...il muro di Berlino

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Piano, nel silenzio coperto dai nostri sospiri e dalle nostre risate, si fece buio, il giorno lasciò spazio alla notte e il cielo si riempì di stelle.
"Quante ore siamo stati su questa panchina?"chiesi quando mi accorsi dei lampioni che lentamente si accendevano alle nostre spalle.
"Sette o otto" fece spallucce.
"Non abbiamo pranzato" dissi ma era più un pensiero tra me e me.
"Beh, siamo ancora in tempo per cenare però"
Capii bene fosse una proposta ma mangiare era l'ultima cosa che avevo in mente di fare.
"Sono troppo stanca, voglio solo stendermi e dormire"
Erano stati giorni difficili, pieni di ansia e preoccupazioni, avevo bisogno di rigenerarmi e quale momento migliore di ora che finalmente potevo avere un po' di pace per farlo?
"Posso azzardare un'offerta?" chiese dopo essersi guardato attorno.
Annuii, infondo non poteva essere qualcosa di tanto tragico.
"Non ho le forze per guidare e fare notte, domani ho una partita e devo essere riposato altrimenti il mister mi ammazza, che ne dici se ci fermiamo a dormire in quell'hotel che si vede proprio dietro di me?"
Devo ammettere che titubai, ci avrebbero visti entrare insieme e avrebbero tratto conclusioni sbagliate.
"Paulo, in tutta sincerità non credo sia una buona idea" mi morsi il labbro inferiore leggermente in imbarazzo.
"Prendiamo due camere separate, sta' tranquilla"
Si ma non era quello il problema..
"Senti, te lo spiego una volta per tutte così facciamo prima. Mio padre oltre ad essere uno stronzo, bastardo, pezzo di merda come avrai già intuito, è una persona di estrema rilevanza che si destreggia tra Torino, Milano, Roma, lo conoscono dappertutto, e inoltre è un gran opportunista, se dovessero paparazzarci e lui dovesse vedere le nostre foto sarebbe capace di riavvicinarsi a me solo per trarre profitto da te, quindi per favore, evitiamo" cercai di essere più calma e pacata possibile.
Era una questione molto delicata e non mi andava di parlare già da subito di tutti gli inciuci e i problemi che la sua fama mi aveva causato nel corso dei miei miseri 20 anni di vita.
"Non ci noterà nessuno, non sono così famoso come credi, vengo dal Palermo, non mi riconoscono ad ogni angolo della strada come succederebbe a Totti" e aveva ragione anche lui ma non avevo intenzione di demordere.
"Appena il tuo nome viene associato a quello della Juventus sei sotto i riflettori ed entri in un circolo mediatico di cui non sei consapevole, non mettermi nei casini per favore" gli afferrai un braccio costringendolo a guardarmi negli occhi.
Solo perdendosi nelle mie iridi avrebbe capito quanto fosse importante per me rimanere nell'anonimato e non essere scoperta.
"Ti prego Eva restiamo insieme 'sta notte, anche se dovesse essere l'ultima, chi se ne fotte"
Le sue parole mi fecero tremare.
Non volevo tornare indietro e ricadere nella trappola dei miei, non per l'ennesima volta.
Mi stavo sforzando di essere diversa, di vivere un'altra vita lasciandomi tutto alle spalle ma non era per nulla facile, d'altronde "Le ossa si rompono, gli organi cedono, la pelle si lacera. Possiamo ricucire la pelle e riparare il danno, alleviare il dolore. Ma quando la vita va in pezzi, quando noi andiamo in pezzi, non c'è una scienza, non ci sono regole scritte, possiamo solo camminare a tentoni".
Pensavo spesso a quanto la sofferenza mi avesse cambiata, non tanto fuori quanto dentro, alle troppe volte in cui avevo dovuto avere la forza di rialzarmi, e al contempo pensavo a tutte quelle in cui invece mi sarei semplicemente lasciata manovrare pur di non mettere il punto con le persone a cui andava messo.
Che poi in realtà non si trattava nemmeno di quello, alle persone non si possono mettere punti perché inevitabilmente, in un modo o nell'altro, un giorno torneranno e si sarà in grado di affrontarle soltanto se saranno stati tagliati i ponti con noi stessi del passato.
Io lo avevo fatto?
Non del tutto, parte di me era ancora rinchiusa in quella stupida ragazzina che eseguiva gli ordini senza obbiettare ma l'altra metà era quella travolgente, che ardeva dalla voglia di prendersi la propria vita, di poterla afferrare e stringere anziché sfiorarla con un dito e accontentarsene.
"Everyone is gonna dye e nobody is gonna remember you so.. fuck it" sussurrai ricordandomi quelle parole ascoltate da qualche parte probabilmente mezza fatta e ubriaca ma che mi avevano segnato talmente tanto da ricordarle per il resto della vita.
