Malu

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09 novembre 2015

Ero così intenta ad infilare i vestiti nella lavabiancheria che non mi accorsi del campanello che suonava incessantemente da alcuni minuti, o forse lo notai ma non ebbi voglia di andare a vedere chi fosse.
Ero in quel mood perfetto in cui non si vuole rovinare l'atmosfera perciò non ci si muove nemmeno di un centimetro affinché tutto rimanga tale e quale.
Quella maledetta sensazione di pace interiore che si fatica tanto ad ottenere ma quando la si trova si ha paura poiché non si crede possibile che vada tutto alla perfezione, infatti puntualmente arriva qualcosa di catastrofico devastando ogni cosa.
Il cellulare al mio fianco squillò e il suo nome apparve sullo schermo facendomi sbuffare, poi risposi.
Era quel tipo di persona che la calma sapeva donarla ma al contempo strapparla via in un millesimo di secondo.
"Sono fuori da mezz'ora, vuoi aprirmi oppure devo fare il lago davanti alla porta?" esordì incazzato senza nemmeno farmi dire "pronto?"
"Scusa perché? Che stai facendo?" era cretino o cosa?
"Aprimi o me ne vado" urlò per poi riattaccare.
Okay boss, keep calm.
Con i piedi scalzi e indosso solo dei pantaloncini e un top a bretelle mi diressi verso l'uscio un po' indispettita.
"È così difficile capire che ho i miei tempi? Sembri mia madre" e mi allontanai non degnandolo nemmeno di uno sguardo.
Forse un atteggiamento un po' estremo ma molto sentito in quel momento.
"Si vabbè continua a blaterare. Quelli sono miei?"
Paulo e le sue solite domande retoriche.
"Secondo quale logica perversa dovrei comprare dei bermuda neri con il numero 21 e lo stemma della Juventus? È ovvio che sono tuoi, gli hai lasciati qui la settimana scorsa, è grave che tu non te ne ricorda" esclamai e mi sedetti sul divano accendendo il televisore.
Okay, quel gesto non aveva assolutamente senso e soprattutto non era da me quando c'erano ospiti ma con lui mi sentivo così a mio agio che non ci feci nemmeno caso.
"Ad ogni modo, ho portato il gelato che ti avevo promesso" posò una busta della Carrefour sul tavolino e tirò fuori dalla tasca due cucchiaini avvolti in un tovagliolo.
"Ti sei salvato all'89', botta di culo" feci riferimento alla partita della sera prima svoltasi ad Empoli.
La Juventus era in vantaggio per 2-1 e il signorino all'ultimo minuto ci aveva tenuto a sbloccare il 3-1 vincente per la squadra.
"Tutta bravura"
"L'importante è essere convinti Paulì" gli diedi una pacca sulla spalla con fare molto convincente che lo fece imbronciare.
"Comunque ho da dirti due cose: la prima è che anche io come tutti gli esseri umani ho le posate in casa quindi non c'era bisogno le portassi tu, la seconda invece è che mangio il gelato con il cucchiaio da minestra e non quello da dolce" dissi alzandomi poi a recuperarlo dalla mia credenza.
Era qualcosa di più forte di me, non riuscivo ad utilizzare quello piccolo, il mio cervello disapprovava completamente.
"Imparerò per la prossima volta, ora però mangiamo che ho una fame da lupi" si affrettò ad aprire quelle scatole come fosse un senzatetto che non vedeva del cibo da giorni.
"Che fine ha fatto la dieta per questa merenda banale ma ipercalorica?" se voleva far bene le cose che le facesse fino in fondo.
"Il vortici baci perugina per oggi va benissimo" e non appena quelle parole mi arrivarono alle orecchie un urletto eccitato abbandonò le mie labbra mentre i miei occhi si spalancarono.
"Non puoi capire, è il mio gusto di gelato preferito ne ho il congelatore pieno, io penso di amarti Paulo" gli saltai al collo stringendolo forte come non avevo mai fatto, né con lui né con nessun altro.
Era la prima volta che mi lasciavo andare così tanto e soprattutto spontaneamente, non ero nemmeno inibita dai farmaci, che strano.
"Mi fa piacere che tu abbia apprezzato così tanto" ridacchiò continuando a tenermi stretta fra le sue braccia.
