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Scoprire che Judith era la madre di Trevor mi aveva sconvolta; incontrare Trevor, invece, mi aveva devastato. Non mi aspettavo che fosse così disperato e, soprattutto, non l'avevo mai visto così trascurato. Aveva i capelli un po' più lunghi rispetto a quando l'avevo visto a casa di mia madre, la barba gli scuriva la mascella ed era un po' pallido. Eppure era bellissimo lo stesso. Mentre mi parlava, quando eravamo nel parcheggio, ero stata invasa dalla voglia di passare le dita tra i suoi capelli, ma per fortuna ero riuscita a trattenermi, anche se non sapevo bene come.
Erano passati due giorni da quando ci eravamo incontrati e non l'avevo più visto né sentito. Judith non aveva provato a chiamarmi, però mi aveva mandato un messaggio per scusarsi di come era andata la nostra serata. Si sentiva in colpa per non avermi detto che suo figlio era Trevor, ma di certo non la ritenevo responsabile. Come poteva sapere che io e Trevor ci conoscevamo? Però di una cosa ero sicura: lui le aveva parlato di me. Quando eravamo al ristorante, Judith aveva chiesto a Trevor se ero io la ragazza e questo significava che lui le aveva raccontato qualcosa. Non risposi subito al messaggio di Judith, preferii lasciar passare un po' di tempo per schiarirmi le idee; quando lo feci, le scrissi semplicemente di non preoccuparsi. Non sapevo cos'altro dirle.
Mentre stavo preparando il pranzo, sentii suonare il campanello. Pensai subito che fosse Trevor e il mio istinto di sopravvivenza mi consigliò di non rispondere, ma alla fine lo feci comunque.
Quando sentii la voce del dottor Barnes provenire dal citofono, il mio cuore saltò un battito. Per un momento pensai di non aprirgli, ma poi ricordai che lui aveva una copia delle chiavi dell'appartamento, quindi sarebbe potuto entrare in casa comunque.
"Ciao" mi salutò mentre varcava la soglia.
Avevo lasciato la porta socchiusa in attesa che raggiungesse il mio piano ed ero tornata in cucina ad occuparmi del pranzo.
Mi voltai verso di lui, ma non ricambiai il saluto. Tirai le labbra in un sorriso forzato.
Il dottor Barnes non si scompose, probabilmente perché si aspettava questa mia reazione, e si sedette su uno sgabello vicino al bancone.
"Come stai?" domandò dopo qualche secondo di silenzio.
Io continuai a restare concentrata sul cibo: tagliavo un peperone con una precisione che non avevo mai usato, prima a strisce e poi a cubetti. Quando terminai, lo misi in una padella già calda con un po' d'olio.
"Cosa sei venuto a fare?" chiesi senza voltarmi.
I peperoni sfrigolarono sulla padella e, per qualche secondo, quello fu l'unico rumore in tutta la stanza.
"Voglio parlare con te riguardo a quello che è successo. Se hai delle domande, sono qui per questo" replicò con voce ferma.
"Domande?" Mi sfuggii una risata amara. "Conosco già la storia, non ho bisogno di sapere altro."
"In che senso?"
"So cos'è successo tra te e mia madre. Vi siete incontrati in un bar dopo che Casey era tornato a New York, avete bevuto, poi scopato e mia madre è rimasta incinta" gli spiegai con tono ironico.
"Non parlare in quel modo."
"Come? Ti disturba la parola scopare?"
"Haylee" mi avvertì. Percepivo tensione nella sua voce.
Sospirai piano, cercando di calmarmi. La rabbia che non provavo da due giorni stavo tornando a farsi sentire.
"Chi ti credi di essere? Solo perché sei mio padre, pensi di avere il diritto di venire qui e dirmi come parlare? Beh, sappi una cosa, papà: sei in ritardo di venticinque anni." Mi voltai verso di lui, guardandolo per la prima volta dopo tanto tempo.
Lui si alzò. "No, assolutamente no. Ma non voglio che parli in quel modo di me e tua madre. Non sminuire quello che c'è stato tra noi."
"Ah, quindi non era una semplice scopata?" lo provocai.
Lui sbuffò, ma non ribatté al mio attacco.
"Come fai a sapere cos'è successo quella notte?" chiese, invece, rassegnato.
