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Aprii lentamente gli occhi. Il soggiorno era invaso da una luce rossastra, che gettava ombre inquietanti sul pavimento, e la testa mi faceva malissimo. Mi portai una mano alla fronte per controllare la temperatura e, quando mi resi conto di non avere la febbre, sbuffai. Guardandomi intorno con aria assente, mi accorsi di aver dormito tutto il giorno. E, infatti, il mio stomaco brontolava rumorosamente chiedendo del cibo.
Raggiunsi la cucina con passo strascicato e aprii il frigo. Era grazie al dottor Barnes se potevo mettere qualcosa sotto i denti. Ed era grazie a lui se avevo un posto dove stare.
Lui era la prima persona a cui avevo pensato inconsciamente mentre stavo scappando da Dominic. Sapeva cosa mi era successo fin dalla prima volta che mi aveva visto, e ciò mi assicurava che potevo fidarmi del dottor Barnes.
In quel momento non avevo voglia di prepararmi un panino, un'insalata o qualsiasi altra cosa salata. Volevo un dolce. Magari una di quelle torte che Dominic non mi permetteva di mangiare. Diceva che erano piene di grassi che sarebbero finiti sui miei fianchi. Rovistai nella credenza per vedere se c'erano gli ingredienti necessari per preparare una golosa torta al cioccolato. Con mio grande sollievo notai di aver tutto: farina, zucchero, burro, uova, lievito e cioccolato. Sul mio viso mi sembrò di sentire comparire un sorriso, ma non ci feci troppo caso. Non ero abituata a sorridere da molto tempo.
Mi misi al lavoro, mescolando tutti gli ingredienti e poi infornando la torta. Nell'arco di pochi minuti la cucina venne inondata da un dolce profumo di cioccolato che fece aumentare i crampi allo stomaco. Quando sfornai la torta, aspettai che si raffreddasse e poi la farcii con una glassa al cioccolato che avevo preparato. Nell'attimo in cui terminai, qualcuno bussò alla porta.
"Ciao, Haylee." Il dottor Barnes mi fissava con uno sguardo un po' cupo.
"Buonasera" lo salutai lasciandolo entrare.
Conoscevo già il motivo per cui era passato a trovarmi: Trevor Anderson lo avevo avvertito della mia fuga, e lui era venuto per farmi la predica. D'altronde non potevo dargli tutti i torti. Il dottor Barnes aveva cercato di aiutarmi, e io lo avevo ringraziato scappando nel bel mezzo di una seduta.
Andammo in cucina e ci sedemmo intorno al bancone, uno di fronte all'altra, proprio come avevamo fatto la sera precedente.
"Mi ha chiamato Trevor," esordì con voce bassa, "e mi ha raccontato cosa è successo."
"Mi dispiace" dissi subito. Ero realmente dispiaciuta per averlo deluso.
"Perché sei andata via?" mi chiese, senza distogliere gli occhi da me.
Voltai la testa e osservai la torta che si trovava in un angolo del bancone. Avevo fatto davvero un buon lavoro.
"Ho avuto paura" mormorai. Era strano dirlo ad alta voce.
"Di parlare di quello che ti è successo o di Trevor?"
"Entrambe le cose."
Il dottor Barnes appoggiò i gomiti sul ripiano e si sporse verso di me.
"Haylee, Trevor è una bravissima persona. Non ti farebbe mai del male. Lui può aiutarti a superare tutto questo, a non avere più paura, a fidarti di nuovo."
"Come fa a sapere che non mi farà del male? Anche lui all'inizio sembrava una brava persona, invece guardi come mi ha ridotto." Scostai la manica della maglia mostrando il livido che avevo attorno al polso.
Il dottor Barnes non si scompose nel vedere quel segno violaceo. "Conosco Trevor da tantissimi anni, l'ho visto crescere. Capisco che tu abbia paura, ma di lui puoi fidarti."
Non replicai, sopraffatta ancora dalla paura di rivivere tutto quanto. Non conoscevo Trevor e di lui non mi fidavo, ma non potevo dire lo stesso del dottor Barnes. Non riuscivo a capirne il motivo, però in lui riponevo una tale fiducia che non avevo più per nessuno.
"Vuole un pezzo di torta? L'ho appena fatta" domandai, cambiando argomento.
