Capitolo 16

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6 dicembre;

-..Con Elijah sono un libro aperto e lui ha evidenziato ogni riga. Mi ha capita più lui in questi due mesi che io in ventidue anni di esistenza.

«Elijah non è così facile, ci faremo del male ed io ho paura di questo», sospiro distogliendo lo sguardo e portandolo verso il pavimento.

«Ricordi quando eravamo in accademia e mi hai rivelato di odiare quel tuo dipinto?» Chiede ed io annuisco confusa.

«Cosa c'entra ora quel dipinto?»

«Mi hai detto che lo detesti perché quel punto non c'è più, è sparito lasciando lo sfondo vuoto. Ma solo perché nessuno non ci ha più disegnato, non vuol dire che uno sfondo vuoto sia insignificante.»

«Quindi?» Continuo con una voce così bassa da sembrare quasi un sussurro.

«Quindi lascia che sia io a riempire quel vuoto.»..-

Lo sfondo è stato riempito così tanto che non c'è più spazio per nulla, a malapena riesce ad asciugarsi talmente è stato bagnato dal suo spirito impregnato di luce e colori. Quando sono tornata a Dalmwin, il giorno dopo, i miei genitori mi hanno visto entrare in casa con gli occhi scavati e delusi. Mi sono venuti in contro ma non mi hanno detto nulla, ho lasciato intendere cosa fosse successo e mi sono chiusa in stanza. Keith mi ha raggiunto qualche giorno dopo, sapeva già tutto quindi ha provato a farmi distrarre. Io non l'ho detto a nessuno, non ho parlato a nessuno di ciò che era successo, di quello che siamo stati e di come mi sentissi. Mitchell, dopo Elijah, è diventato l'unica persona alla quale riesco a dire come mi sento realmente anche se, d'altro canto, è questo il suo lavoro.

Chiudo il laptop e sforzo me stessa pur di muovermi da questa sedia. Devo vestirmi così da essere pronta in tempo, Kenneth mi aspetta tra meno di un'ora ed io non so ancora cosa mettermi. In realtà sono molte le cose che non so, non so perché ho accettato di uscire con lui, non so se lo voglio davvero. E' come se stessi facendo tutto ciò che qualcun altro mi dice di fare, tutto ciò che se realmente fossi in me non farei.

Mi alzo di scatto e troppo velocemente, la testa mi gira e la vista è un po' offuscata. Ci sono abituata ormai, so che solo le pillole a rendermi così ma devo resistere. Mi poggio alla parete per raggiungere l'armadio e mi fermo solo davanti a quest'ultimo.

Devo rilassarmi, andrà bene.

Infatti la serata è stata piuttosto tranquilla, ci siamo divertiti in un ristorante che era troppo per me e troppo poco per lui. Io l'ho avvertita, quella sensazione che ti prende e che ti fa capire che tutto ciò è fuori luogo. Mi sono sentita un'attrice, mi sento un'attrice che vive nel ruolo di una ragazza che apparentemente sta bene e ha solo bisogno di distrazioni dalla sua ultima rottura. Non è questo, non è così. Non cerco distrazioni, certo l'Elijah di un anno fa, quello che mi ha fatto perdere la testa e di cui mi sono invaghita così tanto da non uscirne illesa dalla nostra rottura. Gli ho detto che ho smesso di amarlo ma non è vero, ho mentito perché ho interpretato il ruolo di un'altra. Gli ho lasciato intendere che ho voltato pagina e credo di esserci riuscita quando mi ha visto andare via con Kenneth.

Quando Kenneth mi ha riaccompagnata non ha provato a baciarmi come si è soliti fare dopo un appuntamento, sono sicura che non l'ha fatto perché crede che per me sia troppo. Ha idee diverse dalle mie, un'altra prospettiva della vita, è molto preciso ed è già stato sposato. Io sono io, ma lui non lo sa. Quando l'ho salutato e sono rientrata in casa è stato come se fossi tornata da una giornata di lavoro. Mi sono sentita esausta, un po' arresa, poi ho ripreso a respirare.

«Perché non sei stata te stessa.» Mi risponde Mitchell quando finisco il mio monologo. «Hai finto che andasse tutto bene e per quanto mi faccia piacere che tu abbia provato un'esperienza nuova, tutto questo non va bene.»

«Me ne sono accorta..» commento ironica incrociando le braccia al petto.

«Perché non vuoi perdonarlo?»

«Già lo sai, smettila di chiedermelo anche tu.»

«La smetterò quando dirai la verità.» Ribatte poggiando la schiena alla sedia e portandosi la matita dietro l'orecchio. Alzo gli occhi al cielo continuando a giocare con i lacci dei miei stivaletti, ho le gambe incrociate sulla sedia e se all'inizio sembravano infastidirlo, ora cerca di non farci più caso. Una volta mi ha detto che il mio modo di sedermi, questa postura che sembra totalmente sbagliata, è un segno positivo. All'inizio delle nostre sedute ero molto rigida, le gambe sempre tese davanti a me e le spalle curvate. Tutto ciò era dettato dalla non familiarità di chi avevo di fronte e dalla mia ansia. Era come se, ingenuamente, il mio cervello stesse cercando di proteggere il mio corpo da un ipotetico pericolo. Poi ho iniziato a sciogliermi e a sentirmi molto più a mio agio, tant'è che alcune volte mi trovo a gironzolare nella stanza mentre parliamo.

«Ti ho detto la verità.»

«Vero, ma non mi riferivo a me.» Spiega aprendo il cassetto della scrivania ed entrarne una barretta, me la offre ed io scuoto la testa rifiutando.

«A me sta bene così.»

«Hai mai pensato che, magari, lui ne ha risentito quanto te di questa rottura?» Scuoto la testa trovando quest'ipotesi improbabile.

«Ci sarà rimasto male, ma non quanto me.»

«Come fai a saperlo?»

«Perché se avesse tenuto così tanto alla nostra relazione, non mi avrebbe mentito. Le bugie gli stavano bene, come ogni singola volta che mi mentiva e poi andava da lei.»

«Forse l'ha fatto davvero per proteggerti? Stavi così male che ha creduto di poterti ferire di più dicendoti la verità.»

«Ora lo difendi?»

«No, sto solo cercando di aprirti gli occhi.»

«Perché non li apri tu, eh?»

«Oralee..»

«Avvisami la prossima volta che deciderai di difenderlo, così eviterò di farmi il viaggio in treno.»

Golden 𝟚 Where stories live. Discover now