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Non avevo ancora parlato con Trevor della cena a casa della signora Brimbley. Non gli avevo raccontato di Stephan, dell'appuntamento che mi aveva chiesto e del suo drastico cambiamento di umore. Non gli avevo detto come mi ero sentita. Tutto era chiuso dentro di me, come in una bolla. Volevo soltanto scordare quelle ore passate con Stephan e sua nonna e ricominciare a vivere tranquillamente.
Gli ultimi giorni erano stati una tortura: tendevo sempre le orecchie per essere certa che Stephan non fosse nelle vicinanze, controllavo se la sua macchina era parcheggiata davanti al palazzo, e, inoltre, non vedevo Trevor da tre giorni. Era stato molto impegnato con il lavoro a causa di un corso di aggiornamento e avevamo parlato soltanto qualche minuto mentre era in pausa. Sentivo molto la sua mancanza; così, in preda alla tristezza, salii in auto e guidai fino alla sua casa.
Quando arrivai, notai che la sua macchina non c'era ancora e decisi di aspettarlo. Uscii dall'abitacolo, incamminandomi verso il portico. Salii i gradini, che scricchiolarono sotto i miei piedi, ma mi bloccai quando sentii un nitrito provenire dalla stalla accanto alla casa. Non potei controllare la mia curiosità, così mi ritrovai a camminare verso quella costruzione in legno dipinta di rosso scuro. Percorsi la breve distanza che mi separava dalla stalla camminando sull'erba verde e umida. Il suo colore non era più brillante come qualche settimana prima a causa dell'arrivo dell'autunno. Raggiunsi il pesante portone e lo aprii con forza, provocando un fastidioso cigolio. Un altro nitrito raggiunse le mie orecchie, accogliendomi insieme all'odore di fieno.
La stalla di Trevor era grande la metà rispetto a quella di casa di mia madre, ma mi diede comunque l'impressione di essere in quella di Flash e Lucy. Al loro ricordo sentii un tuffo al cuore e lo stomaco si contorse. Mi mancavano molto. Volevo riabbracciarli, cavalcarli, fare lunghe passeggiate insieme a Lucy e corse selvagge con Flash. Volevo tornare indietro nel tempo e trovare un modo per salvarli.
Il rumore di uno zoccolo mi riportò al presente, facendomi voltare di scatto alla mia destra dove c'era un cubicolo. Al suo interno si trovava un magnifico cavallo bianco che, con il muso sopra la piccola porta in legno, mi scrutava con i suoi grandi occhi marroni.
Con passi lenti e sicuri, mi avvicinai all'animale mostrando un sorriso rassicurante e tendendo la mano, proprio come mi aveva insegnato lo zio Richard. Il cavallo mi annusò le dita, sbuffò e poi si lasciò accarezzare agitando la folta coda di tanto in tanto. Era molto affettuoso e mi faceva venire voglia di accoccolarmi vicino al lui.
"Vedo che hai conosciuto Stacey." La voce di Trevor mi fece trasalire, e il cavallo allontanò la testa dalle mie mani.
Mi voltai verso di lui, fermo all'entrata della stalla con le mani in tasca e la testa piegata di lato.
"Scusa. L'ho sentita nitrire e volevo vederla." Mi voltai di nuovo verso il cavallo e abbassai la voce. "Piacere di conoscerti, Stacey."
"Perché ti scusi?" Trevor non si mosse, così fui io ad andargli incontro.
"Sono entrata senza il tuo permesso. Avrei dovuto aspettarti in macchina."
Lui estrasse le mani dalle tasche, scuotendo un paio di volte la testa, poi fece un passo nella mia direzione e mi circondò la vita con le braccia. Il suo profumo speziato mi invase le narici e mi costrinsi a resistere alla tentazione di chiudere gli occhi e annusare Trevor.
"Cosa ci fai qui?" La sua voce dolce aumentò la mia voglia di sentire le sue labbra morbide.
"Sorpresa!" esclamai con voce bassa. I nostri visi erano vicini; sentivo il suo respiro caldo sul naso.
Trevor si passò la lingua sulle labbra, poi strofinò il naso contro il mio.
"È una bella sorpresa" disse prima di prendermi il viso tra le mani e darmi un lungo bacio.
Mentre le nostre labbra si muovevano disperatamente le une sulle altre, venni invasa da una sensazione di euforia, amore e pace, che cancellò tutte le preoccupazioni che aveva causato Stephan. Più Trevor mi baciava, più stavo meglio e più volevo trascinarlo in casa.
"Mi sei mancata" mormorò stringendomi forte.
Appoggiai la testa contro il suo petto, restando in ascolto del battito del suo cuore per qualche secondo. "Anche tu."