"Solo se accetterai di rivedere Trevor. È per il tuo bene."
"Io..."
"Haylee, è qui fuori che sta aspettando. Puoi farlo entrare se vuoi. Io rimarrò qui con voi, se serve a farti stare più tranquilla."
Rivolsi uno sguardo preoccupato alla porta e i miei muscoli si irrigidirono. Prima o poi dovevo farlo, e siccome stavo per mangiare una torta che Dominic non mi avrebbe mai fatto toccare, mi sentivo abbastanza ribelle per affrontare Trevor Anderson.
"Immagino che dovrò tagliare tre fette di torta" asserii, tornando a guardare il dottor Barnes, che mi rivolse un sorriso incoraggiante.
Io mi alzai per prendere tre piatti, tre forchette e un coltello, mentre lui andava ad aprire la porta. Quando terminai di mettere le fette di torta sui piatti, Trevor entrò in cucina. Era vestito esattamente come l'ultima volta che lo avevo visto: camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti e jeans blu scuro abbinati a delle scarpe dello stesso colore.
"Ciao, Haylee" mi salutò, fermandosi vicino al bancone.
Mi trovavo dalla parte opposta della cucina, lontana da lui, ma sentivo comunque la paura scorrere nelle vene. Afferrai il ripiano e lo strinsi forte.
"Salve" dissi con voce piuttosto bassa. Forse non mi sentii nemmeno.
Il dottor Barnes prese posto dove era seduto poco prima e Trevor lo seguì. Toccò lo sgabello con una mano e mi rivolse un'occhiata.
"Posso?"
Annuii in silenzio, poi allungai due piatti con la torta mettendoli di fronte a loro.
"Grazie" disse Trevor. La sua voce era calma e l'espressione del suo viso serena. Sembrava che non fossi mai scappata dal suo studio. Sicuramente qualsiasi altra persona si sarebbe arrabbiata, ma Trevor Anderson no. Stava indossando una maschera? La sua era una finta calma?
"Gliene preparerò un po' da portare a sua moglie" dichiarai al dottor Barnes, mentre mi sedevo di fronte a lui e Trevor.
"Grazie, sono sicuro che le farà molto piacere."
Appena smise di parlare, rivolsi tutta la mia attenzione alla fetta di torta che avevo davanti. Rappresentava tutto ciò che Dominic non mi aveva permesso di mangiare.
Impugnai la forchetta quasi con rabbia, staccai un pezzo di torta e lo masticai. Nella mia bocca esplose il gusto dolce e inconfondibile del cioccolato. Mi sfuggii un piccolo gemito, ma non me ne preoccupai. Chiusi gli occhi e assaporai la torta e quel momento. Mi sentivo proprio una ribelle. Chissà cosa avrebbe detto Dominic se mi avesse vista? Mi avrebbe guardata con disgusto o mi avrebbe picchiata?
"Wow! È davvero buona, questa torta." Trevor aveva gli occhi chiusi, ma li riaprii nell'istante in cui lo guardai.
"Già, non la mangiavo da anni" dissi senza riflettere.
"Davvero?" Negli occhi di Trevor vidi un lampo di curiosità che svanì quasi subito.
Feci un cenno d'assenso. "Lui non voleva."
Il dottor Barnes e Trevor smisero di mangiare, e io mi accorsi tardi di quello che avevo detto. Sentii che l'agitazione aveva quasi abbandonato del tutto il mio corpo, altrimenti non avrei detto nulla riguardo a Dominic.
"Non ti faceva mangiare la torta al cioccolato?" domandò Trevor con voce calma, come se mi stesse chiedendo cosa avessi fatto durante la giornata.
Fissai il dolce sul mio piatto, sentendo la ribelle euforia che mi scorreva nelle vene poco prima svanire man mano che i secondi passavano. Quando alzai gli occhi, vidi il dottor Barnes che mi guardava con occhi incoraggianti, e mi resi conto che dovevo combattere anche per lui, per l'aiuto che mi stava dando.
"Non mi permetteva di mangiare alcun tipo di dolce, tranne i biscotti che mia madre ci offriva quando andavamo a trovarla."
