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I primi due bocconi di pizza mi avevano fatto venire la nausea, che poi era scomparsa lasciando il posto alla fame. Avevo già divorato due tranci e ora stavo mangiando il terzo, accompagnando qualche boccone con un sorso d'acqua.
Io e Trevor eravamo seduti sulla scrivania, e tra di noi c'era il cartone della pizza.
"Riguardo a quello che mi hai detto prima, voglio che tu sappia una cosa: non ti sto aiutando per soldi. Non ti chiederò nulla alla fine di questo percorso" affermò Trevor dopo aver finito il suo trancio di pizza.
"Cosa?" Il boccone che stavo masticando mi andò quasi di traverso e bevvi subito un po' d'acqua.
"Ho detto..."
"Ho capito," lo interruppi subito, "ma non voglio che lo fai. Stai facendo il tuo lavoro e devi essere pagato."
"Ho già parlato con Garry e gli devo un favore, quindi..."
Appoggiai il bordo della pizza sul cartone e scesi dalla scrivania. "Devi un favore a lui, non a me. Io ti pagherò."
"No, è già tutto a posto così."
"Pagherà il dottor Barnes, vero? Mi sta facendo vivere nell'appartamento di sua figlia senza che paghi l'affitto, e ora anche questo. È troppo, non riuscirò mai a sdebitarmi con lui."
Trevor smise di mangiare e saltò giù dalla scrivania mettendosi di fronte a me.
"Calmati, non c'è bisogno di preoccuparsi così tanto. Garry vuole semplicemente aiutarti" mi disse con un tono di voce basso.
"Lo so, ma... vorrei riuscire a fare qualcosa da sola. Non so come spiegartelo."
L'espressione sul viso di Trevor si addolcì, mentre lui incrociava le braccia.
"Provaci" mormorò. La sua voce mi diede la forza necessaria per continuare.
"Durante gli ultimi anni della mia vita ho dovuto fare tutto ciò che mi dicevano e ora non voglio più farlo. Lui mi diceva come comportarmi, cosa mangiare e cosa no. Non potevo bere birra o altri alcolici, mentre lui si ubriacava quasi ogni fine settimana. Dovevo fargli trovare il pranzo e la cena pronti quando tornava a casa, altrimenti si arrabbiava. Non potevo uscire con le mie amiche e nemmeno lavorare. Per questo per me è importante pagarti: voglio farcela da sola. Voglio farlo."
Solo quando smisi di parlare mi resi conto che stavo piangendo. Avevo il viso bagnato e la vista appannata, eppure non stavo singhiozzando come mi era successo negli ultimi giorni.
Trevor mi guardò in silenzio, in attesa che mi calmassi.
"Parlerò con Garry" decise alla fine.
"Ti ringrazio." Provai a sorridergli riconoscente, ma le lacrime lo resero difficile.
Trevor si allungò al di là della scrivania e si chinò sotto il tavolo dove si trovavano dei cassetti. Ne aprì uno, prese un fazzoletto e me lo passò.
"Ormai è tardi, dovrei andare a casa" dissi dopo aver asciugato le lacrime ed essermi soffiata il naso.
"Puoi rimanere quanto vuoi, Haylee."
Lo guardai negli occhi e in quel momento il mio cuore accelerò il battito.
"Grazie, ma penso che andrò lo stesso."
Ignorai la sensazione poco piacevole che provavo al petto e presi la borsa. Dopo aver salutato Trevor, tornai a casa.

Fare la spesa quando vivevo con Dominic era una tortura. Dovevo andare al supermercato vicino casa e acquistare soltanto prodotti freschi e di qualità. Niente cibi confezionati pieni di conservanti, niente bevande gassate ricche di zuccheri. Erano ammessi soltanto frutta, verdura, carne, pasta e pane fresco. All'inizio era difficile stare così attenta a cosa compravo, ma con i giorni divenne più facile.
