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Nell'arco di poche settimane la mia vita era cambiata radicalmente, e mi sembrava tutto un sogno. Non stavo così bene da anni. Non ricordavo neppure qual era stata l'ultima volta che mi ero sentita così serena e in pace con me stessa. Ma, soprattutto, avevo smesso di avere paura. Quando camminavo per strada non mi guardavo costantemente intorno alla ricerca di Dominic, non sentivo più quella paura che prima mi faceva stare sempre in allerta. Ora stavo bene e sapevo che dovevo ringraziare me stessa per il coraggio e la decisione che avevo preso, ma anche Trevor. Lui mi aveva restituito quel pezzo di me stessa che pensavo di aver perso per sempre. Trevor mi aveva ridato il sorriso e la voglia di vivere. Quando mi aveva chiesto se credessi nell'amore, durante il nostro appuntamento, io gli avevo risposto di no. Non ci credevo più dopo tutto quello che era successo con Dominic. Lui aveva distrutto me e la mia fiducia negli uomini. Lo pensavo davvero. Però, dopo aver fatto l'amore con Trevor, qualcosa era cambiato. Non conoscevo più la risposta alla domanda che mi aveva posto. Quei nostri minuti di intimità avevano messo in discussione tutto. Trevor aveva messo in dubbio tutto.
"Buongiorno."
Mi voltai e vidi Trevor in piedi vicino al frigorifero.
"Ciao" lo salutai sorridendogli.
La sua voce era bellissima e sensuale.
"Stai lavorando?" mi chiese avvicinandosi.
Aveva i capelli leggermente arruffati, ma era già vestito, pronto per il lavoro.
Annuii riportando gli occhi sul computer
"Da quanto sei sveglia?" Trevor mi diede un bacio sulla testa, poi prese un muffin dal piatto sul bancone.
"Un paio d'ore, più o meno."
Non disse nulla per un po', così alzai lo sguardo e notai che mi stava fissando. Il muffin sospeso a mezz'aria non molto lontano dalla sua bocca.
"Sei in piedi dalle cinque e mezza?"
"Non riuscivo a dormire, così ho pensato di lavorare un po'."
Trevor appoggiò il muffin sul bancone, poi venne da me, mi fece alzare e si sedette al mio posto.
"Vieni qui" disse dolcemente, picchiettandosi le mani sulle ginocchia.
Mi accomodai sulle sue gambe senza farmelo ripetere un'altra volta e nascosi il viso nell'incavo del suo collo.
"Qualcosa ti turba?" domandò accarezzandomi i capelli.
Scossi la testa in segno di risposta, inspirando il suo profumo.
"No, sono solo... tranquilla, calma. È che faccio fatica a dormire di fianco a uno che russa" lo presi in giro trattenendo un sorriso.
"Io non russo." Trevor mi pizzicò un fianco e io mi raddrizzai subito.
"Invece è..."
Mi interruppe baciandomi.
Mi sentii avvampare nell'istante in cui le sue labbra si posarono sulle mie, poi risposi al bacio con il suo stesso trasporto. Quando ci staccammo, lui osservò lo schermo del computer.
"Scrivi una recensione sulla morte?"
Accarezzai la sua mascella ricoperta di barba prima di replicare.
"Già. Credo che questa sia una delle recensioni più strane e difficili che abbia mai scritto."
"A me sembra un po' macabra" osservò, leggendo le prime righe. "Chi è Martin Denver?"
"È l'autore del saggio di cui devo fare la recensione. L'ha scritto l'anno scorso e parla di ciò che avviene dopo la morte."
Trevor rabbrividì e la sua reazione mi fece sorridere.
"È un argomento che ti spaventa?" domandai con tono canzonatorio.
"Non mi piace pensare a quella cosa."
"Alla morte?"
Annuì appena.
"Perché?"
"Perché voglio pensare alla vita e a come viverla al meglio."
Lo scrutai a lungo poi gli sorrisi. "Molto saggio."
"Devo andare al lavoro." Trevor mi diede una pacca sul sedere per farmi alzare.