"Cosa? Scusami ma non capisco l'inglese" rispose visibilmente confuso facendomi ridacchiare.
"Non preoccuparti niente d'importante" scossi il capo ancora distratta e persa nel pensiero di quello che sarebbero potuti essere il resto dei miei giorni fregandomene di tutto e tutti.
Vedevo me, vestita da sera, correre in un prato mentre si azionavano gl'irrigatori, poi vedevo lui venirmi in contro e prendermi in braccio per poi cadere entrambi sull'erba morbida e bagnata.
"Non vorrei distrarti ma l'aria è più fresca e soprattutto inizia a farsi tardi" e per forza di cose le immagini che avevo in mente scomparvero e tornai a concentrarmi sulla sua figura seduta ancora di fronte a me.
"Si dai, andiamo in quel cazzo di albergo" mi alzai e gli afferrai la mano correndo verso la struttura con il rischio d'inciampare da un momento all'altro per quanto i piedi s'intrecciavano velocemente gli uni con gli altri.
Ci fermammo vicino all'ingresso guardandoci come a chiederci se fossimo completamente sicuri di ciò che stessimo facendo, anche in quel momento avrei voluto baciarlo ma non potevo rovinare tutto, me lo dovetti far passare.
Ero adrenalinica, euforica come se mi fossi appena sniffata una dose, cosa che non facevo da un bel po' e, sinceramente, non ne avrei mai più avuto la necessità se mi fossi continuata a sentire così per il resto della vita.
Stavo non bene ma benissimo.
"Salve, avremmo bisogno di due camere singole per la notte" esordì una volta entrati e appostatoci davanti alla giovane donna che ci aveva accolti.
"Mi spiace ma è tutto pieno, ci è rimasta solo una suite imperial con letto matrimoniale, è la più costosa" ci squadrò da capo a piede, forse per come eravamo vestiti dato che quello era un posto di lusso.
Come se il nostro problema fossero i soldi.
"La prendiamo" tirai fuori il bancomat dalla borsa e lo posai davanti agli occhi increduli della ragazza.
"Non vi ho nemmeno detto il prez.." non la lasciai terminare.
"Lì troverà tutto il denaro necessario, non si preoccupi, non badiamo a spese" sorrisi sfacciatamente lasciando senza parole sia lei che Paulo che spalancò la bocca dandomi una leggera gomitata.
"Non lo hai fatto sul serio" disse stupito una volta in ascensore.
"Invece si" sventolai le chiavi della camera davanti ai suoi occhi per fargli vedere che era tutto vero.
Aveva bisogno di metabolizzare, lo comprendevo, chiunque fosse con me e mi vedesse prendere iniziativa non realizzava immediatamente.
Ero come un uragano, prendevo tutto e trascinavo via lasciando spiazzata la gente, mentre lui.. beh, lui era come il mare, calmo, come quando non c'è vento, che non da il tormento.
"Oddio questo posto è stupendo" esclamò una volta entrati nella nostra suite.
"Non sei mai stato in una camera di lusso?" il mio non era un tentativo di fare di tutta l'erba un fascio ma poteva decisamente permetterselo.
"No, queste cose non mi sono mai interessate, ho sempre speso tutto per migliorare il tenore di vita della mia famiglia e della mia ragazza" disse mentre si dirigeva verso il materasso per poi buttarcisi su di peso.
"È così comodo che ci farei un angelo di neve" esclamò dopo aver notato il mio silenzio.
A prescindere dal fatto che quella specie di metafora non aveva assolutamente senso, la mia mente era persa ancora tra le parole che aveva pronunciato poco prima.
Il fatto che avessi estratto quella carta senza pensare quando lui invece faceva dei programmi e soprattutto dei conti per poter gestire il denaro al meglio, lo avevo fatto con così tanta leggerezza che.. oh mio Dio, sembravo mio padre.
"Io avrei bisogno di fare una doccia, vuoi andare prima tu oppure.." si tolse la felpa con una facilità disarmante.
Soltanto io ci mettevo tre ore a spogliarmi perché puntualmente il tessuto s'incastrava tra gli orecchini, i capelli ecc..?
But that doesn't matter.
"Nono vai pure, io faccio con calma dopo" feci un sorrisetto poi mi distrassi ammirando i dettagli in oro vicino allo specchio di fronte al letto.
Abbandonai la mia borsa sul mobile in marmo avorio, sfilai le Air force dai piedi e mi sedetti a gambe incrociate iniziando a scrollare sul cellulare con molta noia.
Non avevo nemmeno un libro per poter leggere e svagare la mente, ero costretta a riempirmi la testa di baggianate a causa dei pensieri stupidi e incontrollati.
Non avrei mai imparato a usare il digitale, iBooks non faceva per me, preferivo il cartaceo.
Avevo bisogno delle mie pillole, non ne avevo presa nemmeno una quel giorno e ciò mi agitava.
