Ilinx

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Che errore hai fatto oggi che ti ha insegnato qualcosa? -Carol Dweck

La mattina del 2 aprile mi svegliai con riluttanza, poteva essere un giovedì come tanti altri ma quello, quel giovedì avrebbe determinato la mia vita o la mia morte.
Come al solito Paulo preparò la colazione mentre io facevo una doccia nella speranza di sentirmi meglio, poi in accappatoio con i capelli ancora bagnati mi sedetti a tavola e addentai il pane tostato senza nemmeno aggiungerci la marmellata.
"Ti ammalerai" mi disse.
Lo guardai, era posato con la schiena contro i cassetti della cucina, le gambe incrociate e le mani strette attorno al marmo del piano cottura.
Era da togliere il fiato, tanto che sorrisi così spontaneamente che addirittura me ne sorpresi, e lo fece anche lui.
Quell'attimo di purezza dopo i giorni più difficili della nostra relazione, dove avevamo smesso non solo di parlarci ma anche di rivolgerci dei semplici sguardi interessati.
I nostri respiri non erano più sincronizzati, i gesti oramai erano diventati automatici, e quel momento, quel cazzo di momento mi fece mancare il fiato per un attimo.
Il modo in cui mi guardò mi riportò alla notte in cui tutto ebbe inizio..
Riuscii ad aprire gli occhi e inaspettatamente ritrovai davanti a me la figura di un ragazzo, appoggiato al muro perpendicolarmente alla porta alle mie spalle.
Mi scrutava quasi con timore e quando i miei occhi incontrarono i suoi abbassò immediatamente lo sguardo.
"Scusami pensavo di essere sola" sussurrai per attutire il colpo ma nonostante ciò il suono rimbombò tra le pareti spoglie di quel semplice gabinetto di un locale torinese come tanti altri.
Sussultò sul posto, come se l'acustica potesse effettivamente fargli del male.
Aveva paura, potevo vederlo, ma non capivo il perché.
"Non importa tranquilla, scusa me, sono nel bagno delle donne" rispose asciugandosi poi una lacrima che era caduta sulla sua guancia di cui non mi ero minimamente accorta prima.
Allora decisi di osservarlo meglio: indossava uno smoking in cui chiaramente non si sentiva a suo agio, i primi bottoni della camicia bianca aperti e la cravatta nella mano sinistra posata sul pavimento, non respirava, eravamo in due a non respirare lì dentro.
Guardai in alto e quando mi accorsi dell'assenza dei rilevatori domandai:
"Ti dà fastidio se fumo?"
Scosse la testa perciò afferrai una sigaretta e me la portai tra le labbra ma con le dita che ancora tremavano non riuscii ad accenderla.
Lo vidi alzarsi, prendere l'accendino al mio posto e far scattare la fiamma, un'azione di facilità estrema che però in quel momento mi risultava impossibile da mettere in atto.
"Grazie" inspirai a fondo lasciando che il sapore del tabacco invadesse i miei polmoni.
Si accomodò accanto a me e, mentre buttavo fuori il fumo in eccesso creando una nuvola intorno ai nostri volti gliela porsi ma mi fece cenno di no con la testa.
"Sai che stai danneggiando la tua salute?" intervenne dopo innumerevoli minuti in cui per calmarmi mi ero concentrata ancora una volta sul suono del silenzio, perché si, pare strano ma il silenzio ha un suono è solo che l'orecchio umano non lo avverte.
Si era esposto, il che significava che aveva iniziato ad avvertirmi come una figura amica e non più spaventosa.
Buono o cattivo segno?
"Preferisco questa al dover prendere altre cinque pasticche per mantenermi calma, infondo il danno è uguale" e mi girai per guardarlo.
Non lo avessi mai fatto...I
suoi occhi, le sue cavolo di iridi verde ghiaccio m'ipnotizzarono e dovetti appigliarmi a tutte le mie forze per continuare a seguire il suo discorso."
