23- Ora del decesso, 11.42.

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L'ultima settimana era stata una delle più difficili che avessi vissuto negli ultimi anni.
Mirko,  il bambino con osteosarcoma, stava peggiorando notevolmente ed io ero  ben consapevole che quella volta non c'è l'avremmo fatta.
Erano anni  che quel bambino viveva dentro gli ospedali e avevamo fatto tutto il  possibile per aiutarlo a sconfiggere ciò che ormai si era impossessato  della sua vita, eppure ora sembrava aver vinto lui.
Negli ultimi  giorni aveva avuto parecchi collassi con successiva rianimazione ma sia  io che Marco, sapevamo che non potevamo continuare semplicemente a  rianimarlo.

Avevo già alle spalle un turno di tre ore e mi sentivo psicologicamente distrutta, oltre che stanca fisicamente.
Passavo  la maggior parte dei giorni qui in ospedale, tanto che avevo anche  rinunciato al mio riposo settimanale per tenere sotto controllo Mirko,  quando non ero in ospedale passavo la maggior parte del mio tempo con  Niccolò.
Dopo il concerto non ci eravamo visti molto ma nonostante  tutto sapevo che Niccolò lo capisse fin troppo bene, anche se lui faceva  un lavoro che era praticamente l'opposto del mio.
Avevamo entrambi  il massimo rispetto uno per il lavoro dell'altro, sapevamo quanto fosse  importante ciò che stavamo facendo, anche se in maniera differente.

"E  se provassimo con un pacemaker?" Io e Marco eravamo ancora una volta  nel mio studio per valutare attentamente tutte le possibili opzioni che  potessero tenere in vita Mirko.

"Il tumore è già in metastasi,  se riuscisse a non rigettarlo nel migliore dei casi diventerebbe un  vegetale" chiusi per un attimo gli occhi per la disperazione di quel  momento, avevamo provato tutte le possibili opzioni e nulla sembrava più  funzionare.

"Aspettare un trapianto di organi è da pazzi, non  stiamo parlando di un rene, stiamo parlando di metà del suo corpo" io lo  guardai sfinita, Marco mi stava riferendo esattamente ciò che sapeva  eppure a me sembrava di non sapere più dove sbattere la testa.

"Pensi  che non lo sappia? Ma non ho più idea di cosa fare" alzai leggermente  la voce con Marco, ma fortunatamente lui non disse nulla capendo  perfettamente la situazione. Il nostro cerca persone suono all'unisono,  indicando soltanto la stanza numero 16, il che significava che Mirko  stava avendo un nuovo collasso.
Uscimmo di corsa dall'ufficio  correndo verso la sua camera, nella speranza di arrivare in tempo,  speranza che però fu subito vana sin dal momento in cui arrivammo alla  soglia della porta della camera e ci bloccammo li, sentendo quella  fatidica frase, "ora del decesso, 11.42".

Marco rimase fermo  sotto lo stipite della porta mentre io mi avvicinai a Mirko e accarezzai  il suo dolce viso per poi uscire dalla stanza e accasciarmi sulla  sedia, seguita poi dal biondo.
Mirko era arrivato all'ospedale di Milano più di tre anni fa, la situazione al tempo era abbastanza critica ma non impossibile.
Mi ero presa sulle spalle la salute di quel bambino sin da subito ed era grazie a lui se avevo conosciuto Marco.
Con  il tempo avevo anche stretto un rapporto diverso con i genitori, in  fondo non puoi dimenticare due volti che per più di tre anni ti  supplicano di salvare la vita a suo figlio.
Ma stavolta non potevo  farlo, non potevo fare promesse sapendo che non avrei potuto mantenerle,  avrei soltanto dovuto guardarli negli occhi e dirgli che il loro  piccolo bambino non c'era più e forse in pochi sarebbero riusciti a  capire come ci si sentiva.
Mirko aveva combattuto con tutte le sue  forze per tre anni, ricordo ancora quando sognava di fare il calciatore e  invece ora il mondo aveva perso una piccola stella.

"Devo  andare a parlare con i genitori" presi un enorme respiro deglutendo a  fatica e queste erano soltanto le uniche parole che fuoriuscirono dalla  mia bocca. Per un attimo tornarono alla mia memoria quei momenti in cui  io ero al posto dei genitori, appena io e Niccolò avevamo perso Camilla.

"Sà,  lo farò io tra poco" Io annuì mentre mi sedetti sulla sedia scoppiando  poi a piangere. Sapevo quanto fosse sbagliato legarsi ad un paziente, ma  con Mirko era stato inevitabile e in quel momento riuscivo soltanto a  chiedermi che cosa avesse fatto quel povero bambino di sei anni per  meritarsi tutto ciò che gli era capitato, che cosa avevano fatto i  genitori per meritarsi di perdere un figlio così.

Te dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi. - UltimoWhere stories live. Discover now