Non voleva lasciarmi andare, nemmeno io volevo staccarmi ma dovetti, c'era una barattolo di gelato davanti a me e, senza offesa, era la mia priorità in quel momento.
"Guarda, se me lo avessi detto non avrei aspettato tutto questo tempo, anzi mi sarei fiondata a casa tua subito" lo aprii immediatamente ficcandoci dentro il cucchiaio enorme, non vedevo l'ora di gustarlo.
"Hai appena detto che ne hai il freezer pieno"
"Si ma di solito non ci sei tu a mangiarlo con me" mi feci scappare quasi in un sussurro.
Vidi le sue guance colorarsi di un rosso leggero e per stemperare la tensione, dopo essersi grattato la nuca, tossicchiò leggermente.
"Sei tutta sporca" mi guardò sorridente.
Allora sorrisi in tutta risposta chiedendo: "dove?"
Sapevo si sarebbe segnata disfatta, per entrambi, ma lo feci lo stesso ignorando per un secondo le conseguenze.
Si avvicinò lentamente e passò il pollice con estrema delicatezza sull'angolo destro della mia bocca, poi si avvicinò ancora un po' e le nostre labbra si sfiorarono, l'impulso era irrefrenabile, lui ne voleva di più e anche io ma dovetti pormi dei limiti.
Non potevo lasciare che si scatenassero una serie di eventi che ci avrebbero distrutti.
"Dai scemo, smettila" mi allontanai indietreggiando sul divano lasciandolo lì, nella stessa posizione, con gli occhi chiusi ed un'espressione contrariata.
"Mi fai sentire rifiutato" sospirò tornando a guardarmi.
Mio Dio Paulo, non avevi la più pallida idea di cosa provavo ma non potevo rovinarti la vita.
Anche se probabilmente ci eravamo già arrivati..
"Lo sai come la penso al riguardo, scusami" tornai in posizione posandogli una mano sulla guancia e facendo scontrare le nostre fronti.
"Forse un giorno" sussurrai ma non ebbe tempo di rispondere, un messaggio sul suo cellulare lo distrasse facendogli perdere non solo il contatto visivo ma anche quello delle nostre anime che si stavano ascoltando.
Lo prese in mano e mi soffermai sul mittente: "Giovanni Benedetti".
"Oh mio Dio" dissi soltanto alzandomi e portandomi i palmi sul volto nel vano tentativo di soffocare un lamento.
Me n'ero quasi dimenticata.
"È questa sera Eva, dice di farci trovare lì per le 19:30" mi ricordò lui.
"Lo so, stavo solo cercando di non pensarci" ed era vero.
Avevo fatto di tutto quel giorno per evitare di metabolizzare che il momento tanto atteso quanto odiato fosse davvero arrivato.
"È tra un paio d'ore, dovremmo iniziare a considerare la scelta dell'outfit" e all'udire di quelle parole alzai gli occhi al cielo.
Non volevo andarci ma non potevo nemmeno rifiutare, gliel'avrei data vinta in entrambi i casi tanto valeva presentarmi e spendere tutte le energie per cercare di dimostragli che quelli sbagliati lì erano soltanto loro, non io.
"Indosserò un abito lungo e dei tacchi, niente di preoccupante o provocante, così non c'è pericolo che lui mi chiami troia davanti a te" andai verso la camera da letto e aprii l'armadio alla ricerca di quello che avevo perfettamente studiato nella mia mente pignola.
Se non lo avessi trovato probabilmente avrei avuto una crisi e sarei impazzita.
Già, la paranoia mi faceva proprio un bell'effetto...
"Lo farebbe davvero?" chiese dopo avermi raggiunta.
Lo sopravvalutava troppo.
"E non sarebbe la prima volta" feci spallucce.
Ci ero così abituata che non faceva più effetto.
"Quello bianco è molto bello" esordì dopo un po' indicando un vestito di Zara che avevo comprato l'estate scorsa ma non avevo mai avuto modo di utilizzare.
Forse perché troppo lungo, elegante e coprente per i miei standard da puttana ribelle.
Lo afferrai, decisa che fosse quello giusto, e prima che potessi ragionare su ciò che stavo facendo mi spogliai rimanendo completamente nuda davanti a Paulo la quale reazione fu alquanto divertente: prima sgranò gli occhi, poi si girò di spalle coprendoseli con il palmo della mano destra.
"Andiamo, niente che tu non abbia già visto" e mi spostai verso la cassettiera per recuperare l'intimo, anch'esso bianco, in modo da coprirmi.
