26

358 54 3
                                    

Quella prima notte non ero riuscita a dormire e mi ero alzata dal letto con un terribile mal di testa. Avevo pensato continuamente al dottor Barnes e a Trevor, e più pensavo più la testa minacciava di scoppiarmi.
Dopo una doccia veloce, uscii di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare e dei vestiti. Salii sulla vecchia bicicletta e pedalai verso l'entroterra. Ben presto mi trovai davanti a una piazzetta dove c'era un piccolo mercato pieno di persone. Gente che parlava in francese, altra in inglese, donne che pulivano pesce fresco e uomini che cucinavano qualcosa dall'aria appetitosa su padelle giganti. Mi sembrava di essere su un altro pianeta. Neanche a Waterbury c'erano dei mercati simili.
Scesi dalla bicicletta e incominciai a camminare tra le bancarelle con le mani sul manubrio. La prima che attirò la mia attenzione era una di frutta e verdura. C'erano cose che non avevo mai visto prima, frutti esotici che non si trovavano nemmeno nel supermercato più fornito di Waterbury. I colori erano sgargianti, così acquistai quello che mi ispirava di più. Comprai anche alcuni piatti pronti, fatti sul momento, che avrei messo in freezer una volta arrivata a casa.
Dopo aver scrutato attentamente ogni bancarella, decisi di sedermi su una panchina e gustarmi la mia colazione a base di macedonia. Mentre mangiavo, chiedendomi come avrei fatto a tornare a casa con tutti quei sacchetti, un uomo si sedette al mio fianco.
"Ciao, straniera."
Mi voltai finendo di masticare un pezzo di mango. "Anaru! Buongiorno."
"Che fai di bello?"
Infilzai un cubetto di ananas. "Mi riposo, tu?"
"Stavo facendo un giro, poi ti ho visto qui e ho pensato di farti compagnia."
"Oh, grazie." Iniziai a insospettirmi. Mi stava seguendo?
Scacciai quel pensiero dalla mia testa, sapendo che il sospetto era dovuto al mio passato.
"Hai comprato tutta quella roba?" chiese all'improvviso con occhi spalancati.
Abbassai lo sguardo sui sacchetti posati a terra. "Non è poi così tanta."
"Come fai a tornare a casa?"
"Me la caverò" replicai alzando le spalle.
"Ti aiuto io."
Mi alzai per buttare la ciotola vuota, pronta ad andarmene.
"Non c'è bisogno, grazie. Riesco a farcela."
Presi tutti i sacchetti, ma Anaru me ne strappò alcuni di mano. Lo fulminai con lo sguardo, nascondendo la paura che quel gesto mi aveva suscitato.
"Ho detto che posso farlo da sola."
Lui mi guardò a lungo, poi addolcì la sua espressione. "So che non sei in vacanza."
Per poco non feci cadere i sacchetti a terra. Come faceva a saperlo?
"Co..." provai a parlare, ma mi bloccai.
"Conosco quello sguardo: hai paura. L'ho notato ieri sera quando parlavamo. Non so cosa ti è successo, cosa ti hanno fatto e cosa ti ha spinto a lasciare New York e venire qui; ma so che non sei in vacanza. Ne sono certo."
Sentivo il cuore battere all'impazzata e gli occhi riempirsi di lacrime. "Non sono affari tuoi."
Mi voltai, incamminandomi verso casa con Anaru che mi seguiva silenzioso. Quando arrivammo, aprii la porta e appoggiai tutto sul tavolo.
"Quelle puoi metterle lì" gli dissi, indicando il ripiano della cucina.
Anaru obbedì, poi andò ad aprire il frigorifero.
"È vuoto" asserì incredulo.
"Ti ricordo che sono arrivata ieri." Cominciai a svuotare le buste e a mettere tutto al proprio posto.
"Dovremmo comprare da bere." Anaru ripose nel frigo tutta la frutta e la verdura che avevo preso.
"Dovremmo? Noi?"
Lui ignorò il mio commento, poi andò verso la porta. "Aspetta qui, torno subito."
