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"Hai sete?" chiesi, aprendo il frigo. "Qui ho acqua, birra, soda e succo d'arancia."
"Una birra andrà bene." Trevor era rimasto seduto sullo sgabello e non aveva mai smesso di osservarmi.
Gli allungai una bottiglia di birra e ne presi una anche per me. In genere non ero una gran bevitrice, ma in quel momento avevo bisogno di mandare giù qualcosa di alcolico. Sentivo la necessità di calmarmi, rilassare i muscoli e distendere i nervi. Rivedere Dominic mi aveva sconvolto e spaventata, e non volevo più sentirmi così.
"Posso farti una domanda?" Trevor aprì la bottiglia di birra con il cavatappi che gli avevo passato.
Annuii prima di bere un lungo e rinfrescante sorso di birra. Poco dopo aver deglutito sentivo l'alcol già in circolo. Non ero abituata a bere, quindi quell'unica bottiglia, su di me, avrebbe avuto lo stesso effetto di un drink molto più forte.
"Perché non lo denunci?"
La domanda di Trevor mi fece rabbuiare improvvisamente, così bevvi un altro abbondante sorso di birra.
"Non è così semplice, altrimenti lo avrei già fatto." Mi voltai ed aprii di nuovo il frigo, dal quale presi alcune delle cose che avevo comprato al negozio.
Sul ripiano della cucina appoggiai un avocado, un pomodoro e del formaggio, poi presi delle fette di pane.
"Perché?"
"Vuoi un sandwich?" domandai di rimando.
Trevor annuì e in quel momento si alzò per venire verso di me. "Ti aiuto."
Presi un paio di coltelli da un cassetto e il tagliere in bambù da un altro, dopodiché iniziai a tagliare l'avocado a fette.
"Non è così semplice" ripetei, più a me stessa che a lui.
Trevor mi lanciò un'occhiata perplessa e per un attimo non riuscii a capire che persona avevo davanti. Potevo fidarmi di lui? Teoricamente sì, siccome il suo lavoro implicava il segreto professionale.
"Vedi, suo padre è uno sceriffo e farebbe qualsiasi cosa per il figlio. Insabbierebbe le accuse e le cose per me potrebbero peggiorare."
"Come fai ad esserne sicura? Ti ha picchiata, come si può nascondere una cosa simile?"
Misi le fette di avocado da parte e presi il pane, mentre Trevor iniziò a tagliare i pomodori.
"Due anni fa Dominic ha investito un uomo. Dei testimoni hanno chiamato la polizia e un'ambulanza e si è scoperto che Dominic era ubriaco. Per fortuna l'uomo non si è fatto nulla, a parte qualche lieve ferita, ma ha deciso di sporgere denuncia. Ovviamente, dopo pochi giorni, era stato nascosto tutto quanto e non si è saputo più nulla."
"Si chiama Dominic?" Trevor aveva smesso di affettare i pomodori e mi stava guardando.
"Sì" replicai a bassa voce, rendendomi conto solo in quel momento di aver pronunciato il nome di Dominic per la prima volta da quando ero scappata.
Dopo aver preparato i sandwich, andammo in balcone e iniziammo a mangiare in silenzio. C'era un po' freddo all'aria aperta e il sole non scaldava più come qualche ora prima, ma non mi importava. Mi portai le ginocchia al petto e, tra un boccone e l'altro, osservai il panorama che si riusciva a vedere dal balcone. Era composto soltanto da case con giardini verdi e curati, eppure lo trovavo bellissimo.
"È strano il modo in cui la concezione di vedere le cose cambi quando si vive diversamente."
Trevor non disse nulla; come me osservava le case con attenzione. Per un attimo distolsi lo sguardo dal panorama per concentrarmi su di lui. Non mi ero mai soffermata sui particolari del suo volto, ma stavolta non riuscii a farne a meno. Il profilo del suo viso era delicato e non spigoloso come quello di Dominic. Aveva un sottile strato di barba che nascondeva la mascella leggermente squadrata e le labbra erano carnose al punto giusto. Davano l'idea di essere morbide e lisce. Il viso di Trevor era perfettamente proporzionato, come lo era anche il suo corpo.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo per evitare che i miei pensieri prendessero una strana direzione, e quando tornai a guardare il giardino della casa di fronte, le emozioni presero il sopravvento. Gli occhi si riempirono di lacrime e tutto intorno a me divenne una macchia di colori. Soffocai un singhiozzo mentre il mio viso iniziava a bagnarsi.
Sentii Trevor appoggiare il piatto col sandwich sul tavolino e un secondo più tardi me lo ritrovai di fronte.