Di che pasticche stai parlando?" inclinò la testa di lato palesemente confuso.
"È diazepam, mi serve per calmare gli attacchi di panico e tenere a bada l'ansia cronica" tornai ad osservare il soffitto, non riuscivo a reggere il suo sguardo.Nessuno dei due parlò per un po' ma, allo stesso tempo, nessuno dei due accennò ad andar via.
"Che ci fai qui?" domandai spegnendo la cicca e gettandola nel cestino dell'immondizia più vicino.
"Lì fuori è tutto troppo serio e composto per me, non ci sono abituato, mi sembrava di star impazzendo" iniziò e poi lo lasciai sfogarsi, ne aveva bisogno.
"Ho solo 21 anni e mi sono ritrovato catapultato in questo mondo dall'oggi al domani, la mia ragazza sembra così contenta e a suo agio, si ferma a parlare con le mogli degli altri e a casa non vedeva l'ora d'indossare quello stupido abito rosso corto e stretto, che per carità le sta benissimo, ma la sua gioia nel farlo, nello spronarmi era insopportabile, veramente. Non riesco a capire se ho preso la decisione giusta o se sarei dovuto rimanere dov'ero e continuare la vita che mi ero scelto e con cui mi trovavo benissimo"
"Beh, almeno tu hai potuto scegliere, io mi son ritrovata in queste condizioni senza volerlo, e non lamentarti della tua fidanzata, è sempre meglio che stare da soli, e poi lo avrà fatto per te, spronarti intendo, magari sa che sei più restio a partecipare a certi avvenimenti e ti serve una piccola spinta. Fidati è bello essere amati per come si è piuttosto che essere scaricati alla prima difficoltà dopo anni di relazione" dissi anche un po' stizzita verso l'ultima parte.
Argomento molto delicato per me.
"Non ho capito alcuni termini ma va bene lo stesso, sei stata lasciata dopo tanto tempo che stavate insieme?" s'interessò.
Prima di rispondere pensai alle sue parole, aveva detto di non aver capito, beh era palese fosse straniero, si percepiva dal suo accento, che tra l'altro era meraviglioso, e poi, era giusto dargli tutta quella confidenza?Ma sì, dopo quella sera non ci saremmo visti mai più perciò..
"Già, dopo circa tre anni che stavamo insieme e uno e mezzo di convivenza se n'è andato perché sono pazza. Quando è stato? Sei giorni fa.. se oggi è sabato.." feci il conto con le mani come i bambini della scuola elementare facendolo ridacchiare.
"Domenica" intervenne.
"Esattamente, se n'è andato domenica" esclamai con un po' di frustrazione.
"Non mi sembri pazza, anzi" molto di consolazione detto da uno sconosciuto che non aveva idea di come mi comportavo quotidianamente.
"No lo sono, è vero. Sono una musicista che non fa altro che suonare e lamentarsi dalla mattina alla sera, oltre che studiare per laurearsi in quel santissimo conservatorio che non mi da tregua dall'età di cinque anni, e non ho ancora finito.." alzai le spalle quasi non curante, mi ero abituata ad essere esaurita.
"Beh, io ti ho ascoltata e penso tu sia bravissima, inoltre ti trovo una persona estremamente interessante" abbassò il tono della voce verso le ultime parole facendola diventare cupa, profonda.
"Mi fa piacere che lo pensi, sul serio" e ritornai a guardarlo quella volta senza distogliere lo sguardo.
Avrei voluto dirgli che aveva dei bellissimi occhi ma lo avranno fatto in milioni prima di me e odiavo apparire scontata perciò stetti zitta e continuai a tenere puntato il nero delle mie iridi nelle sue molto più chiare e cristalline.
Ragionai su come nel corso del tempo si fossero invertite le carte in tavola, prima era lui quello spaventato, ansioso, che non voleva parlare con nessuno, mentre con il passare dei giorni ero stata io ad abbassare le difese.
