08. Accademia.

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6 giugno, ore 9.23

Dovevo alzarmi da quel letto, non ce la facevo più ad aspettare. Dovevo reagire.

Poggiai i piedi per terra. Il pavimento era freddo e un brivido percorse la mia schiena. Avevo riposato abbastanza, quello ero il momento di mettere da parte il dolore e affrontare la realtà, nonostante facesse così male. Affondai una mano tra i capelli per sistemarli alla ben meglio, indossando successivamente dei vestiti stropicciati che le ragazze mi avevano lasciato.

Mi portai nel corridoio prima che me ne rendessi effettivamente conto udendo le voci di quelli che ormai potevano essere considerati amici. L'odore di frutti di bosco era giunto alle mie narici e mi riempiva l'anima. Probabilmente ci sarebbe stata Lake in soggiorno intenta nella loro preparazione. Più mi avvicinavo più le voci diventavano riconoscibili. Distinsi quella dello scricciolo da quella ben più calda e paziente di Kit. Stavano litigando sul livello della fiamma del fornello. Quei due non facevano altro che battibeccare tutto il giorno. Sorrisi continuando la mia camminata, un passo dopo l'altro, fino a entrare nel loro campo visivo.

Spalancai gli occhi quando vidi James di spalle riverso sul bancone. Sembrava felice e io mi dimenticai di tutto. Era lui in carne e ossa.

«James!» urlai prima di buttarmici addosso. Balzò in aria a causa dello spavento e, dopo un primo momento, ricambiò il mio abbraccio stringendomi a sua volta fino a farmi perdere il fiato.

«Mi sei mancato così tanto... Credevo non ti avrei più rivisto» singhiozzai. Mi sentivo un fiume in piena.

«Io credevo che non ti saresti più svegliata, mi hai fatto prendere uno spavento enorme.» Era così bello poter riascoltare la sua voce ancora una volta. Entrambi eravamo carichi di sentimenti e facevamo fatica a trattenere le lacrime che indisturbate avevano bagnato parte dei nostri volti.

«James... Io, devo dirti che... Noi... Siamo...»

«Sh, mi hanno già spiegato tutto, non devi preoccuparti di nulla, andrà tutto bene.» spalancai le palpebre.

«Tu-tutto ti hanno spiegato? Anche di mamma e p-papà?» balbettai. Lui annuì sicuro.

«So anche di loro, sì.» Osservai per un attimo i suoi occhi verdi. Invidiavo la sua calma. Ma in fondo era sempre stato quello più ragionevole tra i due, il fratellone che mi proteggeva da ogni pericolo e anche in quel caso ero certa stesse nascondendo parte dei suoi sentimenti solo per evitare che potessi soffrire.

«Dovevi riposare un altro po'.» La voce di JJ arrivò dritta alle mie orecchie interrompendo quel momento fraterno. Mi voltai nella sua direzione. La bionda stava sorseggiando una tazza di thè. Indossava una camicia, semi aperta, quel tanto per mostrare una grossa medicazione al livello dello sterno. Neanche i lunghi capelli dorati erano riusciti a nascondere quella grossa fascia bianca. Le sorrisi sinceramente sollevata dal vederla in piedi. Lei levò i suoi occhi cerulei verso di me a mo' di rimprovero.

«Sto bene, davvero... Tu, invece?»

«Magnificamente, grazie per l'interessamento» rispose lapidaria.

«Ti ho fatto le frittelle, vuoi assaggiare?» Lake spuntò davanti ai miei occhi con un piatto in mano. In quell'istante il mio stomaco brontolò, avevo decisamente fame. Kit, dall'altro lato del bancone, saltò oltre la penisola della cucina per aggiungere, molto platealmente, la conserva ai frutti di bosco.

«Ora può mangiarle, possibile che senza di me sei persa, Lake?» la riprese il ragazzo dagli occhi neri. Lei sbuffò. Afferrai il piatto dopo aver ringraziato. In quel momento mi resi conto che nella stanza non eravamo i soli. Dal riflesso dell'anta del frigorifero metallico notai Maxfield e Christopher alle mie spalle.

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