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Avevo atteso tanto quel giorno. Esattamente per una lunga settimana, e il tempo era trascorso molto lentamente.
Trevor aveva impiegato un po' di tempo per organizzare il trasporto di Lucy e Flash da casa di mia madre a casa sua. Era stato molto impegnato: la sua agenda era piena di appuntamenti con pazienti, tra cui la sottoscritta. Inoltre, aveva dovuto chiedere in prestito a suo cugino un rimorchio abbastanza grande per trasportare due cavalli adulti. Conoscevo quasi tutto il suo piano: avrebbe chiamato il dottor Barnes o un suo amico per farsi aiutare, poi sarebbe andato a casa di mia madre, di cui gli avevo fornito l'indirizzo, e infine sarebbe tornato a casa sua insieme a Flash e Lucy. Trevor mi aveva chiesto se volevo andare con lui, ma mi ero rifiutata: vedere mia madre era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
Balzai giù dal letto prima del suono della sveglia che avevo comprato in un negozio Walmart la settimana prima. Era gialla ed era perfetta per la mia stanza con le pareti bianche e gli armadi grigio chiaro. Quella sveglia era un tocco personale e di colore che mi faceva credere che quella casa fosse davvero mia.
Aprii l'anta dell'armadio in legno e presi un paio di jeans e una felpa, anche questi comprati la settimana prima insieme alla sveglia. Dopo essermi vestita, andai in bagno e mi lavai il viso e i denti. Non feci colazione, siccome il nervosismo e l'euforia di rivedere Lucy e Flash mi avevano chiuso lo stomaco.
Trevor mi aveva dato appuntamento a casa sua alle dieci; ma, nonostante mancasse ancora un'ora, mi avviai lo stesso. Salii in macchina e, quando accesi il motore, il mio vicino di casa mi passò davanti. O meglio, il nipote della vicina di casa, Stephan. Non c'era traccia di sua nonna, che, quando ci eravamo conosciuti, non aveva esitato a rimproverare il nipote che mi era venuto addosso perché era impegnato con il suo cellulare. Per non smentire le teorie della signora Brimbley, anche stavolta Stephan aveva gli occhi incollati allo schermo del suo telefono. Alzò lo sguardo solo quando sentì il motore della mia auto.
"Ciao" mi salutò ad alta voce, poi deviò e venne verso di me
Agitai la mano a mo' di saluto e abbassai il finestrino di qualche centimetro. Solo qualche centimetro, in modo che lui potesse sentire la mia voce e io la sua. Non avevo bisogno di abbassarlo del tutto, d'altronde non conoscevo nemmeno l'uomo che avevo di fronte.
"Come va nella casa nuova?" mi chiese, chinandosi e appoggiando il braccio sul tettuccio. La sua postura e il suo atteggiamento rilassati mi mettevano a disagio.
"Bene, grazie" tagliai corto. Volevo partire subito per andare da Trevor.
Un piccolo raggio di sole illuminò il viso di Stephan, mettendo in risalto la sua pelle chiara e quegli occhi color ghiaccio che mi avevano colpito la prima volta che lo avevo visto.
"Mia nonna vorrebbe invitarti a cena da lei stasera. Mi ha detto di chiedertelo."
"Oh."
"Considerala una cena di benvenuto fra vicini."
Ero tentata di dire di sì solo per la signora Brimbley, ma ero diffidente nei confronti di Stephan e non volevo ritrovarmi ad una cena dove probabilmente ci sarebbe stato anche lui.
"Mi dispiace, ma ho un impegno" mentii, cercando di mostrarmi disinvolta.
Stephan batté le palpebre un paio di volte, come se non fosse sicuro del mio rifiuto. Forse pensava di averlo immaginato?
"Oh, che peccato. Sarà per un'altra volta.." Riprese a parlare dopo qualche secondo, poi il suo cellulare iniziò a squillare emettendo una fastidiosa suoneria acuta.
"Scusa, devo andare. Ci vediamo" disse col cellulare tra le dita.
"A presto."
