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Ding dong

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Ding dong


"Oh? E tu che ci fai qui?"
Namjoon era incredulo: tra tutte le persone che si aspettava di ritrovarsi davanti una volta aperta la porta, lui era quello che meno avrebbe voluto vedere. Avrebbe di gran lunga preferito la polizia pronta ad arrestarlo al posto di quel viso così angelico è ancora rigato da lacrime ormai asciutte.

"Rispondimi Jimin. Che cazzo ci fai qui da me?"

Jimin prese un grosso e profondo respiro. Namjoon lo aveva già intimidito altre volte a causa del suo sguardo glaciale, o della voce roca o ancora a causa del tono costantemente rabbioso che rendeva la sua voce più simile ad un ringhio che ad altro. Ma lì, davanti alla sua porta, Jimin non percepiva niente: non percepiva alcuna rabbia fuoriuscire da Namjoon, non percepiva alcuna collera, o ira , o odio, o qualsiasi altra emozione. Jimin sentiva il vuoto. Vuoto che colmava le stanze di quella casa -se pareva più spenta che mai-, vuoto che riempiva i cuori di entrambi e che accompagnava i loro respiri, sconnessi e pesanti.
"Namjoon... io..."
Jimin non fece in tempo a terminare la frase che la voce roca e stanca dell'altro lo interruppe repentinamente.
"Ti amo."
Namjoon ti prego...
Pronuncio a bassa voce il più piccolo, talmente bassa che non era nemmeno sicuro che Namjoon l'avesse sentito.

"Mi manchi Jimin. Da quando non ci sei è tutto uno schifo. Guarda! Guarda questa casa, Jiminie! È sporca e vuota da quando non ci sei.. non c'è più nessuno ormai. Sono solo."

Con una forte adrenalina uscita da chissà dove Jimin rispose a tono. "No. Tu non sei solo per ciò che ho fatto io: non sei solo perché ti ho abbandonato... tu sei solo per la terribile azione che hai commesso, Namjoon. Tu sei solo perché sei quasi diventato un assassino."
Jimin non aveva troppi problemi a rispondere male e non farsi calpestare dagli altri, ma, con Namjoon, era tutto diverso, tutto così difficile e strano.

"Ma non sono stato io!" Aveva urlato Namjoon "Non c'ero io alla guida quel giorno!" Aveva continuato con voce strozzata a causa della gola secca il ragazzo.
Per evitare che orecchie indiscrete potessero udire la loro conversazione, Jimin allungò le braccia verso il petto del più grande, in modo da spingerlo dentro casa e, successivamente, voltarsi e chiudersi la porta alle spalle.

"Oh certo, quindi vuoi farmi credere che l'ordine non l'hai dato te?..." Jimin era furioso. Sentiva le mani formicolargli e il cuore battere ad una velocità spaventosa. Era arrabbiato, era stanco di tutto: delle notti in bianco a causa degli incubi, dei sensi di colpa, degli attacchi di panico che, se non fosse stato per il sostegno di Yoongi lo avrebbero divorato, delle nocche sanguinanti a causa dei pugni tirati al muro in piena notte quando i sensi di colpa lo portavano ad alzarsi per i conati di vomito... Jimin era stanco. "Rispondi stronzo! Tu non hai la minima idea di cosa stia passando quella famiglia! Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire sentirsi in colpa! Tu non l'hai visto quel bambino, cazzo!" Urlava Jimin con gli occhi pieni di lacrime e lasciando spinte sul petto di Namjoon.

"Ora basta, Jimin. Tu non hai la minima idea di cosa io stia passando in questo periodo: non riesco a mangiare, non esco di casa, il lavoro sta andando malissimo e-"
"Il lavoro?! Sei serio, Namjoon? Il fottutissimo lavoro? Un bambino c'ha quasi perso la vita è tu mi parli di lavoro? Devi starmi prendendo per il culo" Jimin aveva incominciato a ridere istericamente al pronunciare quelle frasi, faceva paura in quelle condizioni: capelli spettinati, occhi gonfi e rossi, labbra secche e screpolate, vestiti larghi, scuri e sgualciti... in sembrava lui. Non era un lui.

"Finiscila Jimin. Non intendevo dire quello, e lo sai. Sono stanco e tutto sta andando di merda." Disse Namjoon massaggiandosi i capelli tirando un lungo sbuffo.

"Vaffanculo Namjoon! Vai a fanculo! Tu non hai idea di cosa significhi.. non hai idea! Io ero a un passo dal tagliarmi le vene! E tu sei qui, tranquillo a fare la vita di sempre!"

Jimin urlava, sbraitava e piangeva, sembrava che il demonio l'avesse posseduto, sembrava in preda ad una crisi di nervi.
Aveva iniziato a dare dei pugnetti sul petto del più alto, dava pugni sempre più forti, lo spingeva, lo colpiva a mano aperta sul petto e sul viso. E quelle azioni, per Namjoon, furono come tante piccole freccette sparategli dritte sul cuore, il suo cuore inacidito che batteva a stento, in cerca di un motivo per continuare.
Namjoon si ritrovò costretto a reagire, a bloccare le mani di Jimin e intimargli di smetterla.
"Basta così Jimin, basta! Ti prego!"
Namjoon urlava e Jimin lo picchiava. Namjoon lo bloccava e Jimin si dimenava.
Namjoon lo amava e Jimin non riusciva a pensare a lui senza che gli venisse da vomitare.
"Ti odio sei uno stronzo!"

Finalmente Namjoon riuscì a bloccare Jimin, incrociandogli le braccia al corpo, immobilizzandolo con la schiena contro la parete.

"Per quanto tu possa non crederci, Jimin, ci sto male davvero. L'idea non è stata mia... certo, io l'ho assecondata, questo è vero.. ma mi dispiace. Ho sbagliato, Jimin, perdonami." Ormai anche lui era in lacrime.
Jimin sussurrava dei fievoli no mentre scuoteva la testa in preda alle lacrime e ai singhiozzi. Non ci stava capendo più nulla: aveva un vortice di emozioni tremendamente forti dentro di sé, teneva gli occhi strizzati e sperava che una volta aperti si fosse ritrovato in un prato, sotto l'ombra di una grande quercia, in compagnia solo e soltanto di se stesso. Ma la realtà non era quella. Jimin era proprio lì. Ad un palmo dal viso bagnato del suo ex fidanzato, indeciso se scappare dalla porta d'ingresso o se rimanere lì e spaccargli la faccia. Ma gli umani sono strani, sentono una cosa e ne fanno un'altra, vogliono una cosa e finiscono col fare l'esatto opposto, cercano disperatamente di dire di sì e poi pronunciano il no più convinto della loro vita. Gli umani sono complessi, incredibili, incapibili.
Ed è per questo motivo che, quella sera, Jimin e Namjoon si baciarono, si baciarono a lungo, tra lacrime, sospiri, saliva, piccoli gemiti, morsi... Unirono le loro labbra per l'ennesima volta, probabilmente quella più bisognosa, quella più sincera. Erano due ragazzi spaventati, stanchi, arrabbiati col mondo e con loro stessi.
Non si erano mai capiti più di così.

Parigi di Notte KookTaeWhere stories live. Discover now