"Sono stata da mio p..." mi interruppi subito, poi mi corressi. "Casey. Quello che credevo essere mio padre."
"Mi dispiace tanto." Abbassò lo sguardo, fissandolo sul pavimento che avevo pulito il giorno prima.
"Per cosa ti dispiace? Per aver messo incinta mia madre? Per non esserti assunto le tue responsabilità? Per averla lasciata sola a crescere una figlia? O perché ho scoperto chi sei?"
Lui esalò un respiro tremante, poi mi guardò. I suoi occhi erano pieni di tristezza. Sapevo che le mie parole lo avevano ferito, ma non me ne pentii.
"Mi dispiace per tutto. Avevo tradito mia moglie e mi sentivo terribilmente in colpa. Poi tua madre mi ha chiamato per dirmi che era incinta. Abbiamo fatto un test per capire se ero davvero io il padre e, quando è risultato positivo, mi sono spaventato. Non sapevo cosa fare: volevo aiutare tua madre, ma allo stesso tempo non volevo distruggere la mia famiglia."
"La tua famiglia?" La mia risata sarcastica riecheggiò nella stanza. "Tua moglie lo sa?"
Lui annuì. "Gliel'ho detto il giorno dopo il test di paternità. Se n'è andata di casa, insieme a mia figlia, per qualche mese."
"Poi è tornata?" Ovvio, che era tornata. Era la donna che preparava i dolci e che il dottor Barnes mi portava.
"Sì. È stato difficile, ma abbiamo superato quel momento."
Non potevo crederci. Quell'uomo aveva distrutto la relazione di mia madre, l'aveva abbandonata ed era anche riuscito a risolvere i problemi con sua moglie. Non era giusto. Non lo era affatto.
"Wow, bravi!" esclamai, battendo le mani.
"Smettila di comportarti così."
Ero così furiosa che non riuscivo a controllarmi.
"Beh, scusa se sono così arrabbiata. Mi dispiace se non sto reagendo nella maniera giusta. Vuoi che faccia i salti di gioia? Che ti abbracci e che ti dica quanto sono felice di aver scoperto chi è mio padre? Beh, io non sono felice. Mia madre mi ha mentito per venticinque anni, Casey mi ha abbandonata, tu hai fatto lo stesso, Trevor sapeva tutto quanto e non me l'ha dato e tu..." dissi, puntandogli un dito sul petto, "lo hai allontanato da me per chissà quale stupida ragione."
Quando finii di parlare, avevo il fiato corto, eppure mi sentivo un po' meglio. Avevo buttato tutto fuori: i pensieri, i sentimenti, il dolore.
"L'ho fatto perché andava contro la sua etica. La nostra etica" ribatté, alzando la voce.
"Non esiste nessuna regola scritta che impedisca ad un dottore di frequentare una propria paziente." Sapevo di avere ragione, infatti lui non seppe come rispondere.
"Trevor ha alle spalle un passato difficile. Suo padre era violento, proprio come Dominic, e io volevo proteggerti."
"Proteggermi?" Volevo buttarlo fuori di casa, ma mi fermò la puzza di bruciato che cominciavo a sentire.
Mi voltai verso i fornelli, giusto in tempo per vedere i peperoni che avevo tagliato accuratamente diventare sempre più scuri. Spensi il fornello e gettai la padella nel lavandino in un impeto di rabbia.
"Tua moglie sa che sono io, tua figlia, a vivere in questo appartamento?"
"Sì, lo sa."
"E non si è arrabbiata?"
Sospirò piano. "No, ha capito."
"Bene. Ora cerca di capire anche tu ed esci subito di qui."
Il dottor Barnes, per tutta risposta, si sedette nuovamente sullo sgabello, alimentando la mia rabbia.
"Ho detto..."
"Ho capito quello che hai detto, ma non me ne vado. Ti ho dato due settimane per permetterti di elaborare quello che hai
scoperto, ma adesso dobbiamo parlare."
Aprii il frigorifero, alla ricerca di qualcos'altro da preparare per pranzo.
"Abbiamo già parlato e io non ho più niente da dirti."
"Io, invece, sì."
Presi del formaggio da un ripiano e dei cracker dal pensile sopra i fornelli.
"Non mi interessa."