Appena si staccò dalla mia macchina, ingranai la marcia e partii velocemente. Per tutto il tempo ripetei nella mia mente l'indirizzo della casa di Trevor e smisi soltanto quando me la ritrovai davanti. Era simile a quella di mia madre, ma più nuova. Probabilmente era stata ristrutturata di recente. Aveva un bellissimo portico dove si trovavano due sedie nere in vimini e un tavolino basso. La casa era bianca, a due piani e con un tetto spiovente sul bordo del quale erano fissate delle grondaie color rame. A destra del portico c'era una piccola costruzione rosso mattone che immaginai si trattasse della stalla.
Parcheggiai l'auto di fronte al portico e mi guardai intorno, osservando il verde che mi circondava. Mi trovavo in un posto meraviglioso e pacifico.
La Cadillac di Trevor non c'era e questo significava che lui era già andato a prendere Lucy e Flash.
Potevo affermare di essere felice e di non vedere l'ora di accarezzare il morbido manto dei miei cavalli; eppure non sorridevo. Le mie labbra non si piegavano all'insù anche se il mio cuore batteva fortissimo per l'eccitazione. Per un momento temetti di non riuscire mai più a sorridere.
L'attesa fu estenuante e parve non finire mai; guardavo l'orologio per poi scoprire che erano passati solo cinque minuti dall'ultima volta che l'avevo fatto. Quei pochi minuti mi sembrava ore. Stavo impazzendo, così decisi di accendere la radio e ascoltare un po' di musica; ma appena le note di una canzone pop si diffusero nell'abitacolo, dallo specchietto retrovisore vidi la macchina di Trevor seguita dal rimorchio.
Aprii subito la portiera e balzai fuori dall'auto. Non sorridevo ancora, lo sentivo, ma non riuscivo a stare ferma. La mia eccitazione era incontenibile. La Cadillac di Trevor si fermò di fianco alla mia auto. Lui scese, seguito poi da un altro uomo che era seduto al posto del passeggero. Era alto, con i capelli rossi e mossi, gli occhi verdi e una spruzzata di lentiggini sul viso.
"Ciao" salutai Trevor restando ferma al mio posto.
La sua espressione era seria, come quella dell'altro uomo, e non sorrise nemmeno quando ricambiò il mio saluto.
"Ciao, io sono Riley, il cugino di Trevor." L'uomo si avvicinò porgendomi una mano, che guardai con diffidenza; poi, riluttante, la strinsi.
"Io sono Haylee."
Le loro facce serie mi fecero sentire strana, così passai di fianco a Trevor e andai verso il rimorchio. Non vedevo l'ora di passare un po' di tempo con Lucy e Flash, accudirli, spazzolarli, dare loro qualche carota e un paio di zollette di zucchero che avevo comprato apposta per l'occasione. Non vedevo l'ora di fare un passeggiata con loro e godermi appieno la libertà ritrovata. Volevo fare tutte quelle cose e molto altro, ma non potevo, perché il rimorchio era vuoto. Lucy e Flash non c'erano.
Provai a chiamare Trevor, ma la mia voce morì in gola; così feci per andare da lui. Appena mi voltai, me lo trovai davanti.
"Dove sono?" riuscii a chiedergli, e subito dopo notai il suo sguardo dispiaciuto
"Non c'erano" mormorò lentamente.
Non c'erano?
Che significava?
"In che senso?"
Trevor chiuse forte gli occhi e si portò due dita alla base del naso. Il suo silenzio era una tortura.
"Trevor?" Feci un passo in avanti nel momento in cui lui riaprì gli occhi.
"Tua madre mi ha detto che due giorni fa sono stati male e... non ce l'hanno fatta. Sono morti."
Morti.

Guardai di nuovo il rimorchio. Era vuoto. Morti. Lucy e Flash erano morti.
Il mio sguardo tornò su Trevor. I suoi occhi erano lucidi, le labbra strette in una linea sottile.
"Mi dispiace" sussurrò.
Volevo dire qualcosa, ma non ne fui in grado. Il mio cuore aveva smesso di battere, non riuscivo a respirare. Annaspai in cerca d'aria, mentre un ronzio mi perforava i timpani. Poi cominciai a piangere e caddi a terra in ginocchio.
"Mi dispiace." Trevor si chinò di fronte a me, poi mi avvolse con le sue braccia. "Mi dispiace tanto" ripeté.