Nel frattempo Paulo ne aveva costruite di molto più forti e resistenti di quanto mi aspettassi.
Tutta apparenza? Probabile ma non mi faceva sentire al sicuro, avrebbe potuto attaccarmi da un momento all'altro ed era come se sentissi l'istinto di dovermi proteggere.
Provai ad ignorarlo, almeno per un po'.
Mi resi conto semplicemente scrutandolo che non avevo mai pensato al ruolo che avesse il destino nelle nostre vite, avevo sempre visto il fato in maniera positiva non considerandolo tale quando gli eventi negativi si facevano spazio nelle mie giornate.
"Vuoi fare l'amore con me?" mi chiese.
Sorrisi nuovamente, così genuinamente che sentii ancora una volta gli zigomi farmi male.
Accettai senza pensarci due volte seppur sapessi che non fossimo in ritardo, che il momento si avvicinava ed era tempo che mi prendessi le mie responsabilità, ma in realtà non me ne fregava assolutamente un cazzo.
Era un po' come se avessi bisogno di divagare con la mente, come se sapessi già cosa mi attendesse allora l'unico modo per allentare la sensazione di vuoto era fingere di non avere quella consapevolezza.
Poi ci vestimmo in fretta, indossando qualcosa di non troppo formale ma nemmeno così sbarazzino come era nostro solito.
Arrivammo in tribunale con l'affanno, ci guardammo intorno cercando di capire dove si trovasse l'aula e che direzione dovessimo prendere, eravamo troppo giovani e inesperti per esser lì.
Paulo riuscì a scorgere una figura amica, Martino, l'assistente dell'avvocato Giordano, allora lo raggiungemmo di corsa.
Lo salutammo e feci per entrare ma quando la mia mano si posò sul legno della porta scorrevole venne immediatamente bloccata dalla sua.
"Ragazzi, devo darvi una brutta notizia" esordì.
Non avevamo nemmeno iniziato..
Notai dal modo in cui giocherellava con la fede al dito, dalle sue labbra tremanti mentre pronunciava le parole, che stava cercando il modo di attutire il colpo, era qualcosa di grosso.
"Eva, non potrai assistere, ti sarà possibile entrare solo per testimoniare, per il resto ti toccherà restare qui con me"
E lo incassai quel colpo che sferrò, nonostante non fu per niente facile accettarlo.
"Lei signor Dybala può andare, si ricordi che non le è permesso usare il cellulare per comunicare con l'esterno, regole del giudice"
Non riuscivo a comprendere il perché di quelle eccezioni che in qualsiasi altra udienza non si sarebbero verificate, nemmeno lo stagista fu in grado di spiegarmelo.
Infondo era un avvenimento particolare tra persone particolari, non seppi mai cosa avessero fatto ma ero certa fosse merito loro e gli odiavo, quella mattina più che mai.
Ci sedemmo su quelle stupide sedie in plastica nera e ripassammo più e più volte la mia dichiarazione che era il punto cruciale.
Le prove erano chiare, il problema non erano altro che i nostri vissuti, il modo in cui gli avremmo esposti e soprattutto la risposta al contrattacco "nemico".
Mi avrebbero bombardata ma in quei mesi mi ero esercitata per resistere.
Tre caffè e sette pasticche mi fecero compagnia in quell'ora e mezza, poi una camomilla presa dalla macchinetta all'ingresso per calmare i nervi.
Le porte si aprirono, l'atmosfera si fece improvvisamente gelida.
Era il mio turno.
Prima di mettere da parte le mie cose mandai giù altre due pillole, così per sicurezza, poi mi alzai, sistemai la giacca e i pantaloni e finalmente ebbi il coraggio di sollevare il capo e ammirare la grande navata che attendeva di essere percorsa.
Ricevetti una pacca sulla spalla e mi feci forza camminando in avanti.
Vidi il mio lui, seduto tra i cappotti neri ai primi banchi, lo riconobbi dal collo ricoperto dalla peluria dei capelli che avrebbe dovuto tagliare a giorni.