Camminavo lungo il marciapiede da qualche minuto, assaporando l'aria fresca della sera e osservando tutto ciò che avevo intorno. Edifici nuovi e moderni affiancati ad altri in stile georgiano, giardini con l'erba corta e di un verde brillante, siepi curate. Mi sembrava di essere in un altro mondo, lontana anni luce dalla casa dove avevo trascorso gli ultimi anni della mia vita. Il quartiere dove avevo vissuto con Dominic era carino e rustico, ma nulla in confronto a quello dove si trovava il mio nuovo appartamento. Forse mi sembrava più bello perché avevo dato una svolta alla mia vita, lasciandomi alle spalle tutte le cose brutte.
Il negozio di alimentari non era distante da casa mia, mi bastavano sette minuti a piedi per raggiungerlo. Lo stesso tempo che impiegavo per arrivare allo studio di Trevor che, infatti, si trovava di fronte al negozio. Le porte scorrevoli in vetro si aprirono appena il sensore rilevò la mia presenza e io entrai con leggera esitazione. Sapevo che questa volta sarebbe stata diversa da tutte le altre. Afferrai un cestino di metallo e cominciai a vagare per le corsie osservando i prodotti perfettamente allineati sugli scaffali. Poi afferrai una scatola di cereali al cioccolato. Niente fiocchi d'avena o di frumento. Solo cioccolato e tanti zuccheri. Man mano che procedevo lungo i corridoi, prendevo qualcosa che era presente nella lista che avevo stilato mentalmente. Quando mi trovai nella corsia centrale di fronte all'ingresso, tra gli snack dolci e salati, le porte automatiche si aprirono. Un uomo alto, robusto, dai lineamenti messi in ombra da un cappuccio entrò nel negozio con passo deciso e svoltò a destra in direzione del reparto degli alcolici.
Dominic.
Non riuscii a muovermi per qualche secondo, anche se sapevo che dovevo assolutamente andare via. Strinsi forte il manico del cestino, poi mi guardai intorno. Non potevo uscire da dove ero entrata perché ero troppo scoperta. Lui avrebbe potuto vedermi e allora sarebbe stata la fine.
Mi incamminai velocemente verso la direzione opposta in cui si trovava Dominic, poi il mio sguardo venne catturato dall'insegna del bagno. Mi infilai in quello delle donne, chiudendo la porta a chiave e appoggiandomi al muro. Le mani mi tremavano e avevo l'impressione di non riuscire a respirare. La mia mente era tornata indietro nel tempo, al giorno in cui Dominic mi aveva picchiata l'ultima volta. Sentivo la paura, il dolore, l'odore e il sapore del sangue. Sentivo la sua rabbia, la sua forza, il suo disprezzo, il suo odio, le sue parole offensive e affilate come spade. Stavo rivivendo tutto quanto e non riuscivo a riprendere il controllo di me stessa. Le emozioni stavano avendo la meglio.
Mi lasciai cadere a terra con il fiato corto e, con dita tremanti, estrassi il cellulare dalla tasca dei jeans. Aprii la rubrica e chiamai subito il dottor Barnes, ma lui non rispose e scattò la segreteria telefonica. Chiusi la chiamata senza lasciare un messaggio e tornai alla rubrica, dove era memorizzato un altro numero: quello di Trevor. Mi trovavo di fronte al suo studio e, se fossi stata fortunata, lui mi avrebbe risposto e aiutato subito. Premetti il tasto di chiamata portandomi il cellulare all'orecchio. Sentii la voce di Trevor dopo pochi secondi e il mio cuore mancò un battito.
"Trevor" asserii, tenendo la voce bassa. Avevo paura che Dominic potesse sentirmi.
"Haylee? Stai bene?" Nella sua voce notai una leggera preoccupazione.
"È qui. Lui è qui." Le parole mi si bloccarono in gola e non riuscii a proseguire.
"Dove sei?"
Feci un respiro profondo con l'intento di controllare la voce e il tremolio delle mani. "Nel negozio di alimentari di fronte al tuo studio. Mi sono chiusa in bagno."
Sentii un rumore in sottofondo, poi la voce di Trevor mi riempì di speranza. "Sto arrivando. Rimani lì dentro."
Annuii anche se lui non mi poteva vedere.
"Trevor?" mi affrettai a chiamarlo.
"Sì?"