Mentre Anaru era via, decisi di dare un'occhiata al mio cellulare. Non lo facevo dal giorno prima e avevo bisogno di sapere se qualcuno mi aveva cercata. Ne avevo bisogno e basta. Appena lo accesi, trovai decine di chiamate senza risposta, sia di Trevor che del dottor Barnes, e una quantità enorme di messaggi. Tutti di Trevor. Non risposi, ma nemmeno li lessi.
"Haylee, apri. Sono io." La voce di Anaru mi fece sobbalzare e il cellulare mi scivolò dalla mano cadendo a terra. Lo raccolsi in fretta, poi aprii la porta.
"Mi puoi aiutare con quella busta?" Indicò con la testa un sacchetto ai suoi piedi, mentre tra le mani reggeva una scatola.
"Che diavolo è quello?" Non volevo essere brusca, ma non riuscii a controllarmi.
"Acqua, succhi di frutta e birra." Andò in cucina e mise tutto nel frigo, poi si avvicinò, prendendo il sacchetto dalle mie mani. "Queste, invece, ci servono ora. Seguimi."
Sorprendendo me stessa, ascoltai il suo ordine e lo seguii. Mi guidò lungo il vialetto del palazzo che terminava sulla spiaggia. Quando lui non si fermò, decisi di togliermi le scarpe. E fu la cosa migliore che potessi fare. Non provavo la sensazione della sabbia calda sulla pelle da anni. Da quando mia madre mi aveva portato al mare anni prima, per il mio sedicesimo compleanno. Mi sfuggì un gemito di piacere e, per un attimo, mi scordai di Anaru.
L'odore del mare, il sole caldo sulla pelle, il rumore delle onde. Ero libera.
"Forza, principessa, vieni qui a sederti." Anaru, col suo passo svelto, era arrivato alla riva e mi guardava in attesa che lo raggiungessi.
Quando ci sedemmo uno di fianco all'altra, mi passò una lattina.
"Grazie." Il mio sguardo cadde sulla busta di plastica ai suoi piedi. "Quanta birra hai preso?"
"Ce n'è un'altra per Brad, poi ho preso anche un succo per Michael."
Lo guardai con aria interrogativa.
"Ci raggiungono tra poco."
"Non posso fermarmi molto."
"Perché?" La sua naturalezza quasi mi turbava.
"Devo andare a fare shopping."
Anaru mi guardò divertito. "Guarda che qui non ci sono centri commerciali come a New York."
Alzai gli occhi al cielo, bevendo il primo sorso di birra. "Lo so. Devo solo comprare qualche vestito e un costume. Conosci qualche negozio qui vicino?"
"Certo," rispose, guardando l'orizzonte, "ti ci posso accompagnare. Io e Brad dobbiamo andare in città perché Michael ha bisogno di una nuova tavola da surf. Possiamo andarci tutti insieme."
"Ti ringrazio." Decisi di non rifiutare la sua proposta, dato che sia lui che Brad mi sembravano delle brave persone.
"Allora, ragazza di città, ti piace qui?"
Annuii, voltandomi verso di lui. "È un posto tranquillo."
"E i turisti non vengono quasi mai qui."
"Cosa stai insinuando?" Scattai subito sulla difensiva.
"Che non hai scelto di venire qui di proposito. È capitato. O sbaglio?"
All'improvviso mi sentii indifesa. Quest'uomo mi conosceva da meno di un giorno e aveva già capito troppe cose su di me.
"Perché continui a farmi domande del genere? Non sono affari tuoi."
Anaru non disse niente, così iniziai a pensare di averlo offeso. Non potevo dargli torto, d'altronde ero stata davvero maleducata.
"Io e Brad ci conosciamo da una vita. Eravamo migliori amici quando avevamo sei anni, ma crescendo il nostro rapporto è cambiato. A diciannove anni passavamo tantissimo tempo insieme e sapevo che stavo cominciando a nutrire sentimenti più profondi nei suoi confronti. È stato in quel periodo che ho capito di essere gay. L'ho raccontato ai miei genitori, non volevo avere segreti con loro, e mi hanno voluto ancora più bene. Non mi hanno mai fatto sentire diverso, accettandomi per quello che ero.
