Capitolo 38

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16 marzo;

Dieci e ventisette del mattino, oggi è martedì e ho la visita medica. Elijah non c'è, è a Londra mentre io sono rimasta qui a Dalmwin così da non fare avanti e indietro per via del lavoro. In segreteria c'è Louisa a sostituirmi, fortunatamente non era così richiesta la mia presenza oggi e il rettore non ha fatto storie.

Tornando a me, tra mezz'ora devo essere al Berkshire Hospital ma l'accelerazione del mio battito non è dovuto a questo. Non gliel'ho detto, non l'avevo programmato e mi è venuto in mente solo qualche minuto fa quando ci sono passata accanto. Qualcosa mi ha detto di farlo, una piccola voce che mi ha spinto fino in bagno e mi ha guidato per tutto il tempo. Sono passati sette minuti, così dice il timer sul mio cellulare e le lineette sullo stick elettronico sono arrivate a quattro.

Per distrarmi finisco di prepararmi; metto un filo di trucco, indosso le scarpe, lavo le tazze nel lavandino e tra una cosa e l'altra controllo il cellulare come minimo cinque volte. Poi il timer si ferma, la suoneria mi avvisa del termine ed io mi precipito in bagno con il cuore in gola.

Il test è nel lavandino, sottosopra, e quasi lo faccio cadere talmente le mie mani sono frenetiche. Lo rigiro, occhi fissi sul risultato e respiro mozzato. Positivo.

«Cosa..» sussurro continuando a fissare e rileggere quella parola. Non può essere, com'è possibile? Mi tremano le gambe, ho bisogno di sedermi e il bordo della vasca è la cosa più vicina a cui aggrapparmi. Non so cosa fare, dire, pensare, non so cosa sto provando. Elijah, come la prenderà Elijah? Bene, probabilmente. Lui un po' lo desidera, no? Il terrore mi invade, il cuore batte così veloce che ho paura che possa scoppiare o fermarsi da un momento all'altro. Un attimo dopo ho il cellulare vicino all'orecchio e sto aspettando che lui mi risponda. Però dopo cinque squilli parte la segreteria telefonica, non m'importa quindi attacco e ci riprovo. Nulla, non risponde.

Provo a richiamarlo più volte, anche mentre sto guidando per l'ospedale e sono in sala d'attesa. Non risponde, so che ha una riunione ma credo che questo sia più urgente. Guardo il cellulare e digito velocemente un messaggio.

Rispondi, è importante.

Aspetto, mentre lo faccio mi sento morire dentro e più volte ho dovuto strizzare gli occhi pur di non scoppiare a piangere davanti a tutti. I due pazienti prima di me sembrano metterci un'eternità, quando il secondo esce dalla stanza e la segretaria chiede chi è il prossimo, guardo il cellulare e mi accorgo che Elijah mi sta richiamando. Tempismo perfetto, ovviamente. Spengo il cellulare e annuisco alla ragazza dietro la scrivania quando mi dice che posso entrare.

Jacques Langford è un uomo sulla cinquantina, forse dell'età di mio padre, dagli occhi grigi e folti capelli bruni estremamente tinti. Mi chiudo la porta alle spalle e mi faccio accogliere dal un suo sorriso quasi rassicurante, mi dice di accomodarmi così mi siedo davanti alla sua scrivania.

«Berry, giusto?» Annuisco guardandolo scrivere su un foglio. «Come mai questa visita?» Chiede ancora, prendo un respiro profondo e poi rispondo.

«Ho avuto una brutta influenza intestinale, febbre e nausea.» Lui annuisce e mi chiede quanto è durata. «Una settimana e cinque giorni, solo che ho notato che nonostante la febbre sia andata via, mi è rimasta la nausea e la spossatezza.»

«Lei è sessualmente attiva?» Mi spiazza un po' come domanda, poi annuisco velocemente e rispondo.

«Ho fatto una test di gravidanza qualche giorno fa, era negativo.» Dico, mi sposto i capelli dal viso e proseguo. «Quello di stamattina era positivo.»

Langford annuisce, scrive qualcos'altro e poi si alza dal posto chiedendomi di stendermi sul lettino. Non mi dice nulla, solo di sbottonare i pantaloni e alzare la maglia fin sotto il seno. Il gel che spalma sul mio ventre è decisamente freddo e mi solletica un po' quando il medico inizia a muovere quell'oggetto sulla mia pelle. Guarda una specie di monito, clicca qualche bottone ed io alterno lo sguardo tra lui e la mia pancia.

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