Capitolo 29

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Ieri siamo rimasti svegli fino a notte inoltrata, bisognosi di parlare e di recuperare tutto il tempo perso.
Ci siamo tenuti stretti, ci siamo guardati e ci siamo scusati per le cose fatte e quelle non fatte. Quando siamo andati a letto mi sono stretta a lui, ho chiuso gli ho occhi e ho pregato affinché tutto questo non fosse un sogno. Quando li ho riaperti lui era ancora accanto a me, mi osservava nella penombra ed io, come calamite, ho attirato le sue labbra alle mie. È stato surreale, sembra stupido a dire ma non mi sembra ancora vero che siamo di nuovo insieme.

Stamattina ci siamo svegliati presto poiché alle otto dobbiamo essere entrambi a lavoro, specialmente io che, ahimè, lavoro per qualcuno. Elijah è il primo ad aprire gli occhi, gli do le spalle ma capisco che è sveglio perché si muove per avvicinarsi a me. Mi lascia un bacio dietro la nuca scostandomi i capelli dal viso. Sono un disastro di prima mattina, giuro che sembro appena uscita da una guerra, nonostante ciò Elijah non mi nega complimenti, un po' finti visto lo stato in cui mi trovo.

«Buongiorno bella addormentata.» Sussurra ma io non ho voglia di alzarmi stamattina; voglio restare qui, nel letto, nel suo appartamento, con la testa sul suo petto per il resto della giornata. Elijah però ha altri piani e impegni, infatti poco dopo si alza e va in bagno. Apro gli occhi solo quando lo sento entrare di nuovo in stanza con solo i pantaloni del pigiama addosso e una camicia tra le mani. Mi sorride vedendomi finalmente sveglia, io ricambio e tiro su il busto quando si china verso di me lasciandomi un bacio sulla fronte.

«Che ore sono?»

«Le sette meno venti.» Appena me lo dice scatto fuori dal letto in preda al panico; farò sicuramente tardi a lavoro e solo questo ci manca. Mi guardo intorno alla ricerca dei miei vestiti, ieri Elijah ha insistito affinché indossassi qualcosa di suo per stare più comoda ed io non ho saputo rifiutare.

«Dove sono i miei vestiti?»

«In lavatrice.» Dice ed io vorrei prenderlo a schiaffi.

«In lavatrice? Stai scherzando?» Se fossi più sveglia starei urlano ma tutto ciò che mi esce è un sussurro incredulo.

«Ieri sera ti sei quasi versata un intero tubetto di vernice sui pantaloni, l'hai dimenticato?» Mi ricorda infilando la camicia nei pantaloni grigi. Ieri, prima che andassimo a in camera sua, gli ho chiesto se avesse tenuto con sé il cavalletto; lui mi ha risposto di si e mi ha detto di averlo conservato nel suo studio. Per quanto riguarda la macchia sul pantalone invece, ho avuto la brillante idea di schiacciare il tubetto mentre toglievo il tappo. Sì, sono un'idiota.

«Colori a olio.»

«Colori a olio?» Mi guarda confuso mentre si avvicina a me.

«Non è vernice.» Sospiro puntualizzando, lui alza gli occhi al cielo e mi sorride. «Come faccio? Tra un'ora devo essere in ufficio.» Sbuffo non sapendo che fare.

«Se non sbaglio ho alcune cose tue.» Riflette allontanandosi da me per avvicinarsi all'armadio. «Li avevi lasciati a Londra.» Continua, questa volta si gira verso di me e tra le mani ha quelli che erano i vestiti che avevo portato con me, un anno fa. Mi avvicino e con grande stupore noto i jeans che credevo di aver perso ormai. Indosso quelli e una felpa lilla, sotto lo sguardo del ragazzo in tiro davanti a me. Rettifico: del mio ragazzo.

«Devi presentarti così a lavoro tutti i giorni?» Gli chiedo facendo riferimento al completo dal colore grigio che gli spegne il verde degli occhi.

«Ho una riunione con Bruce Nauman.» Spiega aiutandomi a rifare il letto. «Perché, non sto bene così?»

«Certo che stai bene, è il colore che non va.» Dico prendendolo in giro mentre sistemo il cuscino sul mio lato del letto.

«Anch'io lo odio.»

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