"Purtroppo, Brad non è stato così fortunato. Dopo che abbiamo ammesso entrambi di provare qualcosa l'uno per l'altro, anche lui ne ha parlato con la sua famiglia, ma alla fine i suoi genitori lo hanno sbattuto fuori di casa. Ha vissuto a casa mia e dei miei. Mia madre e mio padre lo hanno accettato come se fosse stato loro figlio. Però lui ha sofferto molto e gli ci è voluto diverso tempo per riprendersi dal modo in cui i suoi genitori gli hanno voltato le spalle. Vedi, Haylee, tu ora hai lo stesso sguardo che aveva Brad in quel periodo."
Il mio cuore saltò un battito. Silenzio.
La sua storia mi colpì a tal punto che dovetti voltarmi dall'altra parte per non fargli vedere che mi aveva commossa. Nell'ultimo periodo volevo mostrarmi forte agli occhi degli altri, ma di sicuro con Anaru non ero riuscita nell'intento. Mi dava un po' fastidio il fatto che fosse così sveglio e perspicace, ma mi fece sentire anche meno sola.
"Il mio ex mi picchiava e mia madre non mi ha creduto, così sono scappata e mi sono fatta aiutare da un medico a ricominciare daccapo. Mi ha dato una casa dove stare, un cellulare nuovo, il contatto di un terapista in grado di aiutarmi e non ha mai chiesto nulla in cambio." Sospirai, mentre sentivo le lacrime pronte a uscire dagli occhi. "Mi sono innamorata di quel terapista, credo, e ci siamo frequentati. Quando il medico ha scoperto la nostra relazione si è arrabbiato e da quel giorno il terapista non si è più fatto vivo. L'ho rivisto due giorni fa, a casa di mia madre, insieme al medico che mi aveva aiutato. Stavano discutendo su di me. Non sapevano che ero lì. Parlavano e... Ho scoperto che quel medico è mio padre."
Gli argini si ruppero e le lacrime cominciarono a scorrere copiosamente sulle mie guance. Stavo crollando.
"Porca puttana." Anaru mise la sua lattina di birra sulla sabbia e si avvicinò.
"Già." Mi sfuggì un debole sorriso sentendo la sua imprecazione, ma non bastò a far cessare le lacrime e a distrarmi.
"Vorrei poter dire qualcosa per farti stare meglio, ma..."
"Papà!" Un bambino interruppe Anaru, saltandogli sulla schiena.
"Ciao, ometto!"
Aveva un figlio? Smisi subito di piangere e mi asciugai il viso con un lembo della maglietta, poi mi voltai verso di loro.
Un bambino di circa dieci anni si stava arrampicando sulla schiena di Anaru. Era magro, con la pelle color caramello e gli occhi e i capelli scuri. Dietro di lui c'era Brad, che si stava avvicinando e mi salutava con una mano.
"Ti ho preso questo" disse Anaru al bambino, porgendogli il succo di frutta che aveva tirato fuori dal sacchetto di plastica.
"Grazie." Il bambino mollò la presa, afferrò il contenitore e si sedette a gambe incrociate di fronte a lui.
"Haylee, questo è Michael, nostro figlio" asserì, guardando il bambino con occhi orgogliosi.
"Ciao" farfugliai sorpresa.
"Michael, Haylee è una nostra amica" aggiunse guardando Brad, che si stava sedendo di fianco al bambino
"Perché hai pianto?" domandò con innocenza Michael, senza nemmeno salutarmi.
Ero sicura di avere gli occhi rossi e ancora un po' lucidi.
"Mi è entrata della sabbia negli occhi." Sapevo che dire una bugia ad un bambino era un pessimo esempio, ma lo feci comunque.

Il centro commerciale non era vicino come immaginavo. I dieci minuti che credevo ci volessero divennero ben presto venti, ma sembrarono il doppio a causa di Michael. Da quando eravamo saliti sulla Jeep di Brad, non aveva mai smesso di parlare. Il primo argomento di cui aveva dialogato con Anaru riguardava la sua nuova tavola da surf. Ne voleva una colorata con il disegno di uno squalo. La situazione, però, degenerò quando iniziò a farmi delle domande.
"Quanti anni hai?" mi chiese guardandomi incuriosito.
"Michael, non si chiede l'età a una donna" lo rimproverò Brad.
"Perché, papà?"
"Non è educato, soprattutto se non la conosci."
Michael sbuffò, poi si voltò verso di me. "Ti piace il mare?"
