Un appuntamento? Trevor mi stava chiedendo di uscire con lui.
"È un..."
"Appuntamento?" mi interruppe con voce dolce. "Sì, lo è."
Lo guardai sorpresa. Sapevo che era combattuto per via del fatto che ero una sua paziente, e, nonostante le ultime volte avesse vinto quella lotta, non pensavo che si sarebbe deciso a compiere un passo così importante. Così ufficiale.
"Dimmi di sì" mi pregò con voce bassa e determinata dopo aver notato il mio lungo silenzio.
"Okay, sì."
Gli occhi di Trevor si illuminarono di una luce sensazionale. Sembrava che qualcuno gli avesse fatto il regalo più bello del mondo.

Una luce accecante mi svegliò, obbligandomi a coprirmi il viso con il cuscino e a seppellirmi sotto le coperte. Avevo un po' di mal di testa, ma niente che un ibuprofene non potesse curare. Ormai la stanchezza mi aveva abbandonato del tutto e, siccome non volevo stare a letto per il resto della mattina, decisi di alzarmi. Scostai le lenzuola e il copriletto, ma quando mi misi a sedere, mi accorsi di non essere nella mia stanza.
Ero in una camera diversa dalla mia, con un letto più piccolo, un armadio più ampio e le pareti più scure.
Mi sentii quasi subito investita dal panico, ma poi il mio cervello si decise a lavorare e ricordai tutto. Ero a casa di Trevor, nella stanza degli ospiti.
Mi alzai in piedi, stendendo i muscoli intorpiditi e osservandomi intorno. Nel momento in cui guardai fuori dalla finestra, sentii un rumore provenire dal piano di sotto.
Uscii dalla stanza con passo lento e incerto, poi mi diressi verso la cucina, dove trovai Trevor.
Era seduto al tavolo con una tazza di caffè davanti e il cellulare in una mano. Appena percepì la mia presenza, alzò lo sguardo su di me.
"Buongiorno" mi salutò con un sorriso un po' tirato.
"Ciao." Mi accomodai di fronte a lui.
Indossava dei jeans e una camicia, e capii che per lui era ora di andare al lavoro. Solo quando incontrai il suo sguardo, mi resi conto di quanto fosse stanco. Inevitabilmente il mio senso di colpa aumentò.
"Trevor, mi dispiace di essere piombata qui nel bel mezzo della notte."
Appoggiò il telefono sul tavolo. "Devi smetterla di scusarti. Lo hai già fatto e io ti ho detto che non è un problema."
Si alzò e andò verso la macchinetta del caffè. Prese una tazza pulita, la riempì e me la passò.
"Grazie" dissi, annusando l'inconfondibile aroma di caffè appena fatto.
Lo bevvi in silenzio e quando finii scattai in piedi.
"È meglio che vada. Non voglio farti arrivare in ritardo al lavoro."
Presi la borsa che avevo lasciato sul divano, ma non feci in tempo ad arrivare alla porta perché Trevor mi sbarrò la strada.
"Dove pensi di andare?" domandò con un sorrisetto furbo.
"A casa" replicai spostandomi di lato.
"Aspetta." Trevor mi afferrò per il gomito e mi attirò a sé.
Le sue labbra si posarono sulle mie, lasciandomi un sapore di menta e caffè sulla pelle. Ci baciammo per qualche secondo, anche se a me sembrò durare molto di più, poi Trevor si staccò e mi stampò un bacio leggero sulla fronte.
"Ti passo a prendere alle sette" mi informò prima di lasciarmi andare.

