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Erano passati due giorni da quando il dottor Barnes aveva scoperto di me e Trevor. Due giorni dall'ultima volta che avevo visto e sentito Trevor. Quello era stato il fine settimana più lungo di tutta la mia vita. Avevo contato i minuti e le ore nell'attesa di ricevere un messaggio o una chiamata da parte di Trevor, ma non era successo niente di quello che avevo sperato. Lui non era nemmeno venuto a casa mia. Avevo provato a chiamarlo cinque volte, ma ad ogni telefonata rispondeva la segreteria telefonica. Nonostante tutto, dentro di me c'era ancora un piccolo barlume di speranza: avrei parlato con Trevor.
Entrai nell'edificio determinata a sapere di cosa avessero parlato lui e il dottor Barnes. Volevo anche trovare un modo per chiarirmi con quest'ultimo, ma prima dovevo parlare con Trevor.
Rebekkah mi accolse con un sorriso sgargiante che mi fece subito innervosire e mi indicò l'ascensore, invitandomi a salire al piano superiore. Non indossava i soliti occhiali neri e rettangolari come gli altri giorni, bensì un paio di lenti a contatto che rendevano il suo sguardo ancora più intenso. Oltrepassai la reception in fretta e, invece di prendere l'ascensore, optai per le scale, che salii di corsa. Quando raggiunsi la piccola sala d'attesa, notai che la porta dell'ufficio di Trevor era aperta, così bussai ed entrai. Ero pronta a tutto, tranne a quello cui mi trovai davanti.
Dietro la scrivania scura, su una sedia girevole, si trovava una donna di circa quarant'anni con un caschetto biondo e degli orecchini di perle. Appena mi vide si alzò, venendomi incontro. Il suo corpo era fasciato da un paio di pantaloni color crema e una camicia nera, il tutto abbinato a delle scarpe col tacco non troppo alto.
"Signorina Reed?" La sua voce calda e professionale rispecchiava esattamente il suo aspetto.
Annuii, incapace di aprire bocca. Lei mosse le sue perfette labbra rosse per presentarsi, ma l'unica cosa che capii era che d'ora in poi avrei fatto le sedute con lei. Non più con Trevor. Lui era sparito.
La donna mi invitò a sedermi sulla poltrona, però quello che feci fu ritornare sui miei passi e correre alla reception.
Gli occhi di Rebekkah furono attraversati da un lampo di curiosità quando mi vide.
"Come posso aiutarti?"
"Dov'è Trevor Anderson? Avevo appuntamento con lui, ma c'è una donna al suo posto."
La ragazza mi fissò con i suoi grandi occhi verdi pieni di disagio. "Mi spiace, ma si tratta di un'informazione riservata. Tutto quello che..."
"Cancella tutti i miei prossimi appuntamenti" dissi senza lasciarla finire di parlare.
Rebekkah mi guardò sorpresa e perplessa al tempo stesso; cercò di dirmi qualcosa per impedirmi di cancellare tutte le mie sedute, ma io non l'ascoltai e uscii dall'edificio. Mi diressi subito verso casa di Trevor e, lungo il tragitto, provai a chiamarlo diverse volte, ma non rispose mai. E non era nemmeno a casa. Era sparito nel nulla.
Risalii in macchina sbattendo forte la portiera, e in quel momento il mio cellulare iniziò a squillare.
"Pronto?" risposi piena di speranza, quasi sicura che fosse Trevor a chiamarmi.
"Haylee, che succede? Mi hanno chiamato dallo studio dicendomi che hai annullato tutte le prossime sedute." Il dottor Barnes parlò con voce calma e controllata, ma sapevo che era confuso, esattamente come me.
"Dov'è lui?"
"Via" replicò semplicemente.
"Perché? Dov'è?"
"Ascolta, non spetta a me rispondere a queste domande. Ha soltanto deciso di andare via per un po'."
"L'ha costretto lei, vero?" Battei un pugno sul volante per la frustrazione.
"No, Haylee, l'ha scelto lui. È meglio così."
"No, non lo è. Mi ha aiutata tanto e conosce tutta la mia storia, mentre la donna che ho visto oggi non sa assolutamente nulla di me."
"Calmati, per favore."
"Voglio sapere perché è andato via." Ignorai il suo suggerimento e avviai il motore della macchina per tornare a casa.