"Ehi." Si chinò appoggiando le mani sui braccioli della mia sedia.
Il suo sguardo triste e sofferente fu la goccia che fece traboccare il vaso e cominciai a piangere senza riuscire a controllarmi. Faticavo a respirare e a fermare i tremori dovuti al pianto; ogni volta che mi asciugavo il viso, si bagnava subito con lacrime nuove. Nella mia mente si susseguivano le immagini del mio passato: momenti belli e brutti trascorsi con Dominic, giornate passate insieme alle nostre famiglie.
"Haylee." La voce di Trevor mi fece abbandonare i ricordi, riportandomi al presente.
"L'ho capito troppo tardi" riuscii a dire appena presi fiato.
Le dita di Trevor trovarono la mia mano e la strinsero. "Cosa?"
Lo guardai negli occhi e il mio pianto aumentò. La presa di Trevor si rafforzò, mentre col pollice iniziò ad accarezzarmi il dorso della mano. La sua pelle era liscia e il suo tocco contribuì a calmarmi, seppur lentamente.
"Cos'hai capito tardi?" mi domandò quando i miei singhiozzi si placarono.
"Dominic mi ha tolto tutto. Non ho niente e nessuno." Di nuovo pronunciai il suo nome.
La mascella di Trevor si contrasse e le carezze sulla mia mano cessarono. Cosa stava accadendo?
"Non sei sola. Io e Garry siamo con te."
Il mio sguardo si fissò prima su Trevor, i cui occhi erano freddi come il ghiaccio, poi sulle sue dita che stringevano ancora la mia mano. Lui se ne accorse e interruppe immediatamente il contatto. Non sentire più la sua pelle calda contro la mia mi provocò un vuoto allo stomaco.
"Parlo dei miei amici, del mio lavoro, delle mie passioni. Lui mi ha fatto abbandonare tutto senza che me ne rendessi conto, lentamente. Ha distrutto la mia vita e di Haylee non è rimasto più nulla, se non una persona sola, vuota e depressa."
"Ti ho detto che non sei sola." La voce di Trevor non era dolce, bensì dura; eppure non mi spaventai.
Lui si rimise in piedi, afferrò gli avanzi dei sandwich e rientrò in casa. Impiegai qualche secondo più del dovuto per seguirlo.
"Non mi piace che tu dica queste cose" asserì Trevor, appoggiando i piatti con gli avanzi sul ripiano della cucina.
"Che tipo di cose?"
Trevor si voltò di scatto. "Che sei sola e che sei stupida. Non sono vere e non voglio sentirtele dire."
"Quando ho detto di essere stupida?" domandai perplessa.
Lui mi lanciò un'occhiataccia. "La settimana scorsa, quando sei venuta da me il giorno dopo che avevi litigato con tua madre."
Aveva ragione. Lo avevo detto.
Inspirai profondamente e mi appoggiai al bancone della cucina; Trevor, invece, restò di fianco al frigo.
"A volte è così difficile parlare con te, altre invece è più facile" ammisi abbassando lo sguardo sulle mie unghie corte.
"E adesso? È facile o difficile?"
Alzai lo sguardo per pochi secondi, sufficienti a permettermi di esaminare il suo viso. Era rilassato, ed era bellissimo.
"Ho conosciuto Dominic subito dopo aver preso il diploma. Mia madre conosceva la sua, che una sera ci ha invitato a cena nella loro casa. Una villa bellissima in stile vittoriano che invidiava chiunque. La famiglia di Dominic è molto ricca: possiede due case, una baita in montagna e una barca al mare. Hanno tutto e ottengono sempre ciò che vogliono, compreso Dominic. Ci siamo conosciuti quella sera e, terminata la cena, mi ha chiesto subito un appuntamento."
Trevor cambiò posizione, facendo tendere i muscoli del petto e delle braccia. Per un momento persi il filo del discorso.
"Non avevo mai ricevuto quel tipo di attenzioni e mi piaceva come mi faceva sentire Dominic. Era dolce, romantico, premuroso. Era quello che avevo sempre sognato. Però, dopo che ci siamo messi insieme, le cose sono cambiate. Lui è diventato geloso, al punto che gli dava persino fastidio quando parlavo con i miei amici."
"Ti ha impedito di vederli?" mi chiese Trevor, che nel frattempo aveva prestato attenzione ad ogni mia parola. Era bello essere ascoltati per davvero.
