Capitolo 9

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26 agosto;

Se fosse stato per me e per l'incapacità che ho di mentirle, probabilmente ora non mi troverei di nuovo a Dalmwin. Keith ha partorito due settimane fa e, tra le nuove abitudini che la bambina ha introdotto con la sua nascita e la brutta influenza che mia sorella ha beccato, non ha potuto fare a meno di chiedermi aiuto. «Connor è indaffarato in ufficio, mamma è fuori città con papà e non me la sento di chiederlo a mia suocera» ha detto quando mi ha chiamato scongiurandomi di andare da lei. Ovviamente non ho potuto dirle di no, mi sarei sentita in colpa. Così, appena ho finito con il lavoro, ho preso le chiavi della macchina e sono corsa in suo aiuto. La piccola Amiable Deeanna è uno dei neonati più dolci che esistano. Ha due guance così piene che mi stupisco del fatto che riesca ad aprire gli occhi a mandorla ereditati dal padre. Ha i lineamenti di Connor e i colori di Keith. E il nome mio. Non mi è mai piaciuto quel nome, però a lei calza a pennello. Come potresti non amare una meraviglia del genere?

Resto da Keith due giorni, tenendole compagnia quando Connor va a lavoro e aiutandola con le faccende di casa. Ammetto che un po' mi è mancato trascorrere del tempo con lei, vivere sotto lo stesso tempo e semplicemente avere la sua compagnia. Keith ed io siamo sempre andate d'accordo, se non fosse mia sorella probabilmente saremmo migliori amiche.

«Hai preso qualcosa?» Chiedo a Keith guardandola stesa sul divano mentre con la mano sinistra dondola la sdraietta dove dorme la piccola.

«Sì, dieci minuti fa.» Annuisce soffiandosi il naso facendo storcere il mio. Ha davvero un aspetto terribile e due occhiaie più scure che mai.

«Perché non vai a farti un bagno? Almeno provi a rilassarti un po'.»

«Sì, forse è il caso.»

Keith si alza e, dopo avermi fatto mille raccomandazioni inutili sulla bambina, si avvia in bagno. Ne approfitto per risistemare i cuscini sul divano e prendere in braccio Amy visto che si è appena svegliata. Con la mano libera spengo il televisore per poi tornare a dondolare e coccolare la bambina. Le tocco leggermente la guancia con la punta del mio indice e, quando lo faccio per la terza volta, un piccolo sorriso si apre sul suo visino. Schiudo la bocca e involontariamente rilascio un verso misto tra lo stupito e il meravigliato. Questa bambina è la più grande gioia che sia capitata in questo periodo. Le lascio un bacio a fior di labbra sulla fronte per poi alzarmi e andare in cucina in cerca del biberon. Keith non può allattare, non ci riesce e quando ci prova la bambina sembra non gradire il suo latte. La dottoressa le ha detto che è normale che alcuni neonati rigettino il seno della propria madre, Keith si è scoraggiata e sono sicura che non sia solo l'influenza a renderla così debole. Ne abbiamo persino parlato, lei lo ha ammesso, aggiungendo che si sente inutile e ha paura che la bambina si distacchi da lei. Nostra madre le ha spiegato che non è così che funziona, che è solo piccola e le ha ricordato che anch'io, i primi mesi di vita, non ne volevo sapere del suo seno. Ma mia sorella ha la testa dura ed è davvero difficile farle cambiare idea, nonostante ciò sono sicura che pian piano capirà da sola che non c'è nessuno da incolpare e che è una cosa totalmente normale.

Sono le nove di sera quando Connor torna da lavoro. Keith, dalla vasca da bagno, si è spostata in camera da letto ed è un'ora piena che dorme. Siamo rimaste d'accordo che dopo cena sarei andata via, è venerdì e Connor il weekend non lavora quindi può restare a casa con loro. Mi sto alzando per andare a cambiare la bambina quando sento aprire la porta di casa e, subito dopo, vedo mio cognato entrare a passo svelto in stanza. La sua espressione si addolcisce quando vede Amiable, però è come se fosse agitato perchè si muove velocemente verso di me per prendere la piccola tra le sue braccia. Corrugo la fronte ormai confusa dal suo atteggiamento, lui mi guarda e subito coglie l'incognita sul mio viso.

«Oralee mi dispiace, ho ricordato che fossi qui solo quando siamo arrivati sotto casa.»

Non si spiega per niente, è sempre stato sbadato ma non sono mai riuscita a capirlo. Sbuffo una risata confusa e chiedo di cosa stia parlando. Ma neanche il tempo di farlo che sento la sua voce, dopo sette mesi, 226 giorni dalla sua assenza, che in realtà è più mia che sua. Ho lo sguardo fisso in quello di Connor, anche quando di traverso lo vedo entrare in stanza inconsapevole della mia presenza. Non riesco a distogliere lo sguardo, ho paura di farlo perché, se lo facessi, non so cosa potrebbe succedere.

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