Non si voltò e non distolse lo sguardo da un punto indefinito nella stanza, nemmeno quando gli passai accanto e tentai di richiamare la sua attenzione, il che m'insospettii.
Né un sorriso, né un espressione rassicurante.
Semplicemente il nulla più assoluto, e non me l'aspettavo.
Mi fecero accomodare, giurai di dire la verità e solo la verità ed iniziò l'interrogatorio.
Per fortuna la prima parte era a mio favore, con domande che avevamo già stabilito.
"Signora Benedetti, conferma di esser figlia di quest'uomo e questa donna seduti di fronte a lei?"
Annuii e confermai.
"E' altresì vero che la sua famiglia non le ha reso la vita facile?"
"Assolutamente"
Poi venne il momento di raccontare gli affronti subiti e gli obblighi a cui avevo volutamente scelto di non sottopormi nel corso degli anni e lo feci con una tranquillità che mi stupii.
Riuscii addirittura a guardare negli occhi quel verme schifoso sentendomi sicura di me stessa, ed era una grossa novità per quanto mi riguardava.
"Signor Giudice, l'accusa non ha niente da aggiungere" e il mio avvocato tornò al suo posto affidandomi completamente alla difesa di quelli stronzi.
"Signorina, da quanto l'ho sentita dire lei nega che ogni singola azione sia stata svolta di sua spontanea volontà e che al contrario le sia stata imposta, corretto?" iniziò.
"Corretto, sì"
"Sono dunque altrettanto falsi i video delle telecamere di sicurezza che la mostrano nei giorni 23 marzo 2012 e 15 settembre 2014, nel primo caso in cucina mentre nel secondo sul porticato posteriore, mentre tentava di porre fine alla sua vita con l'uso di medicinali in endovena rubati della stanza di suo nonno morente? In quel caso ha fatto tutto di testa sua o sbaglio? E' per caso stata obbligata?"
Sentii il cuore fermarsi e riprendere a battere più e più volte, nessuno aveva mai menzionato l'esistenza di filmati che provassero i miei gesti.
"Non posso negarlo ma il mio atteggiamento, in relazione agli avvenimenti dei mesi precedenti, era comprensibile" risposi distaccata, come se avessi previsto la sua insinuazione.
"Si riferisce al parto di sua figlia?"
"Mi riferisco all'allontanamento forzato da mia figlia"
Lanciai uno sguardo verso Martino e capii di star andando bene, ottimo, potevo farcela.
"Facciamo chiarezza, lei in realtà non è stata portata a drogarsi dal comportamento dei suoi genitori perché, come sappiamo, non ha mai smesso"
Co...cosa?
"Non ho mai più assunto ossicodone da allora, cosa sta insinuando?" chiesi.
"Abbiamo qui diverse ricevute che mostrano come il quantitativo di pillole acquistate sia nettamente maggiore rispetto a quelle prescritte, non avrà abusato di oppioidi ma l'ha fatto di diazepam. Per altro, non troppo tempo fa, le sono state trovate tracce di ecstasy nel sangue a seguito di delle analisi fatte in pronto soccorso dove è stata portata dal suo fidanzato a causa di un malore. Si rende conto della gravità delle sue azioni? Come può pretendere che le venga affidato un minore?"
Non pensavamo lo tirassero in ballo, anche perché gli si sarebbe potuto ritorcere contro, ma a quanto pareva avevano le spalle coperte.
"Mi scusi, credo di essermi sbagliato. Volevo dire suo marito, l'uomo che nemmeno 30 giorni dopo ha sposato. Bell'escamotage per ottenere maggior garanzia durante questo processo"
Puntavano davvero in basso..
"Obiezione: l'avvocato fa insinuazioni non comprovabili"
"Accolta. Continui Signora Benedetti, la ascoltiamo"
Oh wow, inaspettatamente avevo ancora diritto di parola.