Il dottor Barnes mi sorrise, come se fosse orgoglioso di me, e io ne approfittai per mangiare un altro boccone di torta. Lo considerai il mio premio per aver fatto un piccolo passo avanti.
"Perché?" Trevor appoggiò la forchetta di fianco al piatto. Sembrava quasi che avesse perso l'appetito.
"Diceva che mi avrebbero fatto ingrassare, i dolci. Dovevo mantenere un fisico perfetto per lui."
Trevor annuì, ma non disse nulla. E nemmeno il dottor Barnes.
Nonostante non avessi mangiato nulla durante il giorno e metà della mia fetta di torta si trovava ancora nel piatto, persi improvvisamente l'appetito.
Nella cucina era calato un silenzio che mi fece sentire in imbarazzo. Per fortuna il cellulare del dottor Barnes squillò e lui andò in soggiorno per rispondere. Approfittai della sua assenza per preparare il pezzo di torta per sua moglie: gliela incartai tutta, tranne una fetta che tenni per me.
"Da quanto tempo stavate insieme tu e...?" mi chiese Trevor.
Sapevo che voleva sentire il suo nome, ma non lo pronunciai. Non me la sentivo.
"Anni" ribattei in fretta. Non volevo pensare a tutto il tempo che avevo passato con lui. All'inizio erano secondi, poi minuti, poi ore. Le ore erano diventate giorni, i giorni mesi, e i mesi anni. Pensarci mi faceva stare male.
"È sempre stato così?"
Impiegai qualche minuto a rispondere. Diffidavo di Trevor, ma grazie al dottor Barnes mi ero rilassata di più.
"No, all'inizio no. Poi è diventato geloso, possessivo. Fino a che non ha alzato le mani." Dirlo ad alta voce mi fece stare meglio. Molto, molto meglio.
Mi sentivo quasi euforica per aver confessato in parte cosa mi aveva fatto Dominic e per aver infranto una delle regole che mi aveva imposto.
"Haylee..." esordì Trevor, ma si interruppe quando il dottor Barnes rientrò in cucina.
"Era l'ospedale. Un'urgenza" spiegò, riponendo il cellulare nella tasca anteriore dei pantaloni neri.
Doveva andare via. Sarei rimasta da sola con Trevor.
I miei pensieri cominciarono a prendere una direzione tutt'altro che rassicurante.
"Devo proprio andare." Mi rivolse un'occhiata carica di scuse, alla quale non seppi come rispondere.
Si passò una mano tra i capelli grigi. Fu un gesto che trovai poco adatto ad una persona come lui e non me ne spiegai il motivo. Forse perché l'avevo sempre visto calmo e pacato, oppure perché semplicemente non mi sembrava il tipo da essere tanto frustrato da passarsi le mani tra i capelli per la disperazione.
Non volevo che andasse via, ma capivo quanto fosse importante il suo lavoro. Anche mio padre era così: dedito alla sua professione e perennemente combattuto tra la carriera e la sua famiglia. Lui era un importante oncologo dell'ospedale di New York. Aveva sempre lavorato lì, e mia madre lo aveva conosciuto quando era andata in vacanza nella Grande Mela insieme ad un'amica. Il loro era stato un incontro puramente casuale: lei stava uscendo da un ristorante e mio padre le era andato addosso. Si innamorarono e si sposarono. Dopo il loro matrimonio, papà faceva avanti e indietro tra Waterbury e New York. Non voleva cambiare ospedale perché là c'erano tutti i suoi pazienti e non voleva abbandonarli. Erano più importanti di sua moglie e sua figlia. Infatti, alla fine, abbandonò noi per tornare definitivamente a New York.
Il dottor Barnes mi guardò dispiaciuto e io gli sorrisi. Presi la torta che avevo incartato, poi gliela consegnai.
"Per sua moglie" gli ricordai, accompagnandolo alla porta.
Quando la aprii, lui rovistò in una tasca dei suoi pantaloni.
"Mi sono dimenticato di dartelo prima" esordì con aria di scuse. "È per le emergenze. Il mio numero e quello di Trevor sono già registrati." Mi mise in mano un vecchio cellulare.
"Grazie" riuscii a dire. Il dottor Barnes era un angelo.
"Chiamami se hai bisogno" si raccomandò prima di avviarsi verso l'ascensore.

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