Volevo restare lì con lui, tra le sue braccia nella stalla, per sempre; ma Trevor si scostò, mi prese per mano e mi trascinò verso casa sua.
"Hai da fare domani?" mi chiese mentre si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle appoggiandosi contro.
Scossi la testa annusando l'aria, pregna dell'odore di Trevor.
"Perfetto." Andò in cucina e io lo seguii.
"Perché?"
Si voltò verso di me mostrando un finto sorriso innocente. "Devo recuperare i tre giorni che ci hanno diviso." Mi fece l'occhiolino poi aprì il frigo.
"Dovresti migliorare la tua tecnica di flirtare, sai?"
"Perché dovrei? Sono già bravo così." Alzò una mano per farmi vedere una bottiglia. "Vino?"
"Assolutamente sì. E comunque non sei così bravo." Nascosi un sorrisetto abbassando il viso per guardarmi i piedi.
"Eppure sei qui" constatò, passandomi un bicchiere pieno di vino.
Alzai le spalle con noncuranza in segno di risposta, trattenendomi dal dirgli che sarei sempre stata lì con lui. Mi aveva già conquistata prima ancora che me ne rendessi conto, ma si trattava di un dettaglio che potevo tenere per me.
"Allora, principessa, dimmi cosa dovrei fare per flirtare meglio." Venne davanti a me e io, automaticamente, mi premetti contro il tavolo della cucina.
"Principessa?" Inarcai un sopracciglio guardandolo divertita. "Sul serio?"
Trevor appoggiò il suo bicchiere di vino sul tavolo color noce alle mie spalle, e si slacciò i bottoni dei polsini della camicia nera che indossava.
"Utilizzare dei nomignoli è un buon modo per flirtare. Preferisci piccola? Oppure tesoro? Che ne dici di angelo?"
Scoppiai a ridere, immaginando quanto sarebbe stato buffo se Trevor avesse usato con me uno di quei nomi fin dall'inizio.
"È così tanto divertente, piccola?" enfatizzò l'ultima parola, poi mi circondò i fianchi con le mani e mi alzò per farmi sedere sul tavolo.
"Scusa" dissi, cercando di smettere di ridere.
"Stai ridendo di me?" Trevor mise un finto broncio che aumentò la mia risata.
Scossi la testa, premendogli una mano sul petto. "No, no."
"Bugiarda" asserì divertito.
Bevvi un sorso di vino, desiderando di sentirmi così felice e spensierata in ogni momento della giornata per sempre.
"Sei splendida, Haylee." Le mie risate diminuirono finché sul viso non restò un timido e imbarazzato sorriso.
"Questo è un buon modo per flirtare."
"Immaginavo." Si chinò con aria soddisfatta e premette le sue labbra sulle mie.
Quella sera constatai che Trevor non solo era un ottimo amante, ma anche un cuoco davvero bravo. Preparò lui la cena, cucinando un piatto che gli faceva sempre sua madre quando era piccolo: il pollo fritto.
Mia madre me lo aveva preparato soltanto una volta, per il mio settimo compleanno, per cercare di risollevare il mio morale, a terra a causa della mancanza di mio padre.
"Devo ammettere che tua madre ti ha insegnato a cucinare molto bene."
Trevor mi rivolse un ampio sorriso che mi fece sciogliere completamente. Appena avevo nominato sua madre, i suoi occhi si erano illuminati e avevo capito quanto tenesse a lei.
"Ti avevo detto che è una cuoca eccezionale."
Ci spostammo in soggiorno e ci sedemmo sull'ampio divano.
"Vive qui in città?" domandai.
Trevor si tolse la camicia e l'appoggiò sul tavolino di fronte a noi, poi premette un pulsante sul telecomando e le note di una canzone rock si riversarono fuori da due casse poste ai lati del televisore.
"No, è in Polinesia."
"Sei di origini polinesiane?" chiesi con un sorriso curioso.
Lui si chinò e prese le mie gambe portandosele sul grembo, mi sfilò con calma gli stivali e iniziò a massaggiarmi i piedi.
"No, sono nato qui come i miei genitori."
Quando premette un punto sotto l'alluce, mi sfuggì un gemito che attirò la sua attenzione.
"Adoro quando fai quei versi."
Appena finì di parlare, diventai rossa e distolsi lo sguardo dal suo.
"E allora che ci fa in Polinesia?" Cambiai argomento per distrarmi, siccome i massaggi stavano diventando sempre più belli e numerosi gemiti minacciavano di uscirmi dalla bocca.
"La sta visitando."
"Con tuo padre?"
Trevor diminuì leggermente la pressione. "No, i miei hanno divorziato."
"Mi dispiace." Posai una mano sulla sua spalla muscolosa.