"Ho passato l'intera serata al fianco di quello che al tempo era ancora il mio compagno, eravamo a casa dei miei genitori per una festa e.." non mi lasciò terminare.
"Come mai era lì seppur esistesse un'ordinanza restrittiva per altro richiesta da lei stessa?"
Feci per dire qualcosa ma non uscii il minimo suono dalla mia bocca.
"Abbiamo terminato qui signor giudice"
No, nonno, non poteva finire così.
"Io posso.. posso spiegare, la prego" provai a dire ma venni gentilmente invitata ad accomodarmi fuori la prima, la seconda e la terza volta finché la quarta venni presa per le braccia dalle guardie che sorvegliavano l'ingresso e portata via di lì.
E finalmente lo vidi alzarsi dal suo posto e correre verso di me, ma non lo lasciarono uscire, facendo si che sia la porta che il suo volto, incupito dalla preoccupazione, scomparissero dietro le assi di legno.
E anche lì ebbi un dejà-vu.
"Credo che sia ora che io vada" mi alzai dirigendomi con nonchalance a recuperare le mie cose.
"Mi ha fatto piacere passare del tempo con te.." e si vedeva benissimo che avrebbe voluto aggiungere il mio nome alla fine della frase.
Avrei potuto tacere ancora e mantenere la suspence ma purtroppo la targhetta in argento placcato oro attaccata accanto al citofono della mia porta parlava chiaro."
Eva, mi chiamo Eva Benedetti" buttai fuori mentre infilavo il cappotto.
Un sorriso spontaneo si fece spazio sul suo volto illuminandolo.
Feci dei passi verso l'uscio e quando fui fuori mi raggiunse dicendo:
"Quando vuoi sono qui, Eva"
Feci salire l'ascensore per poi scendere in portineria e mentre lo aspettavo mi girai e domandai:
"Non hai intenzione di presentarti? Non mi piacciono le cose a senso unico"
Le porte si aprirono e fui costretta ad entrare prima che si richiudessero.
"Sono Paulo Dybala, molto lieto" e il suo volto perfetto si dissolse piano dietro le barre di metallo.
Passarono minuti interminabili, quelli in cui si decise la sentenza, i più strazianti della mia intera vita.
Iniziai a vedere la gente abbandonare la sala e con il cuore in gola attesi che qualcuno mi desse notizie.
L'avvocato chiamò in disparte il suo stagista, gli disse qualcosa e lui si portò una mano alla bocca, poi improvvisamente si palesarono alla mia vista i suoi occhi, lucidi più dei miei.
Due erano le opzioni: o si trattava di gioia o d'immensa tristezza.
"Ti prego fammi sapere qualcosa, non ne posso più" lo supplicai.
Mi guardò in una maniera che non avevo mai avuto modo di sperimentare prima, scosse il capo e sussurrò con voce straziata: "mi dispiace".
E a quel punto non riuscii a trattenermi, caddi sulle ginocchia soffocando un urlo estremamente forte e doloroso.
Le sue braccia mi avvolsero e mi riportano sù nel tentativo di sorreggermi.
"Hanno deciso che non solo non saremo i genitori affidatari, ma lei non potrà mai sapere di te, lo psicologo dice che sarebbe un trauma troppo grande" aggiunse.
Presi a pugni il suo petto per sfogarmi, poi strinsi forte la sua giacca tra le mani.
Lo odiai per avermelo detto in quel modo ma col senno di poi capii che non avrebbe potuto fare altrimenti, non sapeva come comportarsi, non sapeva gestirlo, come non lo sapevo nemmeno io.
Fu così che decisi di allontanarmi e gli chiesi per favore di lasciarmi sola.
Corsi via, il più lontano possibile, finché non mi ritrovai tra le mura spoglie del mio vecchio appartamento, dove ero entrata grazie alla chiave di riserva che tenevo in un posto segreto che nessuno conosceva, seduta sul pavimento con carta e penna tra le mani, il flacone di pillole e una bottiglia.