Mi strinse forte, abbracciandomi diversamente rispetto all'ultima volta. Era bello, confortevole, ma non riuscivo ad apprezzare fino in fondo quel gesto. Il mio corpo era scosso dai singhiozzi per la perdita di Lucy e Flash, una parte della mia vita. Mi sentivo persa, fragile, e pensavo che da un momento all'altro sarei andata in pezzi; però l'unica persona che mi teneva ancora insieme era Trevor. Il suo conforto e la sua presenza mi permettevano di non frantumarmi.
"Haylee, entriamo in casa." Trevor mi fece alzare, tenendo sempre un braccio sulla mia spalla mentre cercavo di smettere di piangere.
Mi sforzai di essere forte e, anche se non fu facile, riuscii a fare cessare i singhiozzi quando arrivammo davanti alla porta d'ingresso. Trevor l'aprì velocemente, mi fece entrare e poi mi accompagnò in soggiorno.
"Siediti" mi disse, indicando il divano grigio.
Mi accomodai in un angolo, sentendomi gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime, e Trevor si sedette di fianco a me.
"Vuoi un po' d'acqua?" chiese con voce bassa.
Scossi piano la testa, concentrandomi sulle piastrelle chiare che ricoprivano il pavimento.
"Haylee..."
"È stato Dominic" lo interruppi bruscamente.
Trevor non disse nulla, ma lo sentii muoversi al mio fianco. Mi toccò il braccio e mi fece voltare verso di lui obbligandomi a guardarlo.
"Che stai dicendo?"
Una lacrima mi scese lungo la guancia appena incontrai gli occhi di Trevor.
"Lui ha sempre detestato Lucy e Flash. Non è una coincidenza che siano morti poco dopo che l'ho lasciato."
"È un'accusa abbastanza grave" replicò Trevor pensieroso.
"Lo so."
Altre lacrime mi rigarono il viso, ma non tentai di asciugarle. Trevor, invece, lo fece. Portò le mani sul mio volto e con i pollici cancellò i segni del mio pianto. Quel suo gesto interruppe all'istante il mio dolore. Per un attimo dimenticai tutto e smisi di piangere.
Ci guardammo a lungo senza parlare; l'unico rumore nella stanza era quello dei nostri respiri. Poi, all'improvviso, fui travolta da una sensazione mai provata prima. Qualcosa mi spingeva verso Trevor. Non sapevo cosa fosse, ma tutto ciò che riuscii a fare fu assecondarla. Mi lasciai guidare, protendendomi verso di lui. E anche Trevor fece lo stesso. Si stava già avvicinando prima che iniziassi anche io. Le sue mani erano ancora sul mio viso, e mi sembrava che i punti in cui mi toccava fossero incandescenti. Mi sentii avvampare ed ebbi l'impulso di abbassare lo sguardo, ma gli occhi di Trevor me lo impedirono. Erano diventati così scuri che mi fecero mancare il respiro. Ed erano talmente vicini che...
Lo squillo di un cellulare arrestò la nostra avanzata e per un istante rimanemmo entrambi a pochi millimetri di distanza. I nostri nasi che quasi si sfioravano.
"Dannazione" imprecò Trevor quando la suoneria si fece più insistente. Si allontanò e afferrò il cellulare che si trovava su un basso tavolino in legno chiaro al centro del soggiorno.
"Pronto?" rispose con tono duro. "A che ora? Va bene, digli che per le quattro non ci sono problemi." Trevor interruppe la chiamata senza neanche salutare. Non l'avevo mai visto così freddo e distaccato.
"Scusa," si rivolse a me dopo aver rimesso il cellulare sul tavolino, "era il lavoro."
Impiegai più tempo del previsto per riprendermi da quello che era successo. Anzi, quello che stava per succedere. Io e Trevor stavamo per baciarci.
"È meglio che vada" asserii scattando in piedi.
"Non è il caso che ti metta a guidare in queste condizioni. Sei sconvolta."
Mi avviai verso la porta senza distogliere lo sguardo dal pavimento. Non sarei riuscita a guardare Trevor senza crollare.
"Haylee, aspetta." Lui mi seguì, ma non mi fermò quando aprii la porta ed uscii di casa.
"Ci vediamo domani" lo salutai, riferendomi all'appuntamento che avevamo già fissato da giorni.

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now