10. Istruzioni per l'uso.

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Primo giorno

Stanza centocinquanta.

Non sembrava niente di più, niente di meno, che un normale college. L'ambiente mi piaceva, era tutto così oltre tempo. Doveva per forza esserlo: eravamo nella zona sicura e neutrale dei viaggiatori.

Avevo attraversato corridoi serpeggianti, portici e sale comuni nelle migliori condizioni di temperatura e illuminazione. Finendo poi dinanzi quella che avevo deciso sarebbe stato il mio riparo.

Sospinsi la porta, la quale scorse lateralmente al mio semplice tocco. Era aperta, ma non c'erano chiavi, né serrature. Inserii il mio nome sul pannello esterno, il quale si cristallizzò in una lastra di metallo. Quella tecnologia era qualcosa di impensabile per la mia epoca.

Osservai l'austero compartimento in cui erano stati inseriti mobili color ciliegio. Sembrava una camera spaziosa, quasi superflua per avere sole me. Feci un paio di passi in avanti notando con sommo stupore una finestra sulla destra. Il mio cuore fermò i suoi battiti quando vidi la mia cara New York. Provai a smuovere gli infissi come in una specie di furia, ma senza alcun risultato: come era possibile?

Mossi dei passi all'indietro inciampando nel legno del talamo. Ormai distesa a pancia in su mi resi conto di quanto fossi stata ingenua. Sicuramente tra i viaggiatori c'era qualcuno che sapesse far funzionare dei proiettori a ologramma utilizzando i dati di luogo e ora per accedere quasi "in tempo reale" a ciò che stava accadendo sulla Terra.

Da quella posizione, inoltre, notai come tutto era stato disposto secondo i miei gusti: una grande mensola laterale per poter inserire i libri, una scrivania illuminata perennemente da fili a incandescenza, un letto centrale ricoperto da un grande e soffice piumone azzurro.

Pensai a James ravvedendomi di andare da lui il più presto possibile. Mi alzai di scatto notando per la prima volta una lavagnetta magnetica incastonata nel metallo della porta. Mi avvicinai ulteriormente e, dopo una scansione facciale, apparvero delle lettere una dopo l'altra.

Il mio nome era segnato in alto al cui seguito vi erano riportati una serie di parametri: l'età, lo stato di salute, la frequenza cardiaca, la pressione, mentre altri erano definiti da trattini. Provai a sfiorare quel monitor, ma quel semplice gesto fece comparire altre interfacce. Mi domandai se fosse possibile tracciare anche i miei poteri.

E, mentre scrutavo con attenzione quello strano oggetto futuristico, una voce metallica m'intimò di seguire delle strette regole che vennero poi riportate sullo schermo.

"Attenzione. Indossare il bracciale. Vestire solo ciò che fornisce l'Accademia. Usare i propri poteri nelle aree adibite e solo dopo autorizzazione, pena azzeramento degli stessi."

Arricciai il naso. Non avrei potuto sottrarmi a tali rigide norme. Diedi un'occhiata intorno per poter trovare quanto richiesto. Notai sulla scrivania alloggiare una specie di banda. L'afferrai tastando la fattura: sembrava essere stato costruito con lo stesso materiale degli orologi che i ragazzi avevano indosso durante lo scontro contro Shark e Melissa. Lo sistemai al polso facendo scattare la chiusura magnetica: la misura era perfetta.

L'oggetto si illuminò sul perimetro mettendo in mostra delle strane onde simili a quelle di un elettrocardiogramma, ma molto più tonde e irregolari: un bracciale blu notte dai segmenti rosso fuoco, non c'era alcun quadrante che facesse capire se fosse il verso giusto.

Sulla lavagnetta magnetica comparve lo stesso disegno geometrico stilizzato.

«Calcola la quantità di energia che hai in corpo in questo momento.» Kit capitolò nella stanza senza emettere alcun fiato. Mi aveva colto alla sprovvista, ma lasciai che continuasse con la spiegazione. «È uno strumento che serve ai piani alti per monitorarci. Da come avrai intuito non siamo autorizzati a usare i nostri poteri al di fuori dell'addestramento o durante le missioni.»

TravellersWhere stories live. Discover now