"No, ma ha fatto in modo che loro non volessero più avere a che fare con me. Quando dovevo vedermi con i miei amici, Dominic inventava sempre una scusa e io non potevo uscire. A volte diceva che stava male e che aveva bisogno di me, altre che dovevamo andare ad un appuntamento con la sua famiglia e che non potevamo assolutamente mancare. Dopo un po' i miei amici hanno smesso di chiamarmi e hanno iniziato a evitarmi. Ero rimasta sola."
"Dominic è un idiota!" esclamò con voce piena di disprezzo.
"Per il lavoro è successa una cosa simile."
"Che lavoro facevi?" mi interruppe Trevor, che nel frattempo si era avvicinato.
"Giornalista per un quotidiano locale. Lavoravo da casa scrivendo gli articoli che mi commissionavano."
"Che cosa scrivevi?"
"Articoli su Waterbury: cosa vedere, dove mangiare. Spesso mi occupavo anche della revisione di articoli di alcuni apprendisti e saltuariamente recensivo anche romanzi di autori emergenti di Waterbury e delle città vicine."
"Ti piaceva?"
Annuii appena, tornando a concentrarmi sulle mie unghie. Adoravo quel lavoro, mi faceva sentire libera e realizzata.
"E allora perché non lo fai più?"
"Dominic diceva che lavoravo troppo e che non ero mai presente perché stavo sempre rinchiusa in una stanza, di solito la camera da letto. Era un argomento di discussione e litigavamo spesso, poi ho deciso di licenziarmi per non mettere a rischio il nostro rapporto."
Quello era stato l'errore più grande della mia vita.
"È cominciato tutto con la violenza psicologica, poi è arrivata quella fisica" constatò Trevor. Nei suoi occhi non vidi nulla, eccetto il vuoto.
"Ho capito troppo tardi che tipo di persona è."
Trevor si avvicinò ancora di più e riuscii a percepire il calore che emanava il suo corpo.
"Lo amavi?" mi domandò all'improvviso con tono basso.
Da quando me n'ero andata, avevo pensato spesso ai miei sentimenti nei confronti di Dominic e, giorno dopo giorno, avevo capito che non lo avevo mai amato davvero.
"Credevo di amarlo. Nessuno mi aveva mai dato tutte le attenzioni che Dominic mi rivolgeva all'inizio della nostra relazione. Ero innamorata di quello, non di lui. L'ho capito soltanto dopo che siamo andati a vivere insieme, quando lui aveva cominciato a comportarsi diversamente."
Trevor afferrò uno sgabello, lo sistemò di fianco a me e si sedette.
"Non deve passarla liscia, Haylee. Ha rovinato gli anni più belli della tua vita. La deve pagare. Vorrei dargli una bella lezione con le mie stesse mani." Strinse forte i pugni, contraendo i muscoli delle braccia che si gonfiarono.
"La pagherà un giorno, ma ora voglio soltanto pensare a me stessa. Voglio ricominciare daccapo: trovare un lavoro, iniziare a sorridere di nuovo, andare a cavallo e cercare una sistemazione per Lucy e Flash."
"I tuoi cavalli, giusto?"
"Sì," replicai, "ora sono da mia madre, ma voglio portarli via da lì. Devo trovare una stalla dove posso tenerli."
Trevor mi guardò a lungo, gli occhi pensierosi e la fronte aggrottata. Notai in quel momento quanto fosse bello mentre pensava. Era serio e concentrato, i suoi occhi leggermente più scuri del solito catturavano il mio sguardo come due calamite.
"So dove puoi portare i tuoi cavalli" affermò dopo alcuni istanti. Sul suo viso era comparso un sorriso che non avevo mai visto prima: qualcosa di accattivante, attraente e allo stesso tempo dolce.
"Dove?" domandai con esitazione senza ricambiare il sorriso. Non sorridevo da tanto tempo.
"A casa mia" rispose con la stessa espressione di prima.
"A casa tua?"
Trevor annuì leggermente. "Ho una stalla e c'è posto per i tuoi cavalli."
Spalancai gli occhi incredula. "Davvero?"
"Davvero."
Stavolta non riuscii a trattenermi e gli gettai le braccia al collo. Non mi ero nemmeno resa conto di averlo fatto, finché non sentii il suo profumo invadermi le narici. Era una fragranza muschiata, forte, ma davvero buonissima. Avrei voluto annusarla per ore.
"Grazie, Trevor."
Il suo corpo si irrigidì leggermente, poi si rilasso e mi strinse con delicatezza.
"Figurati."
Le mie mani erano sulla sua ampia schiena, percepivo il calore della sua pelle e i muscoli sotto le mie dita. In quei pochi istanti mi sentii bene, sollevata, e dimenticai tutti i miei problemi.

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