Capitolo 39

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17 marzo;

Scendo dalla macchina velocemente sentendo delle piccole gocce di pioggia bagnarmi il viso.

«Muoviti!» Dico ad Elijah camminando velocemente verso l'entrata della casa di Keith.

«Ti avevo detto di portare l'ombrello.» Mi rimprovera mentre busso due volte il campanello.

Non ho il tempo di rispondergli dato che suo fratello subito ci viene ad aprire. Guarda Elijah un po' sorpreso e un po' interdetto, sta per dire qualcosa per giustificarsi ma non fa in tempo.

«Sei una testa di cazzo.» Elijah si fa avanti entrando in casa e sorpassando Connor che è rimasto zittito.

«Ciao Connor.» Gli sorrido, mi viene da ridere ma riesco a trattenermi.

Sento la voce di Keith da qui, sono nel salotto ma prima di raggiungerli mi fermo a posare la giacca di jeans sull'appendiabiti.

«Ciao Oralee..» è la prima cosa che mi dice appena li raggiungo in stanza, ha su un sorriso tirato e capisco che Elijah non le ha ancora detto nulla.

«Buon compleanno.» Le dico abbracciandola, lei ne approfitta e mi sussurra un non pensavo si presentasse anche lui. «Non è un problema.»

«Sicura?» Annuisco, lei si allontana per guardarmi, si volta un attimo verso Elijah e poi continua. «Siete arrivati insieme.»

«Taglia corto Keith, stanno di nuovo insieme.» Guardiamo Connor con le braccia al petto che ci osserva soddisfatto.

«È tonto solo per metà, allora.» Elijah lo stuzzica toccandomi la spalla e facendomi ridere.

«Non prendermi per il culo nella mia stessa casa. Non ti abbiamo chiamato per evitare di creare una situazione simile a quella dell'ultima volta.» Spiega Connor avvicinandosi a Keith.

«Non l'abbiamo fatto con cattiveria.» Continua Keith guardando dispiaciuta Elijah.

«Va bene, non importa.» Elijah taglia corto per poi cambiare subito argomento. «Amiable?»

Restiamo con loro fino alle undici, si fa davvero tardi ma almeno passiamo una bella serata. I nostri genitori sono passati già in giornata, ammetto che un po' sono felice di non averli visti. In macchina Elijah ammette che se si fossero presentati avrebbe detto loro di noi due, mantenendo un po' quella promessa che mi aveva fatto un anno prima ma che non ha potuto mantenere.

Stasera l'ho osservato giocare con nostra nipote, la solleticava facendola ridere e mentre li guardavo ho pensato che in futuro sarà un genitore fantastico. E un po' ho sperato di esserlo anch'io con lui.

«Elijah, andiamo a Londra?»

«A Londra? Ma se è quasi mezzanotte.»

«Voglio farti vedere qualcosa.»

Lo convinco quasi subito, sono stanca ma quando mi metto qualcosa in testa è difficile ignorarla. Per tenermi sveglia accendo la radio della macchina, canticchiando ogni volta che passa una canzone che entrambi conosciamo. Quando siamo a qualche metro dall'insegna della città, gli dico di andare dritto in Accademia e di prendere la strada più corta.

«Ma non è chiusa?» Mi chiede una volta sceso dall'auto e affiancatomi.

«Ho fatto amicizia con Dom, il sorvegliante.» Gli dico mentre busso al citofono del cancello.

Quando la voce robotica di Dom mi chiede chi sono e cosa voglio, faccio il mio nome e lui subito ci permette di entrare. Lo guardiamo uscire dall'entrata principale, con una torcia tra le mani e gli occhi visibilmente assonnati.

«Mi dispiace Dom, l'ho svegliata?»

«No, signorina Berry. Ha dimenticato qualcosa?»

«Sì, ho lasciato dei documenti importanti in laboratorio. Potrebbe darmi le chiavi? Faremo subito.»

«Certa, ma che domande.»

Il sorvegliante ci dà le spalle chiedendo di seguirlo, Elijah mi guarda stranito ma mi sorride quando gli prendo la mano.

«Siamo venuti qui per dei documenti?» Mi sussurra nell'orecchio mentre aspettiamo che Dom esca dalla stanza per recuperare le chiavi.

«Ti pare?»

Dom torna da noi e mi porge le chiavi, chiedendomi di fare il prima possibile perché non gli è permesso far entrare persone a quest'ora. Rispondo che faremo subito, prendo Elijah per mano e a passo svelto ci dirigiamo in laboratorio.

«Mi dici cos'è che cerchi?»

«Mi dici perché sei sempre così impaziente?» Rispondo imitandolo, due minuti dopo ci fermiamo davanti al laboratorio esatto ed io mi affretto nell'inserire le chiavi per aprire la porta.

Quando entriamo un deja-vu colpisce entrambi, sembra di essere tornati a qualche tempo fa nelle sale sotterranee dell'Accademia di St Davids. Elijah me lo fa notare, io gli sorrido e quella sensazione si amplifica di più quando tolgo i teli che coprono i dipinti che ho nascosto fin'ora. Accendo la torcia del telefono e illumino le tele davanti a noi, permettendo al ragazzo al mio fianco di scoprire cos'è che ho dipinto negli ultimi mesi. Elijah si china alla loro altezza, prendendone uno tra le mani e osservandolo in silenzio.

«Ti infastidisce?» Gli chiedo, lui scuote velocemente la testa senza smettere di guardarlo. «Sei sicuro?» Annuisce, si alza di nuovo e mi guarda solo per una frazione.

«Posso?» Indica il cellulare con cui sto illuminando la stanza, glielo porgo e lui inizia a ispezionare ogni singolo dipinto. «Quanti sono?»

«Una ventina, credo.» Sto arrossendo ma lui non può vedermi. «È da psicopatici?»

«No..» scuote la testa voltandosi a guardarmi. «Perché io?» Prosegue facendomi una domanda a cui dovrebbe rispondersi da solo.

«Perché anche quando credevo che tutto fosse finito, tu non hai mai smesso di essere parte di me.»

«Per questo me ne hai regalato uno?»

«Era il mio preferito.» Sorrido guardando gli altri sparsi tra i separatori.

«Posso averli?» Mi chiede tornando a puntare la luce su di loro.

«Tutti?» Rido scuotendo la testa, lui mormora un sì. «È un po' narcisista come cosa, no?»

«Non li voglio perché io sono il loro soggetto.» Spiega ridacchiando e posando al suo posto quello che reggeva.

«Perché, allora?»

«Perché sarebbe come avere ovunque, qualcosa che mi ricorda di me e te. Le tue mani mi hanno dipinto, tu hai scelto i toni, le sfumature, cosa esprimere ed è un po' quello che fai ogni giorno. La mia vita è un po' come se ruotasse intorno a te, influenzi tutto ciò che faccio e tutto quello che sono e lo fai involontariamente.»

«A te sta bene?»

«A me stai bene.»

Golden 𝟚 Where stories live. Discover now