"Nemmeno a me." Si slacciò il cappotto scuro che indossava, poi infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.
Se non se ne sarebbe andato via lui, l'avrei fatto io.
Mi guardò con aria di sfida, inarcando un sopracciglio. Quel gesto mi ricordò quello che facevo io quando ero più piccola. Prima di Dominic, prima di capire che con lui non potevo comportarmi in quel modo.
"Okay." Presi i cracker e il formaggio, li misi nella borsa che avevo lasciato sul divano, poi indossai il giubbotto e afferrai le chiavi della macchina.
Uscii di casa in fretta, senza ascoltare quello che il dottor Barnes stava dicendo a voce alta.

Quando vivevo con mia madre, appena avevo un po' di tempo, salivo in sella a Lucy e cavalcavo fino a un boschetto distante qualche miglia dalla fattoria. Era l'unico luogo dove potevo nascondermi senza essere trovata, perché non avevo mai raccontato a nessuno che andavo lì. Nemmeno a Dominic. Volevo che quel posto restasse solo mio.
Era un boschetto di betulle che, al centro, nascondeva un piccolo lago di cui nessuno, o quasi, ne era a conoscenza. Il luogo perfetto per rilassarsi, staccare la spina e concentrarsi sulla natura. Di solito, mi sedevo all'ombra di un grande albero con lo sguardo rivolto verso il lago, e nel frattempo Lucy beveva un po' acqua o mangiava dell'erba. A lei piaceva molto quel luogo, esattamente come a me. Flash, invece, non era adatto per quel tipo di gite. Lui voleva correre, e quello era il motivo per cui ci andavo solo con Lucy.
Parcheggiai l'auto dietro alcuni alberi, in modo che nessuno la vedesse dalla strada principale. Attraversai il boschetto con calma, guardandomi attentamente intorno per vedere quanto era cambiato il paesaggio durante la mia lunga assenza. Sembrava tutto proprio come ricordavo. Gli alberi dal tronco snello, le foglie un po' marroni a causa delle temperature più fredde dell'ultimo periodo. Seguii il sentiero che ero solita percorrere anni prima, quello che portava alla riva del lago e che ora era ricoperto da un morbido tappeto di foglie cadute. Ad ogni mio passo, un ramoscello sotto i miei piedi scricchiolava, interrompendo la quiete della natura.
Quando raggiunsi il lago, mi sentii invadere da una profonda calma. Respirai profondamente più volte e mi dimenticai di tutto quello che mi era successo. Proprio tutto. Mi sedetti con la schiena appoggiata al tronco del mio albero, osservando prima a destra e poi a sinistra per avere la conferma di essere davvero sola.
Silenzio. Pace.
C'era solo io.
Dopo aver mangiato i cracker con il formaggio, appoggiai la testa al tronco e alzai gli occhi su un cielo grigio. Volevo rilassarmi, ma la voglia di analizzare gli ultimi eventi della mia vita era più forte di me. Avevo così tante domande che non sapevo da dove cominciare, volevo così tante risposte che avevo paura di quello che avrebbero potuto dirmi.
La paura. Era proprio a causa della paura che scappavo in continuazione. Paura di morire, paura di soffrire, paura di affrontare la realtà, paura dei cambiamenti. La paura era alla base di tutto.
Avevo affrontato uno dei miei timori più grandi, cioè quello di uscire di casa per paura di incontrare Dominic; ma avevo ancora molta strada da fare. Sapevo che dovevo affrontare tutto, e prima o poi l'avrei fatto. Ma ora volevo solo smettere di pensare.
L'aria fresca e il silenzio mi aiutarono a rilassarmi e ben presto mi addormentai. Dormii per troppo tempo, perché quando mi svegliai il sole non era più alto nel cielo. Si stava avvicinando il tramonto, così decisi di tornare a casa.
Le strade erano deserte, quindi impiegai meno tempo del previsto per raggiungere l'appartamento. Lasciai la macchina sul retro e scesi in fretta.
Quando mi voltai per prendere la borsa, due forti braccia mi afferrarono per la vita tirandomi indietro. Provai a divincolarmi, senza riuscirci. Qualcosa di bianco mi offuscò la vista, poi sentì un tessuto morbido premermi sulla bocca e sul naso. Le narici mi bruciarono, poi divenne tutto nero.

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now