Annuii sorridendo.
"E anche il surf?"
"Non lo so, non ho mai provato."
"Non hai mai provato?" Mi guardò allibito.
Scossi la testa, sospirando appena.
"Papà!" Michael cominciò a battere le mani sul sedile di Anaru. "Dobbiamo insegnare a Haylee a fare surf."
Incrociai gli occhi di Anaru dallo specchietto. Era uno sguardo carico di scuse, che però ignorai.
"Se lei è d'accordo, possiamo aiutarla."
Michael si voltò verso di me. "Sei d'accordo, vero?"
"Ehm..."
"Lo sei, vero?" ripeté con più entusiasmo.
"Credo di sì."
"Evviva!" Iniziò a saltare sul posto, agitando le sue gambette magre.
In quel momento mi chiesi come facevano Brad e Anaru a gestire un bambino così iperattivo. Probabilmente io non ci sarei riuscita.
Quando arrivammo al centro commerciale – se così si poteva chiamare, dato le sue piccole dimensioni – e scesi dalla Jeep, tirai un sospiro di sollievo. Seguii Brad, Anaru e Michael ed entrammo in un edificio dove al suo interno c'erano meno di dieci negozi, anche questi piuttosto piccoli.
"Non sarà come New York, ma per ora questo è il meglio che possiamo offrire." Anaru mi diede una pacca sulla spalla, indirizzandomi verso il centro del complesso.
Era quasi deserto, poche persone si aggiravano per i negozi, ma l'atmosfera era piuttosto rilassante grazie a una piccola fontana, delle panchine e alcune piante tropicali sparse qua e là.
"Va benissimo così" dissi, guardandomi attorno.
"Allora," sentenziò Brad, raggiungendoci con Michael sulle spalle, "laggiù c'è il negozio di tavole da surf, mentre da quella parte ci sono una profumeria, un ristorante, un paio di boutique e una farmacia."
Decidemmo di fare un giro tutti insieme, ma solo dopo aver preso la tavola da surf a Michael, che non stava più nella pelle e saltava a destra e a sinistra come una cavalletta. Purtroppo il negozio non vendeva tavole da surf con squali disegnati sopra; ma non fu un problema, perché Michael perse la testa per una verde elettrico che a guardarla faceva quasi male agli occhi. Brad e Anaru non erano molto contenti di quel colore, e più volte avevano cercato di convincere loro figlio a sceglierne un altro, però senza successo.
Dopo che Brad aveva caricato la tavola sulla Jeep, cominciammo il vero e proprio giro per i negozi. Era tutto così diverso rispetto a Waterbury: c'erano più colori e più fiori ovunque. E potevo respirare la libertà.
"Questo colore ti dona molto, secondo me." Brad sventolò in aria un bikini rosso ciliegia, attirando l'attenzione di quasi tutti i pochi clienti presenti nel negozio.
"Non saprei."
"Forza, fidati di me." Mi spinse verso il camerino passandomi il costume.
Iniziai prima a provarmi i vestiti che avevo scelto: pantaloncini, semplici magliette a maniche corte, qualche top e un paio di vestiti molto carini che avevano attirato la mia attenzione. Quando fu il turno del bikini, dovetti ammettere che Brad aveva ragione. Il rosso ciliegia era un colore che mi donava, intonandosi perfettamente con la mia pelle chiara e i capelli scuri.
"Avevi ragione, Brad" asserii, guardandomi ancora allo specchio.
"Ho sempre ragione. Esci di lì che vogliamo vederti."
Nonostante l'imbarazzo, mi feci coraggio e scostai la tenda del camerino.
"Proprio come immaginavo" disse Brad con aria soddisfatta.
"Sei uno schianto, Haylee." Anaru mi osservò da un divanetto lì vicino, dove era seduto insieme a Michael.
"Sì, proprio uno schianto" ripeté il figlio.
Brad si voltò verso di lui con sguardo divertito. "Ma se non sai nemmeno cosa significa."
Michael alzò le spalle, poi cominciò a saltare e girare, cantando una filastrocca che non avevo mai sentito prima.
Quando uscimmo dal centro commerciale, avevo le mani piene di sacchetti. Lì dentro c'era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Life - Ricominciare a vivereWhere stories live. Discover now