Capitolo 26

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27 gennaio;

Aspetto qualche secondo prima di alzarmi dal mioposto, assicurandomi che il vagone sia completamente fermo ed evitare che ilmio equilibrio si squilibri ancora di più Chiedo scusa ad un passeggero quando, erroneamente, gli do una spallata e con il viso in fiamme scendo velocemente dal veicolo. Avrei dovuto presentarmi allo studio nel primo pomeriggio, come un qualsiasi martedì, ma ho fatto tardi in Accademia e ho perso i primi due treni. Ora solo le sette, la testa mi gira come nei giorni precedenti e più volte sono costretta a chiudere gli occhi perché la luce della sala d'attesa è più forte del solito. Quando Janette, la segretaria, fa il mio nome prendo un grosso respiro e mi alzo lentamente dalla sedia. Entrando in studio noto che fortunatamente la luminosità è diversa, più calda e attenuata. Mitchell mi saluta, io ricambio e mi siedo al mio posto, di fronte a lui.

«Hai dormito stanotte?» Mi chiede subito, annuisco guardandolo e, mentre lo faccio, sento gli occhi bruciare in cerca di pietà. «Il tuo viso parla da sé, non mentire.»

«Tu non fare domande se già sai le risposte.» Rispondo a tono e sinceramente non so neanche dov'è che ho trovato la forza di rispondergli.

«Okay, non ci siamo.» Dice tirando un grosso sospiro e posando la penna sulla scrivania. «Sta succedendo qualcosa ed io ho bisogno che tu me ne parli se vuoi che ti aiuti.»

Mentre parla i miei occhi si scollegano dal cervello e guardano ovunque, si spostano dal suo viso alla finestra alle sue spalle, poi sulla libreria, il vaso blu sul davanzale, il bicchiere d'acqua da cui prende un sorso, poi il fermacarte e le mie caviglie. Mi dice qualcosa tipo «..stiamo tornando al punto di partenza..» ed io annuisco dandogli ragione perché è l'unica cosa che so fare, acconsentire quello che gli altri dicono.

La testa torna a farmi male, sento un forte dolore che si propaga dalla nuca in su, fino alle tempie e poi giù, verso le palpebre. Porto le mani ai lati della testa, un fischio assordante mi riempie le orecchie e capisco che c'è qualcosa che non va. Non è il solito capogiro, è diverso e nuovo. I brividi corrono lungo la schiena, mi si appanna la vista ed io riesco solo a percepire qualcuno che si avvicina a me. Chiudo gli occhi per un secondo, una stanchezza tremenda mi travolge e non m'importa di chi mi circonda, ho solo bisogno di riposarmi.

Quando li riapro, alzando controvoglia le palpebre pesanti, quella tremenda sensazione di stordimento si è placata. Mi accorgo di essere stesa sul pavimento, il soffitto dritto davanti ai miei occhi e due figure al mio fianco che chiamano il mio nome e dicono qualcosa che non riesco a capire. Strizzo le palpebre per mettere a fuoco, Mitchell chiama Janette e le chiede di portare un bicchiere d'acqua e zucchero. Elijah al mio fianco mi stringe la mano e sfiora la mia fronte. Che cosa mi è successo? Perché Elijah è qui? Provo ad alzarmi ma lui me lo impedisce.

«Resta sdraiata.» Lo ascolto senza dire e fare nulla mentre, nella mia mente, regna ancora un tremendo caos.

«Hai mangiato stamattina?» Chiede Mitchell, annuisco e il suo sguardo preoccupato si sposta sull'assistente che gli porge un bicchiere. Elijah prende il bicchiere e lo avvicina alle mie labbra per aiutarmi a bere. Quest'acqua fa schifo, ha un sapore tremendo e avrei preferito di gran lunga una liquirizia. Arriccio il naso e mi allontano dal bicchiere, Elijah corruga la fronte e aspetta che ne beva un altro po'. Quando il bicchiere è quasi vuoto, finalmente lasciano che mi alzi di busto. Mi guardano tutti e tre, compresa Janette che però è costretta a uscire dall'ufficio per accogliere altri pazienti.

«Come ti senti?» Annuisco come per dire che è okay al terapista dai capelli lunghi che è chino di fronte a me. «Ti è già successo?» Scuoto la testa mentre cerco di non guardare in faccia i due, specialmente quello accanto a me che se ne sta zitto per tutto il tempo. «Oralee devi usare le parole, quante volte devo dirtelo?» Mi rimprovera ancora facendomi sospirare.

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