Tornò a posare il suo sguardo sul mio corpo soltanto quando fui completamente vestita e con gli stivaletti ai piedi.
"Tu mi provochi più del dovuto" asserì muovendo freneticamente le gambe per nascondere l'evidente erezione nei pantaloni.
Che bambino.
"Sei tu che non sai tenertelo nelle mutande, e sei troppo buonista" gli passai accanto dandogli uno schiaffetto amichevole sul braccio e lo vidi diventare rosso come un pomodoro.
Cosa lo aveva messo in imbarazzo? Il fatto che mi fossi accorta della sua eccitazione forse?
Probabilmente non lo sapremo mai.
"Fa veramente caldo qui, hai i riscaldamenti troppo alti" cercò vanamente di sventolarsi con la maglietta facendomi ridere.
"È novembre e a me piace usare gli abiti estivi, non rompere"
Anche da lui era così, sapevamo benissimo entrambi quella fosse solo una scusa per mascherare il fatto che fosse arrapato.
Tempo cinque minuti per riprendersi che si dileguò nel suo appartamento per indossare un meraviglioso completo blu elettrico che, non appena vidi, mi fece perdere completamente i sensi.
Credo che lo stesso valse per lui poiché, quando c'incontrammo sul pianerottolo, notò che avevo i capelli sistemati da un lato con il gel e avevo tinto le labbra di un rosso scuro parecchio intenso.
L'impressione che ebbi fu che ne restò completamente ammaliato dato che non riusciva a staccare gli occhi dalla mia bocca.
"Sei perfetta Nena" disse con una punta d'imbarazzo mentre scendevamo le scale, causa ascensore guasto.
Teneva la mano posata sulla mia bassa schiena quasi come a sorreggermi, la metafora perfetta che mi fece credere volesse trasmettermi il suo appoggio in tutto quello che avrei detto o fatto di lì a mezz'ora con i miei genitori.
Non avrebbe potuto farmi sentire meglio in quel momento.
"Sei perfetto anche tu" sussurrai ma non fui certa mi avesse sentito poiché non appena vide Adriano, che dal suo amato posticino dove riusciva a controllare il via vai degli inquilini del palazzo, gli chiese di scattarci una foto ricordo.
Mi afferrò dalla vita prima che potessi oppormi perciò dovetti intrecciare le braccia dietro al suo collo per non cadere dato lo scatto improvviso.
Tempo trenta secondi e Paulo aveva una nostra immagine da sfoggiare sul suo telefono, più di una a dire il vero visto che in auto prima di partire dovemmo scegliere insieme quale fosse la più bella.
Per tutto il tempo dell'alquanto limitato viaggio nessuno dei due spiccicò parola, semplicemente mi persi a guardare il panorama torinese in attesa di arrivare a Crocetta, che non era nemmeno troppo distante dai nostri appartamenti.
"La posto" esclamò convinto una volta davanti a villetta Castamarani, che portava il cognome di mia madre dato che l'aveva ereditata dalla sua bisnonna più ricca di quanto tutti ricordassimo.
"No che dici! Non permetterti proprio" gli strappai il cellulare di mano prima che potesse fare la più grande minchiata della sua giovane vita.
"Eva, voglio andare fino in fondo perché credo nel nostro rapporto e voglio cominciare da qui" perciò decise di riappropriarsi del suo smartphone e pubblicarla.
Bene, sarei stata davvero sulla bocca di tutti da quel momento in poi.
Ma... perché non ero arrabbiata? Anzi sembravo essere così contenta che qualcuno mi flexasse come una delle cose più belle che avesse nella sua vita.
Negli ultimi tempi avevo intuito la nostra relazione fosse diventata più che amicale ma non volevo ammetterlo a me stessa, credevo di non essere pronta anche se forse in realtà lo ero.
I miei sentimenti contavano poco però quando dovevo avere a che fare con un cervello così ingarbugliato e che non sapeva ragionare lucidamente.
Aprii la notifica del tag che arrivò sul mio iPhone illuminando lo schermo, aveva messo come descrizione "expectativa con mi amiga", chissà cosa intendesse con la parola iniziale nella sua mente perversa.
Decisi di passare oltre e non domandarglielo, misi like senza aggiungere alcun commento e subito dopo inghiottii un paio di compressine che mi avrebbero aiutato a combattere l'ansia, non eravamo nemmeno entrati che già mi sentivo a disagio.