"Il giorno stesso in cui mia madre e mio padre hanno firmato i documenti del divorzio, lei ha comprato un biglietto aereo per Londra e ha cominciato a girare il mondo. Ha lasciato a me la casa e torna solo per le feste, così possiamo stare insieme."
Gli rivolsi un'occhiata piena di dispiacere, ma lui, invece, mi mostrò un sorriso sereno.
"Non l'ho mai vista così felice. Sono contento per lei."
"Ma ti manca" affermai mettendomi a gambe incrociate.
"È normale, Haylee. Io e lei abbiamo un bellissimo rapporto, ma non la incolperò mai per aver deciso di partire. Ha sacrificato venticinque anni della sua vita per me e si merita di essere felice. Quando torna, a Natale, te la presenterò."
Nella mia mente, un'improvvisa domanda cominciò a rendermi nervosa.
"Che significa che ha sacrificato venticinque anni della sua vita per te?"
Trevor sospirò piano, lasciando ricadere la testa sullo schienale del divano, e chiuse gli occhi.
"Mio padre picchiava mia madre. L'ha fatto per tanti, tantissimi anni, e lei non hai mai detto nulla per non farmi soffrire. L'ho scoperto il giorno del mio venticinquesimo compleanno."
"Non l'hai mai saputo? Non te ne sei mai accorto?"
Mi afferrò un braccio e mi trascinò verso di lui, facendomi mettere a cavalcioni sulle sue gambe.
"Mio padre faceva a mia madre le stesse che Dominic ha fatto a te. Però quel bastardo era furbo: quando la picchiava non le lasciava mai segni sul viso, e mia madre era diventata brava a fingere di stare bene. Sembravano la coppia perfetta. Agli occhi di tutti sembravamo la famiglia perfetta.
"Quel giorno dovevo uscire con i miei amici per festeggiare il mio compleanno. Quando siamo arrivati al locale dove avevamo prenotato un tavolo, mi sono accorto di aver dimenticato il cellulare a casa, così sono tornato indietro per prenderlo. Appena ho aperto la porta d'ingresso ho capito che qualcosa non andava. C'era troppo silenzio nonostante le macchine dei miei genitori fossero parcheggiate nel vialetto. Sono andato al piano di sopra e, dal bagno, ho sentito provenire un lamento. Ho bussato alla porta, ma non ha risposto nessuno; così ho forzato la serratura e ho visto mio padre che stava strangolando mia madre."
Trevor serrò la mascella. Potevo distinguere rabbia e dolore nel suo sguardo, e per la prima volta sentii il forte bisogno di cancellare tutti quei sentimenti negativi dal suo cuore. Volevo farlo stare bene, volevo rivedere quel suo sorrisetto sulle labbra.
"Ho chiamato la polizia e ho costretto mia madre ha denunciare quel bastardo. Ora lui è in carcere, e lei sta bene."
"È per questo che sei diventato psicoterapeuta?" domandai accarezzandogli la mascella liscia.
Trevor annuì, poi mi attirò a sé reclamando le mie labbra. La sua bocca si muoveva disperata sulla mia, i suoi gesti veloci mostravano disperazione, ma i suoi occhi trasmettevano calore. Un calore che mi invase il corpo raggiungendo il mio punto più profondo.
"Grazie" mormorai contro le sue labbra.
"Per cosa?" Trevor smise di baciarmi, ma non di toccarmi. Spostava le mani su ogni parte del mio corpo: le cosce, i fianchi, il sedere, la schiena, il petto, il viso.
"Per avermi raccontato questa parte della tua vita. Non dev'essere stato facile."
Mi osservò a lungo e sentii come se i suoi occhi dorati mi stessero trafiggendo per guardarmi dentro, per diventare parte di me.
"Tutto accanto a te è più facile" disse, e poi si avventò sulla mia bocca.
Con la lingua mi accarezzò il labbro inferiore, facendomi gemere piano, poi iniziò a sbottonarmi la camicetta che indossavo. Si fermò al quarto bottone, scostando un lembo di tessuto per avere pieno accesso al mio seno, sul quale si tuffò baciandolo e leccandolo. Vedere Trevor chino su di me, mi provocò un moto di eccitazione che non riuscii a controllare, e lui se ne accorse, perché premette il bacino contro il mio lasciandomi senza respiro. Gli passai le dita tra i capelli corti, e mi ci aggrappai quando mi succhiò la pelle.
"Hai un sapore buonissimo" mormorò contro il mio collo.
Passò a slacciare gli altri bottoni, ma proprio in quel momento sentimmo bussare forte alla porta. Ci fermammo entrambi, guardandoci con aria interrogativa.
"Aspettavi qualcuno?"
