Leggi dell'universo

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"Papà, mi dici che cazzo vuoi?" alzai il tono della voce.
Non ce la facevo più, eravamo a punto e da capo, ogni santo giorno.
"Ti rendi conto che hai mandato tutto all'aria? Come hai potuto buttare fuori Fabio?" urlò ancora più forte dall'altra parte della cornetta.
"Io ho buttato fuori chi? È lui che ha preso le sue cose ed è andato via, ma ti rendi conto? Dovete smetterla di pensare che sia sempre colpa mia!" esclamai arrabbiata come non mai.
Potevano accusarmi di qualunque cosa, di essere pazza, pesante, stressante ma stronza no, ero anche fin troppo buona, solo che loro non capivano mai un cazzo..
Nel mentre cercavo di aprire la porta di casa ma con le lacrime agli occhi infilare la chiave nella serratura mi pareva impossibile.
Dopo dieci minuti buoni e tanti tentativi ci riuscì, peccato che proprio mentre giravo verso destra per sbloccarla sentii uno strano rumore e quando la tirai fuori era rotta con l'estremità ancora infilata dentro.
Senza pensarci due volte colpii il legno con impeto facendo rimbombare il suono per tutto il pianerottolo.
Chissà che avrebbero pensato di me i nuovi vicini, arrivati da meno di una settimana ma che sicuramente avevano già la casa più bella della mia.
In pochi mesi l'avevano riempita, ci avevano messo di tutto, sentivo continuamente avvitare, usare il trapano, tonfi sui pavimenti ecc.. , poi mi avvicinavo allo spioncino e vedevo che, puntualmente, c'era qualcuno che portava all'interno qualcosa di nuovo, da televisioni a poltrone ad addirittura un tavolo da biliardo, chissà che se ne facevano...
Probabilmente erano un omone pensionato che conosceva mio padre, il grandissimo avvocato e imprenditore Benedetti, insieme alla sua graziosa moglie che doveva sottostargli, tale e quale a mia madre.
Sicuramente si sarebbero fatti una bruttissima idea di me, che alle 20:15 di sera strillavo come le pazze senza alcun contegno.
Esattamente.. come le pazze..
"Ti prego Eva smettila di comportarti in questo modo altrimenti io e tua madre ti diserediamo, sul serio questa volta, ti facciamo rimanere per strada come hai fatto tu con quel povero disgraziato" e sapevo stesse dicendo sul serio.
Dovevo accettarlo e starmene zitta, i miei risparmi non mi avrebbero mai permesso di cavarmela da sola, nonostante lo avessi tanto voluto.
"Va bene pa' io devo andare a studiare, ci sentiamo domani" attaccai senza aspettare la sua risposta, discuterne ancora era pressoché inutile.
Perché era tutto così fottutamente difficile?
Non respiravo più, mi mancava l'aria.
Non potevo farcela, avevo bisogno di una mano.
Tirai fuori il flacone di pillole, una.. due.. tre.. , bastavano 3?
No, non bastavano.
Quattro.. cinque..
Okay, 5 andava bene, anche se ne avrei volute di più.
Avevo bisogno di farmi ricoverare di nuovo, non stavo per niente bene ma non potevo, se mi fossi presentata in clinica i miei lo avrebbero scoperto e sarebbe stata la fine.
Dovevo farcela da sola e quella volta ce l'avrei fatta.
Mi guardai intorno e tutto ciò che mi rimaneva da fare era sedermi per terra e aspettare che Adriano, il portinaio, iniziasse il turno alle 21:30.
Un'ora e un quarto, benissimo, nel frattempo avrei giocato al cellulare.
Anzi, mi sembrò più intelligente infilare le cuffie e ascoltare un po' di musica, mi avrebbe aiutato a rilassarmi e mantenere la calma.
Aprii l'applicazione di Spotify e feci partire la riproduzione casuale della playlist che avevo creato con molta cura e attenzione.
There's a lightning in your eyes I can't deny
Sentii e fui sollevata che fossero capitati proprio gli One Direction, non c'era migliore medicina di loro.
Then there's me inside a sinking boat,
running out of time
Canticchiai tra me e me, la voce di Harry era così rilassante.
Without you, I'll never make it out alive
But I know, yes, I know, we'll be alright
Il testo non era minimamente adatto al mio stato d'animo attuale ma la melodia era un qualcosa di stupendo, e loro cantavano fantasticamente perciò mi andava più che bene.
So che staremo bene, insieme, dicevano.
Con chi sarei dovuta stare bene io? Facevo scappare tutti, la pazza non andava mai bene a nessuno.
La verità era che nessuno era in grado di darmi i miei spazi, nessuno capiva come tenermi a bada durante i miei attacchi e nessuno accettava prendessi delle medicine.
Erano loro il problema, non io.
Nemmeno i miei genitori erano riusciti ad accettarlo, figuriamoci se lo avrebbero potuto fare gli altri.
