73. Da rosso sangue a grigio.

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Il sole caldo tornò a lambire la mia pelle e i suoni di vite passate intasarono una mente che chiedeva pietà. Il rumore dei miei pensieri era assordante, mentre combattevo contro me stessa e il dolore che provavo. Piegata sulle ginocchia inspirai a pieni polmoni come se fossi stata privata dell'ossigeno fino a quel momento.

Nell'attimo in cui ci teletrasportammo, ogni cosa tornò al proprio posto. Come se non fossi mai andata via. Come se tutto ciò che avevo vissuto fosse stato nient'altro che un brutto sogno.

Lo capii quando le mie dita sfiorarono le setole del tappeto marezzato, quando l'odore di carta stampata e inchiostro raggiunse le mie narici, quando il rumore delle doghe di legno che si piegavano sotto il peso degli ospiti fece vibrare il mio animo.

Come lui mi aveva promesso, lo trovai lì, esattamente come adesso e per sempre.

«Papà...» bisbigliai quando ancora la realtà si stava consolidando. «Ho bisogno di te.»

1° giugno, ore 15.42

Zigomi alti, mascella squadrata e la solita camicia a quadrettoni dello stesso colore dei suoi occhi cerulei. Non potevo credere a cosa avessi fatto e quanto disperata io mi ritenessi.

Il suo sguardo era un misto di incredulità e stupore. «Delaney... James!» mormorò osservandosi intorno, mentre noi ragazzi eravamo comparsi dal nulla. Doveva essere pieno di domande, ma non potevo fornirgli le risposte di cui meritava.

Nessuno dei miei compagni aveva osato proferir parola, capendo che non sarebbe servito. Sapevo quanto tutto quello fosse sbagliato. Che poco meno di una manciata di minuti e saremmo dovuti fuggire via di nuovo, per fare in modo che l'inevitabile accadesse.

Avevo sognato così tante volte di cambiare quel suo destino crudele, e in quel momento che ne avrei avuto la possibilità mi pietrificai.

Come una sirena, il suo ricordo mi aveva attirato a lui. Inconsciamente ero ritornata a quando ero bambina e a quanto poco bastasse per sentirmi meglio, rifugiata tra le sue braccia salde a causa di un fulmine che squarciava la volta celeste o di un taglio che mi ero procurata durante l'ora di ginnastica.

I suoi occhi cristallini mi scrutarono increduli rivivendo della luce che li contraddistingueva. Pochi attimi gli bastarono per recepire la nostra stanchezza, la nostra debolezza e il nostro dolore. In piedi, contro il caminetto, il suo cuore non vacillò un secondo. «Bambini miei, cosa vi è successo?» Quanto mi era mancato.

Scattammo come molle impazzite afferrando il vecchio tra le nostre braccia e stringendoci a lui facendo scivolare via le emozioni. James si aggrappò con tutto sé stesso, tirando fuori finalmente quelle lacrime che non aveva versato il giorno in cui era morto. Aveva sempre pensato di dover essere forte anche per me, ma non se lo meritava.

Affondai le mani sul tessuto di lino, attraendo la sua figura, avara di affetto, affinché mi beassi del suo odore e del suo calore fin quando mi sarebbe stato permesso. Era la mia unica e ultima occasione.

Con il sottofondo dei nostri singhiozzi, l'uomo più grande inspirò profondamente. L'aria era tesa, mentre gli sguardi solenni dei miei amici accompagnavano il nostro incontro. «Credo che dovremmo lasciarvi qualche minuto» ci riferì Colton passandosi una mano sul volto smunto.

Mallek annuì, mantenendo una mano fermamente adesa al suo petto. Essere così vicino a mio padre doveva essere estremamente doloroso.

«Sapevo che questo momento sarebbe arrivato...» Stephan Holland iniziò, aprendosi in un sorriso candido, mentre continuava a fare pressione contro i nostri corpi per tenerci quanto più vicino a lui. «Se siete qui significa che non mi è rimasto più molto tempo da vivere» pronunciò severo.

TravellersWhere stories live. Discover now