Scese dalla macchina facendo il giro e aprendomi gentilmente la portiera, poi mi porse la mano che accettai stringendola forte per placare i conati di vomito che minacciavano di scuotermi vertiginosamente.
"Stai bene?" domandò silenziosamente e soprattutto con discrezione dopo avermi preso a braccetto.
"Si tranquillo, sono solo un po' agitata"
Un po' era un eufemismo a dire il vero..
Uno spasmo involontario fece tremare il mio braccio ma con una semplice carezza che mi mozzò il fiato fu in grado di farmi sentire un minimo più serena.
Sarebbe stato dalla mia parte, non sarebbe caduto alle loro provocazioni, non avevo di che preoccuparmi.
"Oh che bellezza, siete qui!" esclamò lui a braccia spalancate non appena varcammo il portone in legno di cedro che portava nell'enorme ingresso, soltanto dopo aver passato un vialone circondato di guardie del corpo nemmeno fosse casa del presidente della repubblica, e già da lì si poteva benissimo intuire non fosse una persona per bene e che guadagnava onestamente, anzi..
"Ciao papà" proferii senza accennare una minima smorfia, rimasi dura con lo sguardo fisso nel vuoto.
Resisti Eva, resisti e non fare cazzate.
Salutò Paulo stringendolo in un grande e lungo abbraccio, come se si conoscessero da tutta la vita, mentre con la sottoscritta si limitò a prendere la mano e baciarne il dorso, un gesto così carino e intimo che fatto da lui però mi faceva ribrezzo.
Ci condusse nella sala da pranzo dov'era seduta mamma, a cui non era permesso accogliere gli ospiti ma doveva aspettare e successivamente inchinarsi davanti agli uomini.
Non conoscevo molto bene le altre stanze, ero stata lì solo tre o quattro volte dato che si erano trasferiti da un paio di anni lasciando a me l'appartamento in cui ero nata e cresciuta.
Per loro non andava più bene ma io ci ero estremamente legata.
"Figliola, signor Dybala, è un piacere avervi qui" esordì lei dopo che ci accomodammo.
Sorrisi fintamente e mi contenni perché altrimenti avrei dovuto rispondere con: "non posso dire lo stesso" ma non volevo essere scurrile, non da subito.
Ero andata a quella stupida cena per farli ricredere non per confermare le loro tesi.
Chiamarono i camerieri per farci servire, iniziammo da salmone e tartufi neri, la cosa più vomitevole del mondo.
Che merde, sapevano quanto mi facesse schifo ma non ci avevano pensato due volte ad ordinarlo, probabilmente era anche fatto di proposito.
"No grazie, io sono apposto senza antipasto"dissi, mi avevano praticamente costretto a doverlo fare.
"Non è educato da parte tua" mi rimproverarono, come se non sapessero sarebbe successo.
Oh no, così non andava per niente bene.
"Non fatemi parlare di educazione" gli zittii immediatamente.
Vidi mio padre cambiare discorso e soffermarsi su Paulo mentre lei abbassò lo sguardo verso il piatto e si limitò a mangiare.
Non era così, era una donna buona e si sentiva sicuramente in colpa per come mi aveva trattato negli anni passati ma le manipolazioni dell'unico uomo che avesse mai amato le avevano condizionato la vita ma soprattutto la volontà di pensare e comportarsi liberamente.
L'unica della famiglia riuscita a sfuggire a quella trappola ero io.
"Allora ragazzi, come vi trovate insieme? Insomma, raccontateci un po' la vostra storia" c'invitò lui.
Stava cercando di fare cosa? Scoprire dettagli scottanti in modo da poterli poi usare per farci del male?
Sì, era sicuramente quello.
"Abitiamo l'uno di fronte all'altro, come credi che ci siamo conosciuti?" dovevo fermarlo in qualche modo.
La sua mano si posò sulla mia coscia invitandomi a mantenere la calma.
"Beh, in qualche modo avrete pur legato, altrimenti è impossibile che siate così affiatati" continuò scatenando una reazione inaspettata da parte dell'argentino.
No Paulo non rispondere, non farlo.
"Lei è una donna estremamente interessante, non si può non voler approfondire la conoscenza"
Mi sciolsi completamente, aveva detto una cosa bellissima e sapere che lo avesse pensato mi gratificava tantissimo.