"Ho paura. Ti prego, non riattaccare" lo implorai prima che la mia voce si spezzò.
"Non lo farò, te lo prometto."
Sospirai piano. "Grazie."
"Ti ha vista?"
Ripensai al momento in cui Dominic era entrato nel negozio. "Non lo so, credo di no."
"Sto uscendo dal palazzo" mi informò Trevor. "Cosa indossa?"
Riflettei un istante, poi l'immagine di Dominic mi comparve davanti agli occhi.
"Felpa grigia col cappuccio che gli copre la testa e jeans scuri."
"Okay. Ascolta, Haylee, adesso entro, faccio un giro per vedere se è ancora nel negozio, poi vengo da te. Va bene?"
"Va bene" assentii, provando sollievo nel sapere che Trevor era vicino.
"Resterò sempre al telefono con te."
Sentii le porte del negozio aprirsi in sottofondo e la mia paura diminuì leggermente.
"Hai fatto la spesa?" mi chiese Trevor con voce calma.
"Avevo quasi finito."
"Che cosa hai preso?"
"I cereali al cioccolato" risposi, vedendo sbucare la scatola dal cestino.
"Ti piacciono i cereali al cioccolato? Credevo che alle ragazze piacessero i fiocchi d'avena."
"Adoro i cereali al cioccolato. Quando ero piccola, li mangiavo ogni mattina. Invece, detesto i fiocchi d'avena."
Dominic mangiava solo quelli a colazione e, di conseguenza, avevo dovuto adattarmi alle sue abitudini. Secondo lui era così che doveva fare una perfetta donna di casa.
"Cos'altro hai preso?"
"Ehm... Delle uova, un avocado, dei pomodori e del pane."
"Scommetto che farai dei toast buonissimi."
"Trevor?"
"Sì?"
"Stai cercando di distrarmi?" chiesi, mentre appoggiai la testa al muro.
"Ci sto riuscendo?"
"Sì." Sentii un rumore al di là della porta, poi qualcuno bussò.
"Sono io," disse Trevor, "puoi aprire."
Girai lentamente la chiave tenendo il telefono premuto contro l'orecchio. Appena vidi il viso di Trevor spalancai la porta e misi il cellulare in tasca. Fui colta dall'improvvisa voglia di abbraccialo, ma non lo feci. Ero certa che quel bisogno fosse dovuto al fatto di aver temuto il peggio e di vedere un volto amico.
Trevor entrò nel bagno, assicurandosi di non essere visto da nessuno.
"Stai bene?" mi chiese preoccupato.
Annuii piano.
"Sicura?" Lui si chinò per esaminarmi meglio e i nostri sguardi si incontrarono.
"Sì, ora sto bene."
Trevor mi sorrise sollevato, poi tornò quasi subito serio. "Ho controllato il negozio due volte e non ho visto nessuno con la felpa grigia e il cappuccio in testa."
"Forse è andato via. Forse non si è nemmeno accorto di me."
"Può darsi, ma per sicurezza metti questi." Trevor mi passò un cappello da baseball nero e un paio di occhiali da sole che erano appesi alla maglietta rossa.
Raccolsi i miei capelli scuri e li nascosi sotto il cappello, poi indossai gli occhiali. Senza dire una parola uscimmo dal bagno – prima Trevor e dopo io – e andammo verso il centro del negozio.
"Devi comprare dell'altro?"
"Sì, le mele e il succo d'arancia."
Trevor mi accompagnò a prendere le ultime cose, poi, dopo aver pagato, uscimmo dal negozio.
"Non me ne frega un cazzo! Devi trovarla! Lei è mia." Mi fermai appena sentii le urla di Dominic.
Trevor mi venne addosso e per poco non feci cadere il sacchetto della spesa. Dominic si trovava dall'altra parte della strada, vicino ad una vecchia quercia, e parlava al telefono. Anzi, urlava attirando l'attenzione dei passanti. Trevor seguì il mio sguardo e quando vide Dominic mi mise una mano sulla spalla destra.
"È lui?" chiese a bassa voce avvicinandosi al mio orecchio.
Annuii, incapace di proferire parola.
