Capitolo 14

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21 novembre;

Esco dall'aula dove ho appena svolto l'esame di scenografia e non potrei sentirmi più delusa. Ho accettato uno dei voti più bassi della mia intera carriera accademica e vorrei prendermi a calci del didietro. Ultimamente l'organizzazione di quel dannato evento benefico, le pretese di Lillian e altre cose burocratiche di cui mi hanno incaricato, mi hanno tenuta lontana dai libri e ho dato meno del minimo che avrei potuto dare.

Come se non bastasse, tutto lo stress sta avendo effetti anche sulla mia salute fisica. Ho perso peso, dormo poco e ho costantemente mal di testa. Sono settimane che mi sveglio durante la notte, sempre alle tre e un quarto, per colpa di incubi o sogni contorti che mi mettono in ansia e mi obbligano a restare sveglia fino al mattino seguente con mal di testa atroci. L'ho detto a Mitchell, in realtà mi ha chiamato quando ha visto che per la seconda volta non mi sono presentata alle sedute. Gli ho spiegato che ero tremendamente stanca e non me la sentivo di farmi un altro tragitto in treno dopo una giornata così estenuante a lavoro. Lui sembrava essersi tranquillizzato, quasi sicuramente aveva pensato al peggio, poi mi ha detto che mi avrebbe spedito un flacone di Benzodiazepine e di prenderne solo una pasticca prima di cena.

Così ho fatto per gli ultimi cinque giorni e funzionano, solo che avevo dimenticato dell'esistenza degli effetti collaterali. Mi è capitato di dovermi prendere una pausa più volte a lavoro perché sentivo la testa girare e un'enorme senso di pesantezza in tutto il corpo. Non è la prima volta che pasticche del genere mi causano questi problemi, ecco perché con Matthew, anni prima, avevo chiesto di evitare questo tipo di trattamento.

L'avevo chiesto anche a Mitchell, durante uno dei primi incontri, solo che a mali estremi bisogna ricorrere a estremi rimedi. Voglio stare bene, voglio mettercela tutta pur di prendermi cura della mia salute mentale e a questo punto non m'importa se avrò bisogno di farmaci. Le che uso io hanno proprietà ansiolitiche e ipnotiche, a differenza dei veri e propri psicofarmaci antidepressivi che prendevo tempo fa. In un certo senso,il fatto di sapere che non si tratta di antidepressivi mi mette un po' di sollievo.

Oggi non lavoro, fortunatamente è venerdì e ho la possibilità di riposarmi dopo un inferno di settimana. Lunedì ci sarà l'evento e sarà anche l'ultima volta che avrò a che fare con la segretaria mentecatta che ha fatto impazzire tutti in queste settimane.

«Hanno organizzato una cena stasera e gli altri dicono che ci sarà anche l'artista.» Spiega Kenneth mentre guida verso la stazione, è da un po' che si offre per accompagnarmi e risparmiarmi la camminata ed io lo apprezzo onestamente.

«Se è pazzo come la sua segretaria allora ti auguro buona fortuna.» Commento cercando il biglietto del treno nel mio portafoglio.

«Perché non vieni anche tu?» Propone fermandosi al semaforo, alzo lo sguardo verso il suo e inarcando le sopracciglia. «Ci faremo compagnia a vicenda e la cena sarà gratis, in pratica.»

«Tu davvero vuoi farmi tornare qui, in quella università per poi uscire e andare a subirmi quell'antipatica a cena? Dopo una settimana tremenda? Con questo freddo?»

Kenneth alza le mani e scuote la testa in segno di arresa, poi riparte appena il verde s'illumina.

Non sono stupida, non è la prima volta che Kenneth mi propone una cosa del genere. È capitato che mi invitasse ad altre cene lavorative e il suo atteggiamento a pranzo mi ha sempre confermato e riconfermato il fatto che lui ci stesse provando con me. La bellezza non gli manca, l'intelligenza nemmeno, ecco perché non ho mai rifiutato le sue proposte di pranzare insieme. Solo che davvero non me la sento di stare insieme a quelle persone e lui deve per forza presentarsi, in quanto vicedirettore organizzativo.

«Va bene, allora la settimana prossima mi devi una cena.» Mi giro a guardarlo con le sopracciglia inarcate, ha il sorriso sotto i baffi e so che questo è un altro invito a passare del tempo insieme, fuori dal lavoro.

«Vedremo.» Commento slacciando la cintura notando che siamo arrivati. «Grazie per l'ennesimo passaggio, giuro che un giorno mi sdebiterò.» Ridacchio mettendomi la borsa il spalla.

«Sai già come.» Dice, poi ci salutiamo e lui va via.

A casa la prima cosa che faccio è letteralmente buttarmi sul divano, sbattendo ovviamente la testa sul bracciolo che è tutt'altro che morbido e peggiorando solo il mal di testa che già avevo. È proprio vero che quando la giornata inizia col piede sbagliato, niente e nessuno sembra portela aggiustare. Il resto del pomeriggio lo passo a guardare la televisione e mangiare del pollo che è avanzato ieri sera, che mi faceva schifo ieri e continua a farmelo ora.



23 novembre;

Esattamente un anno fa ero nel mio letto, a St Davids, e la mia depressione aveva raggiunto uno dei picchi più alti. Un anno fa sono rimasta nel mio letto, priva di forze e volontà, per ben quattro giorni. Non riuscivo a muovermi, a trovare un ragione per farlo. La mia mente vagava nel nulla, era come se stessi fluttuando e fossi distaccata da tutto ciò che mi circondava. C'è un termine che viene usato per indicare questa sensazione, credo sia dissociazione. È un po' come quando stai facendo qualcosa e mentre la fai ti dimentichi che la stai facendo e la tua mente fluttua, balza da un pensiero all'altro in modo sconnesso, ricorda cose che vorrebbe eliminare, immagina qualcosa che non potrebbe accadere. La mia mente, durante quei giorni, fluttuava dal ricordo di Seth, all'attaccatura del lampadario appeso al soffitto, a come i miei genitori avrebbero reagito di fronte alla mia assenza, a quanto tempo sarebbe passato prima di perdere conoscenza e il settanta per cento del mio sangue. Quattro giorni dopo sono uscita di casa per poter tornare a respirare, ho recuperato cavalletto e pennelli e mi sono data da fare. Sei giorni dopo gli ho lasciato un messaggio in segreteria e qualche ora dopo è tornato da me.

Se potessi tornare indietro non cambierei nulla di ciò che è successo, avrei solo evitato di arrivare a rovinarmi così tanto.

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