Erano anni che non mi concentravo sul mio aspetto fisico. Da anni non mi preoccupavo di cosa indossare, come truccarmi e che pettinatura fare. Mettevo semplicemente quello che trovavo nell'armadio e legavo i capelli in una coda alta. Il trucco che utilizzavo era solo il fondotinta, che nell'ultimo periodo serviva a coprire i segni che mi lasciava Dominic.
Nell'arco di poche settimane la mia vita era cambiata radicalmente.
Mi feci un lungo bagno caldo per calmare i nervi, mentre ascoltavo una canzone che si diffondeva nella stanza grazie a una piccola radio. Si trattava di una delle poche cose che la figlia del dottor Barnes aveva lasciato.
Quando uscii dalla vasca, mi avvolsi nel mio morbido accappatoio azzurro e andai in camera. Una volta davanti all'armadio, mi decisi a rovistare tra i vestiti che non indossavo da troppo tempo. Ne avevo alcuni a maniche lunghe, altri senza spalline e con scollature di vario genere e ce n'era uno con lo spacco che metteva in mostra le mie forme.
Quello era il mio preferito. Lo avevo comprato in un negozio fuori dal centro un anno prima. Era l'ultimo vestito di quel modello e, dopo averlo provato, avevo deciso di non farmelo sfuggire.
Era rimasto chiuso nell'armadio per diverso tempo, ma sapevo che era arrivato il momento di indossarlo.
Indossai l'abito, nero come i miei capelli, al quale abbinai un paio di décolleté rosse della stessa tonalità della borsetta.
Quando mi guardai allo specchio, sentii le lacrime riempirmi gli occhi. Davanti a me c'era Haylee, ma era così diversa rispetto a poche settimane prima. La persona che vedevo riflessa nello specchio era una giovane donna dall'aria felice.
Ero cambiata: non solo mentalmente, ma anche a livello fisico. Avevo preso un paio di chili che mi stavano bene e mi donavano un aspetto molto più sano; i miei capelli erano diventati più lucidi e luminosi, mentre prima erano rovinati e spenti, e la mia pelle non era più pallida come una volta.
Decisi di legare i capelli in una coda laterale e arricciai qualche ciocca per conferire alla pettinatura un aspetto leggermente mosso. Non mi truccai molto e, soprattutto, non utilizzai il fondotinta. Misi soltanto un po' di mascara e di ombretto scuro, poi terminai con un rossetto rosso.
Finii di prepararmi in anticipo di dieci minuti e, quando cominciai a innervosirmi, capii che avrei dovuto impiegare più tempo in modo da tenermi occupata.
Non sapevo cosa fare per distrarmi, così iniziai a camminare avanti e indietro per il soggiorno. Quando feci il giro della stanza per l'ottava volta, il campanello suonò e mi bloccai davanti al divano.
Il cuore minacciò di uscirmi dal petto.
Andai al citofono con passo calmo e controllato, anche se in realtà volevo correre.
"Chi è?" domandai con voce controllata.
"Sono Trevor." Mi parve di sentire una nota divertita nel suo tono.
"Scendo subito."
Dopo aver preso la borsetta e dato un'ultima occhiata al mio aspetto, uscii dall'appartamento. Mentre ero in ascensore, mi sforzai di calmarmi e di cercare di essere tranquilla e serena per tutta la sera. Praticamente impossibile.
Le porte dell'ascensore si aprirono sull'atrio del palazzo, il mio respiro si fermò.
Intravidi Trevor, al di là dell'ingresso, che mi dava le spalle. Forse anche lui era nervoso.
Feci un profondo respiro e mi incamminai nella sua direzione. I tacchi facevano rumore contro il pavimento di marmo e, per un attimo, mi sentii a disagio e inquieta. Forse avevo esagerato con il mio abbigliamento. Forse dovevo mettermi un paio di jeans e degli stivali.
Probabilmente tutta la mia insicurezza era dovuta al fatto che non mi vestivo in quel modo da molto tempo e che le emozioni che provavo mi erano quasi estranee.
Quando aprii la porta dell'ingresso e uscii dal palazzo, Trevor si girò subito verso di me.
In quell'esatto istante, tutte le mie insicurezze scomparvero vedendo i suoi magnifici occhi scrutarmi con ammirazione.
I miei dubbi si sciolsero come neve al sole.
"Ciao" lo salutai con l'intento di mostrarmi rilassata.
Trevor non rispose subito; continuò a osservarmi con uno sguardo che non avevo mai visto prima.
Quando incontrò i miei occhi, mi mostrò il sorriso più bello che mi avesse mai rivolto.
"Ciao, Haylee. Sei... Wow." Fece un paio di passi verso di me, poi si chinò e mi diede un bacio sulla guancia.
Sinceramente, sperai che posasse le sue labbra sulle mie togliendomi il fiato, ma dovetti ricredermi. Mi accontentai perché il bacio che mi aveva dato era pieno di promesse. Promesse che non vedevo l'ora che lui mantenesse.
Trevor mi mise una mano sulla schiena accompagnandomi alla sua auto, e da vero gentiluomo mi aprì la portiera e mi aiutò a salire.

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