23. Sogno di una notte di mezza estate.

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Se c'era una cosa che la vita mi aveva insegnato fino in quel momento, era che tutto poteva cambiare in un battito di ciglia e che dovevo assaporarne l'intensità finché potevo.

Chris mi aveva riaccompagnato in stanza carico di rammarico e aspettative disilluse.

«Le hai tenuto testa, sei stata grande» mi confidò portandosi una mano dietro la nuca. Non riusciva a capacitarsi delle azioni materne: tanto calcolate, quanto glaciali.

«Se tu non fossi stato presente sarebbe stata un'altra storia» ammisi in un sospiro. Il biondo allungò lo stesso braccio alzato in precedenza per disapprovare il mio commento.

«Probabilmente sarebbe stato meglio. Mi sono lasciato trasportare dai sentimenti e stavo per incasinare tutto. Da quello che hai potuto notare mi tratta come un suo sottoposto, non c'è un briciolo di istinto materno nel suo sguardo da quando...» incastrò i suoi occhi nei miei indeciso sul da farsi. Deglutii in quegli istanti interminabili, finché non scrollò le spalle consapevole di poter confidarmi i suoi segreti. «Da quando mio padre non c'è più. Ha riversato anima e corpo nel lavoro con l'unico scopo di stanare Kors e i ribelli per permettere a noi tutti di vivere in pace. Ho ereditato la sua volontà a causa dei sensi di colpa che mi attanagliavano, credendo di poter espiare le mie colpe divenendo la migliore versione di me stesso. Ma neanche questo è bastato per farmi amare da lei. Devo abituarmi all'idea di essere solo il primo seggio dell'istituto e non più suo figlio» sorrise beffardo inarcando le labbra in una linea aspra. Lo scrutai nel profondo cercando le parole migliori con cui confortarlo, ma la mia voce rimase sospesa a mezz'aria.

«Non c'è bisogno che tu mi dica nulla. Non volevo intristirti con il mio discorso, ma sono felice che tu mi abbia ascoltato.» Il ragazzo dallo sguardo sfuggente e l'anima in pena si allontanò ancor prima di poter replicare. A debita distanza abbozzò un sorriso rassicurandomi sul suo stato, ma la verità era che il dolore che tentava di nascondere dentro di sé in un angolo dimenticato della sua mente, sarebbe scoppiato violento quanto meno se lo sarebbe aspettato.

Approfittai del pomeriggio libero per concedermi un momento in compagnia di James.

La porta della sua stanza era aperta: mi era bastato poggiare le nocche per avvertire il metallo ascendere e permettermi l'ingresso. Il ragazzo era spalmato sul letto e avvolto dalle coperte. Dopo aver stropicciato gli occhi si rese conto della mia presenza, facendomi cenno di entrare e di occupare il posto che preferivo.

Risi spensierata constatando come il disordine governasse sovrano in quella camera. La moquetta era ricoperta dagli indumenti utilizzati e dismessi, lattine di vetro e ampolle di latta contenevano liquidi maleodoranti, lo stesso si poteva dire dei vassoi accatastati ai piedi del letto.

James sbadigliò portando alla mia attenzione un libro rilegato in cuoio, per poi riporlo in cima alla pila sul davanzale della finestra olografica. Se non avesse fatto attenzione, sarebbero tutti caduti rovinosamente sul pavimento.

«Ma vivi con un uragano?» lo interrogai sedendomi sul suo letto sfatto. Ero stanca e sfinita, volevo spensieratezza.

«Per tua informazione, l'ordine passa dal disordine! Devo solo capire come fare! Meno male che sei qui, mi stavo annoiando. Ho provato a richiedere qualche film a Kit e a Max, ma sembra che nessuno di loro sappia cosa sia una collezione cinematografica. Tanta tecnologia e non sfruttarla per svagarsi, che spreco.» Il moro si buttò al mio fianco stiracchiandosi fino ad appoggiare il capo contro la mia spalla. «Che ore sono?» biascicò con l'intento di perdere i sensi in quella posizione comoda.

«È quasi ora di cena, perciò datti una svegliata!» lo rimbeccai spintonandolo al fine di fargli spalancare le palpebre. Ripetei il gesto un paio di volte più del necessario.

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