Where do broken hearts go?

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Canzone consigliata:
Experience by Ludovico Einaudi

Struggente.
Do.. Do.. Re.. Do..
Mossi piano la mano destra sui tasti mentre quella sinistra armonizzava con Re, La, Fa, La .. Re, La, Fa, La.
Una volta chiuse le prime cinque battute introduttive mi soffermai per poco ad ascoltare il rumore del silenzio, quel suono labile, quasi impossibile da udire.
Nonostante fossi circondata da centinaia di persone che fino a un attimo prima che iniziassi producevano quel piacevole brusio tipico delle serate di festa, che rende l'ambiente più confortevole, si erano improvvisamente zittite dando spazio alle note del pianoforte.
Dopo interminabili millesimi di secondo serrai gli occhi e piano mi abbandonai alla melodia di uno dei miei brani preferiti.
Ludovico Einaudi con la sua bravura nella composizione e grazie alle contaminazioni di musica leggera era in grado di far innamorare chiunque, anche coloro che la musica classica non l'avevano mai apprezzata prima d'allora.
Experience, così aveva chiamato l'insieme di note che stavo suonando quella sera con un pizzico di malinconia..
La mia malinconia, quella di una ragazza di soli vent'anni che si era ritrovata catapultata in una realtà che inizialmente non gli apparteneva ma che poi si era fatta andare bene.
La malinconia di chi non poteva permettersi il privilegio di lamentarsi ma ogni tanto sarebbe stato bello rompere la corazza e potersi sfogare con qualcuno.
La malinconia di quando ti sembra di aver perso tutto e ti appigli con tutte le tue forze all'unica cosa che ti rimane.
Beh, l'unica cosa a cui io potevo aggrapparmi era la musica, ecco perché non avevo rifiutato quella proposta di lavoro nonostante l'unica cosa che avevo voglia di fare quella settimana era restare a letto e piangere.
All'inizio non avevo nemmeno ben capito cosa stessi andando a fare, mi avevano semplicemente detto di portare dei brani a mia scelta per intrattenere i commensali di una festa estremamente importante e riservata, oltre ad avermi fatto firmare un contratto che m'impediva di parlare con chiunque di quello che sarebbe successo tra quelle quattro mura, come se avessi effettivamente avuto qualcuno a cui raccontarlo..
Avevo indossato un semplice abito nero ricoperto di lustrini, che ad ogni modo non attiravano troppo l'attenzione.
Funzionava bene, dato che nessuno si era accorto di me fino a quel momento, avevo suonato di tutto attenendomi al dover essere semplicemente un suono di sottofondo alla loro serata ma non potei fare a meno di concedermi totalmente al pezzo di Einaudi, ne avevo sentito la necessità e si sa, un musicista quando si lascia andare dà il meglio di sé.
Il fascino con cui i partecipanti mi seguivano mi stupii, anche i più piccoli smisero di giocare tra loro e rimasero incantati dalle mie mani veloci sul pianoforte.
Suonavo a memoria, con impeto, mettendoci l'anima, e forse era proprio per quel motivo che avevo attirato la loro curiosità.
Notai io stessa con quanta passione mi dedicavo alla mia arte e mi parve ovvio che la gente mi seguisse, era tendenza comune voler quantomeno tentare di comprendere i sentimenti altrui e io in quel momento stavo sbandierando i miei ai quattro venti.
Do.. Do.. Re.. Do..
Do.. Si.. Do.. Re.......
Cercai di mantenere l'ultima nota il più possibile e, non appena la corda smise di vibrare, si sollevò un applauso comune per cui mi sentii in dovere di alzarmi e fare un breve inchino di ringraziamento a tutti coloro che avevano avuto la pazienza e la voglia di ascoltarmi per più di sei minuti senza fiatare o distrarsi.
Scesi dal piccolo palco con gambe tremanti, non mi era mai capitato di essere acclamata con così tanto fervore nonostante mi fossi esibita di fronte a un pubblico più vasto e probabilmente di maggiore spessore.
Mi feci spazio tra la folla che continuava a complimentarsi, aumentando l'enorme imbarazzo che già provavo, dirigendomi verso la toilette.
Non amavo essere notata, preferivo rimanere nel mio, poi non ero nemmeno così brava da meritare attenzione, o forse lo ero ma nessuno prima di allora si era scomodato di farmelo sapere.