"C'è stato un conflitto di interessi, e questo è ciò che succede quando tra medico e paziente si sviluppa un rapporto inappropriato."
Trattenni un urlo sentendo le sue parole, poi le lacrime cominciarono a bagnarmi il viso.
Il dottor Barnes disse qualcos'altro, ma non lo ascoltai e chiusi la chiamata.
Trevor mi mancava come non mi era mai mancato nessun altro. Pensavo continuamente a lui e non riuscivo a smettere. Qualsiasi cosa me lo ricordava, persino il mio stesso appartamento. Non sapevo dove stare: la camera era fuori discussione dato che le lenzuola avevano ancora il suo odore, il divano mi ricordava la prima volta che avevamo fatto l'amore, la cucina, invece, quella volta che l'avevamo fatto sul ripiano e il balcone... beh, ormai c'era troppo freddo per stare tutto il giorno all'aria aperta. L'unico luogo nell'intero appartamento che non mi ricordava Trevor era il bagno. Così passai le giornate nella vasca, avvolta in una coperta, a guardare film strappalacrime. I primi giorni avevo il gelato a farmi compagnia, ma una volta finita la scorta, mi ero rifiutata di andare a comprarne dell'altro. Alla fine avevo ripiegato sulla birra e sul vino, che per fortuna avevo. L'unica cosa che dovevo smettere di fare era piangere: i fazzoletti stavano finendo e non avevo per niente voglia di uscire a comprarli.
Nell'arco di due mesi avevo sofferto così tanto – sia a causa di Dominic che di Trevor –, che ora mi sentivo morta.
Mi svegliai presto la mattina, scossa dai brividi di freddo dato che mi ero addormentata sul pavimento, e notai di sentirmi svuotata. Non provavo nulla: rabbia, tristezza, frustrazione e dolore erano solo un vago ricordo. Era come se vivessi la mia vita come un robot, priva di sentimenti.
Provai a fare colazione, ma l'unica cosa che riuscii a mangiare fu mezza fetta di pane tostato. Avevo lo stomaco chiuso da giorni e ormai non sentivo neanche più fame. Temevo di guardarmi allo specchio, perché sapevo che stavo perdendo peso: i pantaloni del pigiama mi erano diventati larghi e non riempivo più le coppe del reggiseno come due settimane prima. Dentro di me sapevo che non potevo più continuare in quel modo, però non riuscivo a reagire.
Il mio cellulare squillò per la milionesima volta e, come avevo fatto dall'ultima telefonata con il dottor Barnes, non risposi. Sapevo che era lui, siccome solo solo due persone avevano il mio numero e una delle due era sparita dalla faccia della Terra.
Appena la suoneria si interruppe, qualcuno bussò alla porta. Non ero stupida e sapevo che era di nuovo il dottor Barnes, ma non aprii. Di certo non mi aspettavo di vedere Stephan o la signora Brimbley, men che meno Trevor.
Stavo guardando fuori dalla finestra quando la porta d'ingresso si spalancò. Mi voltai lentamente, osservando il dottor Barnes sulla soglia.
"Come ha fatto a entrare?"
Alzò la mano mostrandomi una chiave. "È quella di scorta."
Tornai ad osservare il paesaggio ignorandolo completamente.
"Haylee, non puoi continuare così" esordì mettendosi al mio fianco.
Non risposi, piuttosto aspettai che se ne andasse. Provò a mettermi una mano sulla spalla, però mi spostai. Non avevo bisogno del suo conforto, della sua compassione. Avevo bisogno di Trevor.
"Ha distrutto tutto" mormorai senza guardarlo.
"Mi..."
"Vada via" lo interruppi bruscamente. "Voglio stare sola."
Il dottor Barnes abbassò la testa e mi concessi di osservarlo meglio. Aveva la barba più lunga di quel che ricordavo, il viso più scarno rispetto all'ultima volta che lo avevo visto e gli occhi spenti. Non sembravano gli occhi di un nonno, di un uomo vissuto; erano gli occhi di una persona triste e rassegnata. Per un attimo pensai di essere io stessa la causa di quello sguardo, ma poi mi ricredetti. Lui era deluso da Trevor.
Senza dire una parola si voltò e uscì di casa.

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now