Obbedii controvoglia. Volevo stare ancora con lui, ma capivo che aveva degli impegni importanti.
"A che ora hai il primo appuntamento?"
Controllò l'orologio d'acciaio che aveva al polso. "Fra meno di quaranta minuti."
Mi attirò a sé, facendo premere ogni parte del mio corpo contro il suo.
"Salutami come si deve" mormorò con voce roca.
Mi alzai sulle punte dei piedi, passandogli le braccia intorno al collo, e lo baciai con tutta me stessa. Trevor mi strinse forte, sollevandomi da terra e rispondendo al mio bacio come solo lui sapeva fare.
Ogni volta che le sue labbra toccavano le mie venivo invasa da una scarica elettrica che, giorno dopo giorno, mi rendeva più felice.
"Ci vediamo più tardi per la seduta." Il suo sguardo fu attraversato da un luccichio malizioso, poi lui si voltò e andò verso la porta d'ingresso.
Lo seguii, osservando il suo sedere ondeggiare con sicurezza e virilità.
Quell'uomo era perfetto: in forma, gentile, premuroso, divertente, adorava il suo lavoro. Era la perfezione in carne e ossa. Non riuscivo ancora a credere di aver trovato una persona come lui.
Dopo Dominic, pensavo che non sarei mai più riuscita a trovare qualcuno da volere al mio fianco ed ero sicura che non avrei mai più riposto fiducia in un uomo. Trevor, invece, aveva mandato in fumo tutti i miei pensieri, i miei dubbi e le mie paure.
Uscì di casa, ma prima che potessi richiudere la porta, la signora Brimbley comparve davanti ai miei occhi.
"Buongiorno, cara" mi salutò mostrando un sorriso gentile.
Nonostante abitassimo una di fianco all'altra, non la vedevo da un paio di settimane e non potei fare a meno di notare il suo aspetto trasandato. I capelli bianchi, che di solito teneva raccolti in una crocchia sopra la testa, erano sciolti, il suo sguardo aveva un'aria piuttosto stanca e il suo abbigliamento lasciava intuire che avesse indossato le prime cose trovate nell'armadio. Una maglietta bianca e larga, dei pantaloni scoloriti e un paio di ciabatte rovinate la facevano sembrare un'altra persona.
"Salve, signora Brimbley."
Si appoggiò al muro di fianco alla porta e venni invasa dalla preoccupazione. Lei non stava affatto bene.
"Mi dispiace disturbarti così presto, ma vorrei chiederti un favore."
Annuii osservandola attentamente. Aveva gli occhi leggermente lucidi e il viso pallido.
"Vorrei prepararmi un caffè, ma la scatola è in alto e non riesco a prenderla. Puoi aiutarmi?"
Presi le chiavi di casa e uscii dall'appartamento appena finì di parlare.
"Certo, molto volentieri."
Seguii l'anziana fino all'ingresso del suo trilocale e mi feci indicare il ripiano su cui si trovava il caffè.
La cucina della signora Brimbley era completamente diversa dalla mia: arredata in stile classico, aveva mobili vecchi color noce, un tavolo rotondo e delle sedie in legno sbeccate. Tutto sembrava avere la stessa età della proprietaria, persino il divano a fiori scolorito che di sicuro aveva visto tempi migliori.
"È dietro la confezione dei biscotti." Alzò una mano per indicare una credenza sopra i fornelli.
Afferrai la scatola di caffè, ma non gliela passai. Decisi di prepararglielo personalmente.
"Grazie" disse quando intuì le mie intenzioni. "Di solito riesco ad arrivare alla credenza, ma oggi la mia schiena fa i capricci."
"Non si preoccupi. È un piacere aiutarla." Riempii d'acqua il contenitore della macchinetta, poi versai il caffè in polvere nell'apposito cassettino.
"Avrei potuto chiamare mio nipote, ma è via per lavoro."
"Stephan?" Appena premetti il pulsante per fare il caffè, la macchinetta produsse un rumore poco rassicurante.
