67. La sorgente di tutti i mali.

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«Per di qua! Ho trovato un passaggio!» Lake gridò piena di energia, pronta per la prossima avventura, facendoci ritornare al vero motivo per il quale fossimo giunti sino a lì.

Christopher si discostò quel tanto per afferrare le mie dita e stringerle attorno al suo palmo, mentre seguivamo la scia dei nostri compagni superare un ponticello di rocce luminescenti e attraversare una breccia nascosta dai rampicanti sempreverdi concedendoci l'accesso alla fortezza diroccata.

Sapevo che Chris non avrebbe mai permesso che sprofondassi nell'inadeguatezza, e qualora lui non fosse stato al mio fianco per redimere il mio cuore ferito ero sicura sarei riuscita a compiere il suo volere, semplicemente ricordandomi il motivo per il quale combattevamo.

Era quello il suo dono da capitano: far risplendere l'animo dei suoi compagni, nonostante le avversità e i dubbi, lui avrebbe sempre trovato un modo per non perdere la speranza.

Anche qualora il mondo sarebbe stato sommerso dalle tenebre, niente gli avrebbe impedito di farsi strada sferzando l'aria per riportarlo alla luce. Fino al suo ultimo respiro, non si sarebbe mai arreso.

E noi con lui.

Sol aiutò Mike nel salire quelle pietre scoscese, mentre Colton riprendeva Lake affinché non corresse troppo.

Trattenni un risolino, raffigurando nella mia mente un tempo in cui i nostri problemi più importanti sarebbero stati quelli di sbucciarsi un ginocchio o scegliere quale film visionare. Confidavo nel fatto che sarebbe accaduto e che avremmo vissuto come normali essere umani per il resto delle nostre vite.

E, mentre mi perdevo in quei pensieri, mi scontrai contro il petto di James, il quale mi tenne a sé prima che potessi cadere.

«Scusami, Dely!» si affrettò a dire, «non so dove ho la testa.» Lo scrutai piegando il volto a lato, sapendo fin troppo bene a quali tormenti si stesse lasciando andare.

Schiusi le labbra cercando le parole con cognizione di causa, ma tutto ciò che ne uscì fu un semplice "Non sei costretto, James." L'osservai cambiare colore e spalancare le palpebre, mentre le sue dita arpionavano la mia maglia.

«Io... io...» balbettò incurvandosi e cercando di nascondere il suo umore.

Fece qualche passo in direzione della breccia bloccandosi al suo ingresso. Gli andai incontro trattenendolo tra le mie braccia e accarezzando la sua chioma. Avvertii il calore delle sue lacrime scendere fino a bagnarmi una spalla.

Chris osservava in silenzio, lasciandoci lo spazio di cui avevamo bisogno per confrontarci. Ci superò tacitamente raggiungendo gli altri, arrestando la loro corsa verso l'interno della fortezza: lo avremmo fatto insieme o non lo avremmo fatto affatto.

Affondai i polpastrelli nella carne richiamandolo al suo dilemma. «Hai paura?»

Il ragazzo che mi aveva aiutato a crescere era paralizzato dal terrore di ciò che sarebbe stato. Era forse una delle prime volte che lui avesse bisogno di me.

Troppe erano state le occasioni in cui i miei occhi si erano riempiti di dolore e sofferenza e le sue mani erano state capaci di calmare la mia irrequietezza. Lui era la mia roccia, il mio equilibrio e il mio grillo parlante. Era il miglior fratello che avessi mai potuto desiderare. James era il mio eroe, lo era sempre stato.

E quella era stata la sua condanna: fingersi forte anche quando il mondo gli crollava intorno, per evitare che io potessi cedere con esso.

Mi aveva fin troppe volte coperto le spalle, seguito ciecamente, prestato giuramento, osservato in tumulto senza muovere un muscolo, facendo tutto ciò che era stato in suo potere solo per permettere a me di vivere la vita che volessi. Per troppo tempo si era privato della sua libertà di scelta, mettendola al secondo posto. Per il "mio" bene superiore.

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