Iniziai a scrivere..
"Caro Paulo,
o sarebbe meglio dire amore della mia vita, perché è questo che sei, e se lo sto finalmente ammettendo significa che sei diventato davvero la parte più bella e importante di quello che sono i miei giorni.
Non spaventarti, te ne prego, so che quello che vedrai ti manderà in panico ma non tentare di salvarmi, non è più tempo che io sopravviva, rispetta questa mia volontà.
Lo sai, non ho paura di morire, te l'ho confidato, e so che vorresti che facessi lo stesso se si trattasse di te.
Mi vergogno da morire per non avere avuto il coraggio di darti un ultimo bacio, di guardarti un'ultima volta negli occhi, ma soprattutto di non averti detto quanto ti amo, perché ti amo veramente tanto.
Questa sarà l'unica cosa che ti resterà di me insieme alle nostre foto sulla galleria del tuo iPhone e le stupide cose materiali di cui amavo circondarmi.
Prima o poi smetterai di sentire il mio profumo, di ricordare com'era fatto il mio corpo, le mie curve più o meno prosperose, e t'innamorerai di quelle di qualcun altro.
Fallo Paulo, il tuo cuore avrà bisogno di battere ancora più forte di quanto batte adesso per me, e so che succederà, semplicemente non frenarti, anzi lasciati andare.
Te lo meriti, ti meriti il mondo.
Ci sarebbero tante tante cose che vorrei dirti ma mi mancano le parole.
Mi dispiace ma devo portarle via con me, non passare il resto dei tuoi giorni a pensare di cosa si potesse trattare perché quello che dovevo necessariamente farti sapere lo conosci già perfettamente.
È ora che io vada mio amatissimo Paulo ma, un'ultima cosa..
Vorrei solo sapessi che, ad ogni modo, mi hai salvata.
Ti amo infinitamente, tua per l'eternità
Eva"
Presi la scatola, la aprii, misi tutte e 35 le pasticche in bocca e le feci scivolare lungo la gola con l'acqua.
Mi accasciai sul pavimento con le lacrime che continuavano a sgorgare e prima che potessi accorgermene mi addormentai, con una serenità inaspettata, lasciando che per la mia mente vagassero i meravigliosi momenti vissuti con l'unico e vero uomo della mia vita.

Paulo

La chiamai ma non rispose, nessuna delle dodici volte.
Capii che lasciarle dei messaggi in segreteria fosse inutile perciò iniziai a cercarla.
Non era nei posti che abitualmente frequentava con Anna, non era in conservatorio a sfogarsi sul pianoforte e non era nemmeno a casa dove aveva fatto intendere si stesse recando.
Restai sul pianerottolo diversi minuti ad osservare le scale immaginando gli scenari peggiori, poi per puro caso udii un rumore e nel tentativo di capire da dove arrivasse notai la porta leggermente aperta dell'appartamento di fronte e decisi d'intrufolarmici.
"C'è nessuno?" domandai ad alta voce.
Sapevo fosse vuoto ma poteva, a nostra insaputa, esser stato affittato.
No, non c'era anima viva, l'unica cosa che notai fu una penna, una biro blu ai miei piedi, che probabilmente era caduta dal porta penne posato ancora sul mobile dell'ingresso.
Quanti ricordi avevamo io e la mia Nena in quelle quattro mura, era stato il nostro posto felice per tante lunghe giornate.
Tutto normale finché non guardai un po' più in là e vidi una donna stesa a terra: tailleur blu notte, capelli mossi.
Cazzo, si trattava di..
"Eva" mi fiondai verso di lei.
Non si muoveva e dalla bocca fuoriusciva uno strano liquido biancastro, provai a scuoterla ma nulla, allora estrassi immediatamente il cellulare dalla tasca posteriore dei miei jeans e chiamai il 118.
Poi notai uno strano foglio ripiegato che giaceva al suo fianco..

Él ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now