Ero destinata a rimanere in solitudine e pian piano iniziava ad andarmi anche bene.
Sarei stata bene io, da sola.
I'll be alright, just me, myself and I.
Tirai le gambe contro il petto e posai la testa sulle ginocchia, avevo bisogno del buio e lì c'era troppa luce.
Quando partì "I will never let you down" di Rita Ora scoppiai a piangere, era la nostra canzone. Diversamente da quanto si potesse pensare ero fragile anch'io, apparivo sempre come quella apatica che ne se fotteva di tutti ma in realtà nessuno aveva mai capito.
Mi mancava troppo ma non avrei ceduto alla tentazione di chiamarlo e chiedergli di tornare come le altre volte, aveva detto cose orribili e non potevo passarci sopra, non di nuovo.
Udii l'ascensore alla mia destra aprirsi, non avevo il volume eccessivamente altro, feci caso anche al flebile rumore di plastica, forse erano buste?
Ad ogni modo non erano fatti miei, dovevo smetterla di essere impicciona.
"Ehi" disse la persona che era sbucata da lì dentro ma non ci feci caso, probabilmente non ce l'aveva con me.
Poi mi sentii sfiorare una gamba e mi resi conto che invece quel richiamo era proprio per la sottoscritta.
Ritornai in me tirando sù la testa ma non riuscii immediatamente a riconoscere la figura, apparve più chiaro solo  dopo aver passato le dita sugli occhi per togliere le lacrime, che andarono via insieme all'eye-liner e il mascara.
"No dai non è possibile, è uno scherzo" esclamai.
Era proprio lì, di fronte a me, con le buste della spesa in mano, come avevo immaginato.
"Ciao musicista" mi salutò inginocchiandosi per arrivare alla mia altezza.
"Ciao Argentino" accennai un sorrisetto.
"Che ci fai qui?" chiesi e mi ricordai di avergli fatto la stessa domanda l'ultima volta.
"Sai dire solo questo?" mi provocò.
"Mmh, probabile" feci spallucce e lo vidi scoppiare a ridere trascinando anche me.
"Abito di fronte, mi sono trasferito da poco, tu invece? Perché sei seduta sulla moquette mentre piangi?" e si sedette anche lui, proprio come quella sera.
"Alla faccia dell'omone pensionato" mi lasciai scappare ad alta voce quando in realtà sarebbe dovuto rimanere soltanto un mio pensiero.
"Come?" corrugò la fronte.
Che gesto strano, però lo faceva apparire ancora più bello di quanto già non fosse.
"No nulla, cose mie. Comunque io vivo qui, da una vita ormai, la chiave è rimasta incastrata nella serratura, sto aspettando Adriano" lo dissi come la cosa più naturale del mondo quando mezz'ora prima ne avevo fatto un dramma.
Il potere della musica, e delle pasticche..
Aspetta, avevo davvero pensato che fosse bello?
"Vuoi entrare da me nel frattempo? Possiamo parlare un po' se ti va" propose.
Dovevo fidarmi?
"La tua ragazza ti starà aspettando" inventai una scusa per scaricarlo in modo carino.
Non mi pareva proprio il caso d'intrufolarmi a casa di uno sconosciuto che per tutto il tempo non avevo fatto altro che criticare pensando fosse più vanitoso di mio padre.
Però non lo conoscevo ancora, quindi ero giustificata.
Ad ogni modo no, non potevo.
"La mia ragazza è partita ieri, sono da solo" si alzò e mi porse la mano.
"Non posso accettare" rimasi ferma nella mia posizione senza battere ciglio.
"Perché non puoi? Sei qui da sola e non hai possibilità di entrare a casa tua prima di almeno quarantacinque minuti, forza!" mi fece ancora una volta segno di seguirlo continuando a tenere il braccio disteso in attesa che lo afferrassi.
Sospirai.
"Chi mi assicura che tu non sia uno stupratore e non stia cercando di manipolarmi per attirarmi nella tua trappola?" alzai il sopracciglio sinistro incrociando le braccia al petto.
"Se fosse stato così ti avrei già presa in braccio contro la tua volontà e portata dentro" mi fece notare e contro tutte le aspettative aveva ragione cavolo.
"Touché" sorridendo posai la mia minuscola mano sulla sua e mi lasciai dirigere nel suo appartamento.
"Cazzo che bello" mi lasciai andare una volta dentro, completamente a mio agio, facendolo ridere.
A parte gli scherzi era tutto davvero stupendo.
Finalmente quell'infinità di mobili e sofà prendevano senso e non si trattava più di oggetti indistinti che cercavo di mettere in ordine nella mia mente.
"Ti ringrazio, ci ho messo un po' a scegliere e poi a portare tutto qui ma ne è valsa la pena" spiegò mentre metteva a poso la spesa in cucina.
"Credimi lo so bene, facevano un baccano tremendo" risposi continuando ad aggirarmi tra quelle mura osservando i dipinti sui muri.