Gli rivolsi un sorriso sincero che si spense immediatamente quando sentii: "tu invece ti sei affezionata perché tra qualche anno sarà miliardario?"
Rovinava tutto, sempre.
"Non sono te papà, ricorda che siamo due persone distinte e che ragionano diversamente"
Quell'uomo non faceva altro che spezzare cuori e mettere dubbi, chissà se Paulo si fosse domandato anche solo per un secondo se io avessi davvero agito secondo quegli interessi.
"Non ne avrebbe motivo signore, siamo solo buoni amici che si vogliono un gran bene" mi difese ma non bastò.
"Parli così perché non la conosci, caro" s'intromise mamma.
Eravamo soltanto al primo e già ci trovavamo in quelle condizioni, sarebbe stata davvero una lunga serata..
"Invece la conosco bene, è brillante e determinata, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e la cosa che più mi ha ammaliato di lei, dal primo secondo in cui ho avuto modo di confrontarmici, è stato il fatto che sia una donna che dice quello che pensa, nonostante tutto"
Le sue parole mi colpirono come un proiettile in pieno centro del petto.
Mi ero sentita inferiore per tutta la vita e lo avevo provato di nuovo quella sera dall'instante in cui avevo messo piede nella loro abitazione ma lui, in meno di 10 secondi, era riuscito a farmi acquistare sicurezza, quella che forse non avevo mai veramente avuto in quel tipo di contesto.
"Voi non avete idea di che persona io sia diventata, mi vedete soltanto come un'adolescente malata che ha rovinato la bella impressione che avete necessità di fare, come se tutti non sapessero che siete dei ladri senza contegno" sbottai.
Gli colpì, tanto che rimasero muti dopo il mio sfogo, ma papà non stava pensando al dolore che gli avevo provocato come stava invece facendo lei, no, lui preparava il contrattacco, infatti dopo circa un minuto di silenzio tombale con estrema calma disse: "la bambina sta bene comunque".
Stava tirando in mezzo uno degli argomenti più difficili da affrontare per me, un trauma che non avevo ancora superato e che mi aveva portato alla dipendenza, anch'essa ancora non curata del tutto.
"Non provarci" lo ammonii ma fu inutile.
"Sai, Jonathan e Rita ce la stanno mettendo tutta per crescere tua figlia eppure non te ne preoccupi minimamente, sei pur sempre sua madre"
Aveva appena toccato il mio punto più debole e io non sapevo nemmeno come stavo facendo a restare in piedi e non crollare.
"Non sa nemmeno che esisto, è felice con i suoi genitori, sarei solo un peso"
Cercai di trattenere le lacrime e non scoppiare davanti agli occhi increduli di Paulo che non ci stava capendo un bel niente.
Non c'entrava con tutto quel caos..
"Puoi sempre interessartene, e lo faresti se non fossi una drogata che apre le gambe a cani e porci" e lo disse con una sottilezza e falsa bontà che a quel punto mi fecero perdere il controllo.
Scattai in piedi e urlai: "smettila, non hai il diritto di giocare con la mia sofferenza! Sei un figlio di puttana, non voglio vederti mai più, non dopo questa"
Afferrai il borsellino e lanciai sul tavolo con cattiveria tutte le carte di credito e i contanti che avevo, che gli appartenevano.
"Non voglio i tuoi soldi sporchi, me la caverò da sola" e mi diressi verso l'uscita in fretta mentre piangevo a dirotto.
"Allora lascia anche la casa, non è tua. Dici sempre così, non ne sarai capace e tornerai strisciando" era capace di rinfacciarmi anche quello che loro avevano abbandonato perché non abbastanza per i loro standard da ricconi.
"Te la libero entro domani, tranquillo" e uscii dalla villa lasciandomi tutto alle spalle.
Tutto ma non Paulo, che si fiondò da me ricordando la promessa di restarmi accanto qualunque cosa fosse successa.
"A che cazzo ho appena assistito Eva?" chiese ancora confuso dall'accaduto.
"Arrivati a questo punto credo di doverti spiegare alcune cose" e mi feci dare le chiavi della sua jeep in modo che potessi scaricare la tensione alla guida mentre avremmo discusso di questioni nascoste e oscure del mio passato.
Non potevo più far finta di nulla, ormai c'era dentro fino al collo.

Él ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now