Mi ero sempre dovuta arrangiare da sola, non avevo mai potuto crogiolarmi nella soddisfazione di sentir dire ai miei insegnanti o ai miei genitori "complimenti sei stata eccellente", no, le uniche parole che uscivano dalla loro bocca erano "mmh, puoi fare di più".
Di più, di più, di più.
"Che cazzo" esclamai non appena riuscii a chiuder la porta del bagno.
Passarono pochi secondi prima che mi girassi e mi poggiassi sulla superficie con la schiena scivolando piano verso il basso.
Dovevo mantenere la calma, tirai fuori dalla borsetta gli ansiolitici, due pillole in bocca e subito giù per la gola.
'Fanculo a me che continuavo a pensare che la musica mi avrebbe curato, no, la musica non cura affatto, ti porta in uno stato di estasi facendoti dimenticare quello che hai intorno, ti fa vivere emozioni diverse trasportandoti in un mondo diverso, come nei sogni, ma quando ci si risveglia si sta peggio di prima.
Il cuore rotto che mi portavo dietro da mesi, le ferite dell'anima, non si sarebbero rimarginate così, dovevo mettermelo in testa.
Riuscii ad aprire gli occhi e inaspettatamente ritrovai davanti a me la figura di un ragazzo, appoggiato al muro perpendicolarmente alla porta alle mie spalle.
Mi scrutava quasi con timore e quando i miei occhi incontrarono i suoi abbassò immediatamente lo sguardo.
"Scusami pensavo di essere sola" sussurrai per attutire il colpo ma nonostante ciò il suono rimbombò tra le pareti spoglie di quel semplice gabinetto di un locale torinese come tanti altri.
"Non importa tranquilla, scusa me, sono nel bagno delle donne" rispose asciugandosi poi una lacrima che era caduta sulla sua guancia di cui non mi ero minimamente accorta prima.
Allora decisi di osservarlo meglio: indossava uno smoking in cui chiaramente non si sentiva a suo agio, i primi bottoni della camicia bianca aperti e la cravatta nella mano sinistra posata sul pavimento, non respirava, eravamo in due a non respirare lì dentro.
Guardai in alto e quando mi accorsi dell'assenza dei rilevatori domandai:
"Ti dà fastidio se fumo?"
Scosse la testa perciò afferrai una sigaretta e me la portai tra le labbra ma con le dita che ancora tremavano non riuscii ad accenderla.
Lo vidi alzarsi, prendere l'accendino al mio posto e far scattare la fiamma, un'azione di facilità estrema che però in quel momento mi risultava impossibile mettere in atto.
"Grazie" inspirai a fondo lasciando che il sapore del tabacco invadesse i miei polmoni.
Si accomodò accanto a me e, mentre buttavo fuori il fumo in eccesso creando una nuvola intorno ai nostri volti, gliela porsi ma fece cenno di no con la testa.
"Sai che stai danneggiando la tua salute?" intervenne dopo innumerevoli minuti in cui per calmarmi mi ero concentrata ancora una volta sul suono del silenzio, perché si, pare strano ma il silenzio ha un suono, è solo che l'orecchio umano non lo avverte.
"Preferisco questa al dover prendere altre cinque pasticche, infondo il danno è uguale" e mi girai per guardarlo.
Non lo avessi mai fatto...
I suoi occhi, le sue cavolo di iridi verde ghiaccio m'ipnotizzarono e dovetti appigliarmi a tutte le mie forze per continuare a seguire il suo discorso.
"Di che pasticche stai parlando?" inclinò la testa di lato palesemente confuso.
"È diazepam, mi serve per calmare gli attacchi di panico e tenere a bada l'ansia cronica" tornai ad osservare il soffitto, non riuscivo a reggere il suo sguardo.
Nessuno dei due parlò per un po' ma, allo stesso tempo, nessuno dei due accennò ad andar via.
"Che ci fai qui?" domandai spegnendo la cicca e gettandola nel cestino dell'immondizia più vicino.
"Lì fuori è tutto troppo serio e composto per me, non ci sono abituato, mi sembrava di star impazzendo" iniziò e poi lo lasciai sfogarsi, ne aveva bisogno.