"Mi dispiace che ti abbiano disturbato mentre studiavi o.. facevi qualunque altra cosa" mi si avvicinò mentre avevo in mano una cornice contenente una fotografia di lui e una ragazza.
Era veramente bella, i capelli leggermente schiariti da delle meches nonostante non fossero tanto scuri naturalmente.
Erano seduti allo stadio ed era stato fatto un primo piano su di loro, probabilmente qualche anno prima poiché lui era molto diverso, dai tratti del volto pareva più piccolo e poi aveva un fantastico cappellino messo al rovescio con la frontiera all'indietro, tipico dei giovincelli dell'epoca.
Mio Dio, parlavo come se fossero passati vent'anni e la generazione fosse cambiata.
"Lei è la tua fidanzata immagino" supposi anche se ero certa fosse così.
"Sì, questa foto è di due anni fa, il giorno in cui ci siamo messi insieme dopo anni di frequentazione" lo guardai, stava sorridendo come un ebete.
"Sei proprio innamorato eh, è fortunata" sorrisi anch'io rimettendo poi tutto apposto e allontanandomi di lì, sarei scoppiata a piangere da un momento all'altro altrimenti.
"Quello fortunato sono io" continuò nonostante avessi sperato con tutte le mie forze che interrompesse lì il discorso.
"Lo siete entrambi, è bello sapere di essere amati almeno quanto si ama l'altra persona" mi sedetti sulla penisola vicino al mobiletto delle foto, la cosa meno sensata che potesse esistere, l'arredamento era veramente strano.
Non rispose, semplicemente si accomodò proprio dall'altra parte, di fronte e me, scrutandomi.
"Hai le guance completamente nere" disse dopo alcuni minuti di silenzio facendomi sbarrare gli occhi.
"Beh, potevi avvisarmi prima" lo ammonii iniziando a pulirmi con il dorso della mano.
"Eri così carina, e poi non mi andava di rovinare il momento, aspetta un attimo.." si girò verso il lavandino e aprì l'acqua bagnando un panno che aveva recuperato da lì vicino.
Poi tornò a concentrasi su di me, si avvicinò cauto posando il tessuto leggermente ruvido sulla mia pelle per pulirla.
Fu un gesto tanto inaspettato quanto intimo, nessun uomo mi aveva mai asciugato le lacrime..
Uomo, che parolone, avevamo 20 e 21 anni, eravamo ragazzi.
Ad ogni modo il suo comportamento mi fece riflettere a tal punto che improvvisamente ruppi il silenzio domandando: "quante probabilità c'erano che c'incontrassimo di nuovo? E soprattutto che fossi il mio nuovo vicino?"
Mi scrutò per un momento prima di rispondere:
"Poche, davvero poche"
"No ti sbagli, non ce n'erano affatto, eppure è successo" sussurrai perché detto ad alta voce avrebbe perso di significato e sopratutto non avrebbe avuto la stessa intensità.
"È un segno divino" iniziò ma lo interruppi immediatamente asserendo:
"Non credo nel divino ma credo nell'universo e secondo le sesta legge ogni effetto ha la sua causa, ogni causa il suo effetto; tutto avviene in conformità di una legge, il caso è il nome dato ad una legge che non si conosce; pur se esistono diversi piani di causalità, niente sfugge alla legge"
"Mi stai dicendo che è destino?" domandò facendomi sorridere.
"Può darsi" feci spallucce e mi spostai leggermente all'indietro interrompendo non solo l'unione delle nostre parole ma anche quella delle nostre anime.
"Avevo capito dal primo istante fossi una persona estremamente interessante" si mise nuovamente comodo anche lui.
"Faccio questo effetto alla gente" e ancora una volta alzai gli angoli della bocca all'insù.
Spostai lo sguardo verso l'orologio a muro, segnava le 21:50.
"Credo che sia ora che io vada" mi alzai dirigendomi con nonchalance a recuperare le mie cose.
"Mi ha fatto piacere passare del tempo con te.." e si vedeva benissimo che avrebbe voluto aggiungere il mio nome alla fine della frase.
Avrei potuto tacere ancora e mantenere la suspence ma purtroppo la targhetta in argento placcato oro attaccata accanto al citofono della mia porta parlava chiaro.
"Eva, mi chiamo Eva Benedetti" buttai fuori mentre infilavo il cappotto.
Un sorriso spontaneo si fece spazio sul suo volto illuminandolo.
Feci dei passi verso l'uscio e quando fui fuori mi raggiunse dicendo:
"Quando vuoi sono qui, Eva"
Feci salire l'ascensore per poi scendere in portineria e mentre lo aspettavo mi girai e domandai:
"Non hai intenzione di presentarti? Non mi piacciono le cose a senso unico"
Le porte si aprirono e fui costretta ad entrare prima che si richiudessero.
"Sono Paulo Dybala, molto lieto" e il suo volto perfetto scomparì piano dietro le barre di metallo.

Él ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now