Dominic camminava avanti e indietro intorno all'albero, e in quel momento notai la bottiglia di whisky che stringeva tra le dita.
"È ubriaco" mormorai, voltandomi verso Trevor.
Volevo scappare, andare a casa e rifugiarmi nella mia camera; ma non potevo. Dominic si trovava nella direzione che avrei dovuto prendere. Anche Trevor se n'era accorto, perché mi posò una mano sulla schiena indirizzandomi nel senso opposto. Mi condusse ad un parcheggio di fianco al negozio, poi estrasse una chiave da una tasca dei pantaloni e aprì la macchina davanti alla quale ci eravamo fermati. Una Cadillac grigia seminuova.
"Sali" mi ordinò.
Montai in macchina senza farmelo ripetere un'altra volta, il sacchetto della spesa stretto tra le braccia. Trevor partì e appena uscì dal parcheggio svoltò in direzione di casa mia.
"Stai giù" mi disse mentre ci stavamo dirigendo verso Dominic.
Io obbedii e mi abbassai fino a nascondermi del tutto. Quando la macchina si fermò il mio cuore prese a battere velocemente.
"Puoi alzarti, Haylee. Siamo arrivati."
Mi voltai verso Trevor, che mi rivolse uno sguardo rassicurante. Il suo sorriso mi fece sentire più tranquilla, aiutandomi a uscire dall'auto senza tremare.
"Tutto bene?" domandò nel momento in cui arrivammo all'ascensore.
"Credo di sì."
"Sicura?"
Entrai nell'abitacolo annuendo e Trevor mi seguì reggendo il sacchetto della spesa. I muscoli delle braccia erano in tensione sotto la maglietta rossa che aderiva perfettamente alla sua pelle.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono e raggiungemmo la porta del mio appartamento, provai a infilare la chiave nella serratura, ma non ci riuscii. Le mani mi tremavano vistosamente e non ero in grado di farle smettere.
"Ci penso io" disse Trevor con voce dolce, mettendo una mano sulla mia. Il contatto tra la mia pelle e la sua mi provocò un leggero brivido che mi fece sentire ancora più sopraffatta dalle emozioni.
Gli passai le chiavi poi mi appoggiai allo stipite, mentre lui apriva la porta.
"Puoi appoggiarlo sul tavolo" gli dissi, indicando il sacchetto della spesa una volta entrati in casa.
Trevor andò in cucina, mentre io rimasi vicino alla porta, dove mi tolsi le scarpe. Era un'abitudine che avevo sin dall'infanzia e che mi aveva inculcato mia madre, convinta che in quel modo il pavimento sarebbe rimasto più pulito.
Raggiunsi la cucina con passo lento e trovai Trevor appoggiato al tavolo con le braccia incrociate. Il modo in cui mi stava guardando mi provocò una sensazione del tutto nuova all'altezza della pancia. Era qualcosa che non avevo mai provato con nessuno, nemmeno con Dominic.
"Grazie per avermi aiutata" esordii, sedendomi di fronte a lui.
Trevor mi sorrise, distendendo le sue labbra leggermente carnose. "Prego."
La sensazione alla pancia aumentò quando i suoi occhi marroni incontrarono i miei. In quel momento mi accorsi di quanto fossero simili a delle calamite: mi era impossibile distogliere lo sguardo.
"So che dovresti tornare allo studio, ma non..." Mi schiarii la voce sentendomi improvvisamente imbarazzata.
Per tutta risposta, Trevor mi guardò confuso. Non riuscivo a trovare le parole giuste. Avevo un nodo alla gola che mi impediva di parlare. Volevo spiegargli che avevo paura di rimanere sola, che temevo che Dominic mi avesse vista e seguita. Volevo stare tranquilla e al sicuro per un altro po' di tempo e, in quel momento, solo Trevor mi faceva sentire protetta. Volevo che restasse qualche altro minuto con me.
"Puoi rimanere un altro po'?" domandai con voce tremante. "Se non devi tornare subito allo studio" aggiunsi in fretta.
Trevor si voltò, mettendosi seduto sullo sgabello. "Resterò fino a quando vorrai."

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now