"Già. Non viaggia quasi mai per lavoro, solo una o due volte all'anno, ma quando va via rimane fuori casa per parecchi giorni" spiegò mentre scostava una sedia per sedersi.
"Quando è partito?" domandai quando la macchinetta finì di fare rumore.
"Due giorni fa. Rientrerà fra un paio di settimane."
Presi una tazza dal lavello e versai un po' di caffè per la signora Brimbley.
"Grazie" disse quando gliela porsi. "Ne vuoi anche tu?"
Scossi la testa piano. "L'ho bevuto poco fa."
La signora Brimbley indicò la sedia di fronte alla sua, invitandomi ad accomodarmi.
"Come ti trovi qui? Ti piace?"
"Sì, è una zona molto bella e tranquilla, vicino al supermercato, al bar e altre comodità."
Lei annuì, mostrandosi totalmente d'accordo con me.
"Vivo qui da più di quaranta anni e non cambierei casa nemmeno se mi offrissero milioni di dollari."
Sentendo le sue parole non potei fare a meno di sorridere.
"È il posto ideale per i vecchi come me. Stephan, invece, lo detesta. Lui preferisce vivere in centro, tra il trambusto della città, come molti giovani." Mi guardò con occhi curiosi, in contrasto con la sua pelle pallida. "Cosa ti ha portato qui, cara?"
Eccola, la domanda da un milione di dollari.
Potevo rispondere? Potevo dire la verità alla signora Brimbley?
"È una lunga storia" replicai, cercando di usare un tono leggero.
"Spero non sia triste." Si portò la tazza alle labbra e sorseggiò un po' di caffè senza distogliere gli occhi dai miei.
"Forse un po'" ammisi abbassando lo sguardo sulle mie mani.
Non mi andava di vedere la signora Brimbley cambiare atteggiamento a causa di quello che le avevo appena detto. Non volevo che mi guardasse con compassione.
"Ti andrebbe di cenare con me stasera? Preparerò un ottimo stufato." La sua voce era fiera e piena di promesse, ma nonostante ciò ero tentata di rifiutare. Però sarebbe stata la seconda volta e non volevo essere scortese.
"Certo." Finsi di mostrarmi entusiasta e alzai gli occhi su di lei.
Qualcosa non andava. Mi fissava con aria sofferente, non batteva le palpebre ed era rigida. In un attimo cadde a terra.
"Signora Brimbley?" urlai, precipitandomi verso di lei.
Provai ad essere veloce, ma non ci riuscii e non feci in tempo ad afferrarle la testa, che batté contro il pavimento scuro.
La chiamai un'altra volta, ma non ottenni risposta. Ora i suoi occhi erano chiusi e il volto inespressivo.
Una ciocca di capelli le copriva parte della guancia destra e la scostai, per poi appoggiarle due dita sul collo. Il cuore non batteva. Mi guardai intorno e vidi un cellulare su una piccola mensola vicino al divano. Lo afferrai e chiamai i soccorsi.
"911, come posso aiutarla?"
"Mi chiamo Haylee Reed. La mia vicina di casa è caduta a terra e non respira. Fate venire un'ambulanza al 27 Fieldwood Road. Vi prego."
Faticavo a respirare per quanto avevo parlato veloce.
"I soccorsi stanno arrivando. Intanto cerchi di calmarsi." La voce della donna che aveva risposto alla mia chiamata era risoluta, e in un certo senso mi tranquillizzava.
"Okay." Inspirai ed espirai profondamente. Dovevo calmarmi, non potevo perdere il controllo.
"Mi dica cos'è successo."
Cercai di tenere il telefono fermo nonostante mi tremassero le mani.
"Stavamo parlando, poi, quando ho alzato lo sguardo, ho visto che aveva gli occhi fissi su di me. Sembrava stesse soffrendo. Subito dopo è caduta a terra. Ho provato ad essere più veloce, ma non ce l'ho fatta. Ha battuto la testa."
Cominciai a piangere mentre descrivevo tutto nei minimi particolari alla donna.
"Ha perso sangue?"
"No" risposi tirando su col naso.
"Stia calma. I soccorsi sono quasi arrivati."

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now