56. Ritorno al passato.

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4 giugno, ore 9.58

Sussurri, respiri, affanni. Il suono sottile del vento, lo scrosciare delle fronde degli alberi, il terriccio che implacabile veniva schiacciato dal mio peso. Un lampo di luce mi aveva resa cieca per qualche secondo.

Dovevo esserne abituata: ai confini dell'universo il sole alto nel cielo era la nostra guida, ma quella volta una sensazione di candore e calore pervase le mie membra stanche.

Non c'era più alcun dubbio. Eravamo di nuovo sulla Terra.

Ricaddi sulle ginocchia esterrefatta, affondando le mani nell'erba splendente. Iniziai a ridere mostrandomi riconoscente per il viaggio intrapreso.

Ce l'avevamo fatta.

Avevamo ragione con la conferma che coloro i quali avevano attraversato i portali creati da Colton erano stati tratti in salvo.

Levai in alto lo sguardo constatando come i volti dei miei amici sembravano pensare esattamente lo stesso.

Ci eravamo liberati finalmente di quel peso, ritornando a vivere per la prima vera volta dopo mesi di incertezze.

Il nostro orologio biologico aveva ripreso a scorrere.

Max e Christopher si scambiarono un abbraccio fraterno, mentre Lake iniziò a correre impazzita saltando in una serie di portali da lei stessa creati, urlando gioiosa.

Colton si raccolse il volto tra le mani prendendo un profondo respiro.

«Aveva paura di aver spedito i limitanti verso l'oblio.» Sol mi si avvicinò trattenendo le labbra fra loro, stringendomi nelle spalle.

Scrutando le sue labbra piegate verso l'alto pensai che fosse la persona più generosa che avessi mai potuto incontrare. Ogni sua parola era misurata a fin di bene. Desiderava aiutare gli altri, senza mai chiedere nulla in cambio. E, anche se provava a dissimulare non comunicando i suoi stati d'animo, traspariva sempre quando qualcosa la turbava. La sua voce perdeva di tonalità, mentre i suoi occhi dilagavano nel vuoto, mirando un futuro in cui avrebbe voluto eliminare l'odio e la tristezza.

Osservai il suo petto rilassarsi dopo aver constatato in Colton la liberazione dal senso di colpa che lo attanagliava.

«Che giorno è? Siamo arrivati in tempo?» Domandai facendomi aiutare nel ricompormi. Strofinai i palmi tra di loro liberandomi dal terriccio umido.

Christopher richiamò il gruppo all'attenzione per l'ardua sentenzia. Mi scrutai attorno verificando la nostra posizione.

Eravamo in una aria verde poco distante dal mio quartiere, di solito frequentata dai fanciulli dopo la scuola. Una fitta serie di alberi nascondeva quell'angolo di paradiso dal resto delle strade cittadine, dove lo smog e il caos regnavano sovrani.

Quello era uno dei punti di richiamo a cui la squadra aveva avuto accesso durante la loro missione. Insieme alla casa sicura erano i dettagli che l'Accademia forniva prima di ogni viaggio. In quel modo nessuno si sarebbe accorto di loro, mentre portavano a termine l'incarico.

Christopher scoprì con delicatezza il cronometro dei flussi colorati. Le sabbie vermiglie si univano a quelle bluastre in una danza infinita e irregolare.

«Sono le dieci e due minuti del quattro giugno terrestre. Siamo nella fascia temporale programmata.» Lake gridò euforica dopo le parole del capitano.

«Quanto abbiamo prima che i noi stessi del passato ci raggiungano?» domandò Sol ritrovando la concentrazione. Non potevamo permetterci di sbagliare.

«Un'ora, cinquantasette minuti e dodici secondi. È il nostro tempo limite. Se i miei calcoli sono corretti in questo momento Kit ci starà raccontando del nascondiglio di Shark mentre tu, Delaney, metterai in dubbio la mia autorità per la prima volta, affermando che sarebbe stato meglio se ti avessi lasciato seguire James.» Deglutii sbattendo più volte le palpebre al ricordo di ciò che era accaduto all'epoca.

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