"Ho solo 21 anni e mi sono ritrovato catapultato in questo mondo dall'oggi al domani, la mia ragazza sembra così contenta e a suo agio, si ferma a parlare con le mogli degli altri e a casa non vedeva l'ora d'indossare quello stupido abito rosso corto e stretto, che per carità le sta benissimo, ma la sua gioia nel farlo, nello spronarmi era insopportabile, veramente. Non riesco a capire se ho preso la decisione giusta o se sarei dovuto rimanere dov'ero e continuare la vita che mi ero scelto, con cui per altro mi trovavo benissimo"
"Beh, almeno tu hai potuto scegliere, io mi son ritrovata in queste condizioni senza volerlo, e non lamentarti della tua fidanzata, è sempre meglio che stare da soli, e poi lo avrà fatto per te, spronarti intendo, magari sa che sei più restio a partecipare a certi avvenimenti e ti serve una piccola spinta. Fidati è bello essere amati per come si è piuttosto che essere scaricati alla prima difficoltà dopo anni di relazione" dissi anche un po' stizzita verso l'ultima parte.
Argomento molto delicato per me.
"Non ho capito alcuni termini ma va bene lo stesso, sei stata lasciata dopo tanto tempo che stavate insieme?" s'interessò.
Prima di rispondere pensai alle sue parole, aveva detto di non aver capito, beh era palese fosse straniero, si percepiva dal suo accento, che tra l'altro era meraviglioso.
Ad ogni modo, era giusto dargli tutta quella confidenza?
Ma sì, dopo quella sera non ci saremmo visti mai più perciò..
"Già, dopo circa tre anni che stavamo insieme e uno e mezzo di convivenza se n'è andato perché sono pazza. Quando è stato? Sei giorni fa.. se oggi è sabato.." feci il conto con le mani come i bambini della scuola elementare facendolo ridacchiare.
"Domenica" intervenne.
"Esattamente, se n'è andato domenica" esclamai con un po' di frustrazione.
"Non mi sembri pazza, anzi" molto di consolazione detto da uno sconosciuto che non aveva idea di come mi comportavo quotidianamente.
"No lo sono, è vero. Sono una musicista che non fa altro che suonare e lamentarsi dalla mattina alla sera, oltre che studiare per laurearsi in quel santissimo conservatorio che non mi da tregua dall'età di cinque anni, e non ho ancora finito.." alzai le spalle quasi non curante, mi ero abituata ad essere esaurita.
"Beh, io ti ho ascoltata e penso tu sia bravissima, inoltre ti trovo una persona estremamente interessante" abbassò il tono della voce verso le ultime parole facendola diventare cupa, profonda.
"Mi fa piacere che lo pensi, sul serio" e ritornai a guardarlo quella volta senza distogliere lo sguardo.
Avrei voluto dirgli che aveva dei bellissimi occhi ma lo avranno fatto in milioni prima di me e odiavo apparire scontata perciò stetti zitta e continuai a tenere puntato il nero delle mie iridi nelle sue molto più chiare e cristalline.
"Mi togli una curiosità?" domandai, insolente come al solito.
Annuì.
"Da dove vieni?" anche se ero certa fosse dell'America Latina.
"Argentina" bingo.
"País tan bonito" esclamai e vidi una scintilla accendersi nei suoi occhi.
"Parli spagnolo?" improvvisamente era molto più interessato.
"Parlo sei o sette lingue diverse, non stupirti" mi alzai in piedi.
Era il momento di andare, la conversazione era sul punto di diventare troppo intima e non volevo venisse a conoscenza di troppe cose che mi riguardassero.
"Aspetta" m'interruppe mentre cercavo di aprire la porta.
"Mi dici almeno come ti chiami?" potei vedere la speranza nel suo volto ma lo delusi nel giro di dieci secondi.
"No, e non voglio nemmeno che tu mi dica il tuo di nome" non lo avrebbe saputo mai e io non avrei mai saputo il suo, mi sembrava un giusto compromesso.
"D'accordo, allora ciao musicista, è stato un piacere conoscerti" si mise in piedi anche lui e mi porse la mano.
"Ciao Argentino, il piacere è tutto mio" gliela strinsi e pochi attimi dopo ritornai alla realtà con persone che, ancora una volta, si complimentarono e desiderai ardentemente tornare in quelle quattro mura che per solo mezz'ora mi avevano fatto sentire più a casa di in quella in cui abitavo da vent'anni.

Él ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now