26- Voglio portarti a vedere il miglior tramonto di sempre.

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Ancora una volta Napoli ci aveva accolto con quel calore che solo Napoli sapeva darti. Il profumo di lavanda, quell'odore che tanto amavo, regnava sovrano mentre io e Niccolò passeggiavamo, mano nella mano, lungo quel piccolo vialetto che ci avrebbe portato alla terrazza di Sant'Antonio a Posillipo. Non ci ero mai stata, ma per Niccolò quel posto significavaa tanto. In quei momenti in cui desiderava stare solo e si trovava a Napoli era lì che si rifugiava, lo chiamava il ''suo pincio di Napoli''. Data la notte parecchio movimentata il moro quella mattina aveva deciso di lasciarmi dormire, rinunciando ad uno dei piaceri della vita, come lo definiva lui, la colazione, nonostante non fosse molto abituato a farla dato che da quando lo conoscevo, a Roma, si beava soltanto del suo caffe. Alla fine di quella piccola via c'era un piccolo carretto, che Niccolò conosceva bene, dato che sosteneva fare le migliori graffe di Napoli e il moro di certo non se ne sarebbe privato, non facendone privare nemmeno a me.

''Perchè ce ne sono cinque se siamo solo in due?'' il moro mi porse il sacchetto tornando poi a camminare verso la terrazza, che da quanto avevo saputo, godeva di una vista pazzesca. Io presi una graffa porgendola al moro, per poi prenderne un altra e addentarla. Avevo sempre avuto fiducia in Niccolò ma dovevo ammettere che quella volta non aveva sbagliato nulla, quella era davvero la migliore graffa di Napoli.

''Perchè na volta che mangi la prima, de certo nun te fermi'' lui si voltò verso di me, con un sorriso stampato in volto, osservandomi mentre mi stavo letteralmente godendo il cibo. Lui addentò la sua facendo cadere il silenzio tra di noi, mentre finalmente arrivammo alla terrazza di Sant'Antonio. La vista da li era letteralmente spettacolare, tanto da farmi rimanere completamente a bocca aperta. Da quel punto della città si vedeva gran parte della città di Napoli, anche se all'occhio prevaleva principalmente quel mare limpido e come sfondo, anche il Vesuvio faceva la sua parte. Niccolò si sedette su quel piccolo muretto che si trovava a pochi passi da noi, alternando lo sguardo dalla città a me. Poco dopo raggiunsi il moro sedendomi accanto a lui, mentre lui, senza dire nulla, mi strinse tra le sue braccia.

''Mi dici che c'hai?'' Niccolò aveva sussurrato quelle parole al mio orecchio, mentre lasciava dei dolci baci tra i miei capelli. Sapevo benissimo a cosa si riferiva, data la notte appena passata, ma non avevo voglia di parlarne, così come era successo ore prima.

''Non ho niente'' Ero perfettamente consapevole che la mia scusa non avrebbe retto per nulla e che Niccolò non avrebbe creduto a nulla di ciò che stavo dicendo. Niccolò aveva sempre cercato di proteggermi, anche mentre mi urlava contro perchè lo facevo disperare, mi teneva sotto una campana di cristallo per proteggermi, eppure raccontargli ciò che era successo quella notte significava esporre uno dei peggiori mostri che tenevo chiusi nell'armadio.

''Sà, nun dimme cazzate. Eri agitata stanotte e urlavi il nome di Camilla, te sei svegliata in un bagno di sudore e nun m'hai detto na parola'' io sbuffai ricordando il sogno che avevo fatto quella notte, mentre mi staccai da poco da lui. Dal giorno in cui lasciai Roma iniziai ad avere dei sogni ricorrenti in cui rivivevo delle scene vissute in passato, quella notte avevo sognato il momento in cui Camilla aveva aperto gli occhi per osservare soltanto per un secondo il viso della sua mamma e del suo papà, era bastato un attimo ma sono sicura che nè io, nè Niccolò ci saremmo mai tolti dalla mente quegli occhi e quello sguardo.

''E' stato soltanto un brutto sogno, mi capita spesso'' I sogni si ripetevano una volta al mese per tutti gli anni in cui ero stata a Milano, Niccolò era la prima persona che scopriva ciò dato che non ne avevo mai parlato con nessuno, nemmeno con Gaia e Priscilla. A Marco non era stato difficile nasconderlo, dato che passava la maggior parte delle sue giornate e delle sue notti in ospedale e quando se ne tornava a casa, toccava a me fare la notte in ospedale, eravano davvero poche le notti in cui ci trovavamo a dormire insieme. Lasciando Milano quei sogni sembravano spariti, era come se la mia coscienza mi stesse ricordando da dove venivo e i sensi di colpa di aver lasciato Roma, Camilla e Niccolò mi laceravano lo stomaco. Eppure in quel momentoo, lontana da Roma, avevano lasciato di nuovo che i miei incubi peggiori uscissero di nuovo dalla scatola in cui tante volte avevo provato a chiuderli.

Te dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi. - UltimoWhere stories live. Discover now