Trevor scosse piano la testa, come se avesse paura di fare rumore, e di nuovo udimmo bussare.
Balzai in piedi in un attimo, ricominciando ad allacciarmi la camicetta, mentre Trevor si vestiva e andava alla porta controllando che fossi coperta e presentabile. Quando l'aprì, io mi sedetti sul divano cercando di restare calma. Però, quando vidi la persona ferma sulla soglia, l'agitazione prese il sopravvento e arrossii.
Il dottor Barnes spostava continuamente lo sguardo da me a Trevor, le sopracciglia erano aggrottate in un'espressione arrabbiata.
"Ciao, Garry" lo saluto Trevor con aria tranquilla.
Il dottor Barnes gli rifilò un'occhiataccia che fece gelare entrambi, mentre entrava con passo deciso in casa e si incamminava verso il soggiorno. Verso di me.
Lo osservai leggermente intimorita, anche se non sapevo il perché, accorgendomi che probabilmente era appena uscito dall'ospedale, siccome dalla tasca del cappotto color cammello sbucava il tesserino che indossava quando era di turno.
"Salve, dottor Barnes" dissi con voce incerta.
"Ciao, Haylee. Cosa ci fai qui?" La sua voce seria mi provocò un brivido freddo e poco piacevole lungo la schiena.
Aprii la bocca per rispondere, ma Trevor mi precedette.
"Aveva bisogno di parlare."
"Riguardo a cosa?" Il dottor Barnes si voltò verso di lui.
"Dominic" replicò Trevor. Solo io, forse, notai un guizzo di una vena sul collo quando pronunciò il nome dell'uomo che più odiavo in vita mia.
Il dottor Barnes alternò lo sguardo tra me e Trevor, poi si soffermò a guardarmi, facendomi sentire a disagio. Non sapevo nemmeno perché gli stavamo mentendo così spudoratamente.
"Come mai sei scalza?"
Abbassai gli occhi sui miei piedi nudi, rendendomi conto solo in quel momento di non indossare né gli stivali né le calze. Fu allora che mi alzai, cercando gli occhi di Trevor e chiedendogli aiuto. Quando provai a giustificarmi, il dottor Barnes si girò verso Trevor.
"È una tua paziente" tuonò con rabbia.
"Garry, per favore, lasciami spiegare."
"Cosa? Cosa c'è da spiegare? È tutto molto chiaro."
Abbassai lo sguardo, afflitta e umiliata. Non sapevo cosa dire o fare, così restai ferma ad assistere allo svolgersi della situazione.
"Non puoi avere una storia con lei, Trevor." La voce del dottor Barnes si alzò ancora di più, tanto che temetti di sentire i vetri delle finestre vibrare.
Trevor mi venne vicino, mettendomi una mano sulla schiena con fare protettivo.
"Ci ho provato, ma non ci sono riuscito. Quello che provo per Haylee è..."
"Da quanto tempo va avanti?" lo interruppe bruscamente.
Percepii il corpo di Trevor irrigidirsi, proprio come il mio.
"Da quanto?" urlò di nuovo il dottor Barnes quando non ci decidevamo a rispondere.
"Quasi un mese" replicai subito.
Lui mi fulminò con lo sguardo e, in quel momento, mi sembrò di averlo tradito. Mi aveva aiutata dandomi un posto dove stare al sicuro, permettendomi di superare un periodo difficile della mia vita. Non aveva mai chiesto soldi e io lo ripagavo in quel modo: mentendogli e prendendomi gioco di lui.
"Hai infranto una regola..."
"Che non è scritta. Non c'è nessuna regola scritta che mi impedisca di stare con una paziente" ribatté Trevor furente.
"È implicito! Tutti noi seguiamo quella regola." Il dottor Barnes si rivolse a me. "Haylee, è meglio che tu vada a casa."
"Cosa? C'entro anche io in questa storia."
"Ho bisogno di parlare con Trevor. Da solo."
Alzai gli occhi al cielo. "Non può prendersela con lui. Abbiamo preso questa decisione insieme."
"Se lui fosse stato una persona saggia e matura, non ti avrebbe messo in questa situazione" replicò il dottor Barnes guardando Trevor.
"Ma..."
"Haylee, fa' come ha detto Garry" intervenne senza distogliere lo sguardo dall'uomo che avevamo di fronte. "Per favore" aggiunse dopo una breve pausa con voce implorante.
Annuii seccamente, infilai calze e stivali, poi indossai la giacca dirigendomi verso la porta. Mi voltai un'ultima volta a guardarli, uno di fronte all'altro che combattevano una battaglia fatta di sguardi, poi uscii dalla casa di Trevor.

Life - Ricominciare a vivereOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz