04. La squadra alpha.

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4 giugno, ore 9.57

Era tutto così surreale. Mi sentivo talmente tanto abbattuta che non sapevo più se valesse la pena combattere per non esserlo: nell'arco di un'ora avevo perso anche l'ultima persona che mi era rimasta, ritrovandomi ostaggio di un gruppo di ragazzi.

Mi avevano scortato fino a una casa poco distante da quella strada. Dicevano che fosse sicura. Aggettando un'occhiata qua e là mi convinsi del fatto che fosse disabitata, poiché nessun effetto personale vi era presente.

«Perché mi avete costretta a seguirvi?» domandai cercando di tirare fuori tutto il coraggio possibile. Dovevo essere grata per avermi "salvata" o come lo avevano definito, ma forse non era ciò che volevo. Tutto quello che era capitato non rientrava nelle mie volontà: non avevo provato a chiedere aiuto o a scappare, piuttosto avrei preferito ricevere delle risposte.

Mi sentivo così inerme. Avevo le ginocchia strette tra di loro e i pugni serrati a stritolare quel misero vestitino verde che indossavo oramai da troppo tempo. Notai che mi si erano formate delle escoriazioni sulle gambe esili dovute alle cadute.

L'unica ragazza bionda del gruppo prese parola. L'avevo osservata, mentre con i suoi occhi cerulei scrutava tra le inferiate ciò che accadeva nel quartiere. La sua pelle era talmente luminosa che faceva a gara con la luce che timidamente filtrava nella sala. Nel rispondere non mi degnò neanche di un'occhiata, ma si limitò a muovere gli zigomi alti solo per tapparmi la bocca. Molto probabilmente non mi riteneva degna di sostenere il suo sguardo.

«Piuttosto pensa a come stare al tuo posto e a non far saltare la copertura.»

«Questo è un rapimento, potrei andare dalla polizia a denunciare l'accaduto» ammisi cercando di mantenere un certo contegno. Fu in quell'istante che gli occhi della bionda si posarono su di me. Erano piccoli e freddi. L'espressione dura del volto era in contrasto con la bellezza del suo essere. Si era spazientita.

«Per dire cosa esattamente? Che una banda di criminali ha aperto un varco spazio-temporale facendo sparire nel nulla il tuo amico e che noi ti abbiamo protetta e ti stiamo nascondendo? Certo, vai pure, io non ti fermerò.» Abbassai lo sguardo dopo che la ragazza sputò le sue parole velenose. Chi volevo prendere in giro, nessuno mi avrebbe creduto, anzi, più probabilmente mi avrebbero spedito in una clinica.

Solo un paio di secondi dopo mi resi effettivamente conto del peso delle sue parole. Cosa aveva detto? Varco spazio-temporale?

Quando volli porre ulteriori domande, il mio stomaco iniziò a brontolare.

Una ragazzina, che poteva avere all'incirca sedici anni, spuntò dal nulla facendomi sobbalzare. Erano tutti dannatamente silenziosi. Fatta eccezione per l'unico giovane che stava beatamente russando sul divano accanto al mio.

«Hai fame?» domandò lo scricciolo con i suoi occhi grandi e scuri. Mi osservava, impunemente. Mi sorprese quella sfacciataggine, ma allo stesso tempo m'intenerii. I capelli lunghi fino alle spalle le svolazzavano ribelli davanti agli occhi.

«Un po'...» ammisi. Il piano era quello di mangiare di ritorno a casa. Una casa che non avrei visto così presto.

«Se vuoi posso cucinarti dei pancake alla vaniglia e mirtilli, ti piacciono? Sono i miei preferiti!» La ragazzina iniziò a vaneggiare sul cibo e su quanto adorasse i dolci. Non potei fare a meno di sorridere di fronte a quello spettacolo di spensieratezza.

«Cosa ci fai insieme... A loro?» domandai a bassa voce, sperando che nessun altro potesse udirmi. Lei corrugò la fronte.

«Non lasciarti ingannare dal suo aspetto, è forse la più agile e forte di tutti noi.» Il biondino che mi aveva salvato fece il suo ingresso in sala. Afferrò una sedia per piazzarsi davanti ai miei occhi: aveva lo sguardo severo e un'espressione arcigna. Mi stava studiando, come se potessi crollare di nuovo di punto in bianco e lui fosse pronto a qualsiasi mia mossa.

TravellersWhere stories live. Discover now