Ravanai inutilmente nelle mie cose, non le trovai, probabilmente le avevo dimenticate in auto.
Mio Dio, ci mancava solo quello.
Mi guardai le mani che iniziarono a tremare leggermente, sentivo il panico salire dentro di me meno lentamente del solito.
Si espandeva nel mio corpo con tale velocità che quasi faceva paura.
Camminai a tentoni verso la porta del bagno, che lui aveva ovviamente chiuso a chiave, e provai a bussare per richiamare la sua attenzione.
"Paulo ho lasciato il diazepam nella tua macchia, ne ho bisogno, ti prego puoi andare a recuperarlo?"
Non ricevetti risposta allora incominciai a battere con i palmi aperti ma nulla, lì dentro sembrava non esserci anima viva.
Nel frattempo il mio sguardo si sfocava e le gambe iniziavano a diventare talmente molli da non farmi reggere in piedi.
"Ti prego Pau, ti prego" le lacrime iniziarono a scivolare lungo le mie guance e al contempo mi lasciai andare contro il legno scuro arrivando in men che non si dica con le ginocchia al suolo.
Pochissimi attimi dopo, forse addirittura millesimi di secondo, sentii lo schiocco della serratura e le sue braccia bagnate avvolgermi completamente mentre si chinava su di me.
"Corro a prenderle ma tu promettimi di stare calma e non fare cazzate" disse con voce tremante mentre mi accarezzava gentilmente i capelli.
"Si ma portami a letto per favore" e in men che non si dica mi sollevò con grande facilità e mi posò sul materasso.
Chiusi gli occhi nel tentativo di rilassarmi e mi addormentai svegliandomi poco dopo con lui al mio fianco ancora fradicio e in accappatoio.
"Dio mio, quanto ho dormito?" domandai tirandomi su immediatamente.
"Pochi minuti, forse 10, ma ti sono bastati per tranquillizzarti" alzò l'angolo sinistro della bocca contento che stessi meglio.
"Si chiamano attacchi per questo, durano poco" mi alzai e andai a prendere le pillole che buttai immediatamente giù con il bicchiere d'acqua che aveva riempito per me.
"Va bene, io torno a sciacquarmi i capelli che sono ancora un po' schiumosi, por favor, cuidado" mi diede un buffetto sulla guancia e, soltanto dopo avermi visto annuire, si rintanò nuovamente nella doccia.
Non mi piaceva essere vista in quelle condizioni nonostante si trattasse veramente di un tempo molto ridotto, odiavo essere compatita ma sapevo che da lui avrei avuto solo supporto e non compassione.
A distrarmi dai miei pensieri fu il suo telefono che squillò proprio al mio fianco.
"Oi, ti stanno chiamando" urlai per farmi sentire.
"Rispondi pure" alzò a sua volta la voce nonostante potessi udirlo benissimo anche normalmente.
"Non vuoi nemmeno sapere chi è?" chiesi.
Era suo diritto e io volevo capire con chi avrei parlato.
"No"
Bene, solita testa di cazzo.
Premetti il tasto verde e mi portai il dispositivo all'orecchio esclamando il solito: "pronto?"
Oddio forse erano argentini e non avrebbero capito, che stupida.
"Anto? Eres tu?" una voce femminile che non avevo mai sentito prima.
"No, soy un amiga de Paulo"
Non lo avessi mai detto, iniziò a strillare pronunciando parole incomprensibili costringendomi ad alzarmi ed entrare in bagno per passargliela e magari calmare le acque.
"Giuro che non guardo ma io non ci sto capendo nulla" portai una mano sugli occhi in modo da non vederlo nudo non appena varcata la soglia della porta.
Quando l'afferrò feci ritirata e ritornai al mio posto.
"Dolores por favor, soy tío, cállate" disse.
Bene, avevamo scoperto nome e grado di parentela.
Come poteva essere già zio alla sola età di 21 anni? E soprattutto, perché lei aveva un cellulare? Sembrava adulta o quantomeno ragazza.
"Scusami era mia nipote, ha sclerato perché pensava fossi la mia amante" alzò gli occhi al cielo e si stese accanto a me sbuffando.
"Non preoccuparti" risposi soltanto.
Mi sentivo un po' a disagio a dire il vero, chissà cosa avesse pensato di me.
"Ha 16 anni, è figlia di mio fratello maggiore, ha un gemello di nome Lautaro e sono dei gran rompi palle" spiegò facendomi ridere.
"Scommetto che a quell'età lo eri anche tu, non che adesso sia tanto diverso" lo punzecchiai.
Mi resi conto dal suo sguardo che probabilmente gli era mancata questa versione di me ed ero ancora più felice di fargliela riassaporare.
Alzò le mani dandomela vinta, ci avevo preso.
"Tengono tanto ad Antonella, poi ha solo 19 anni, è molto vicina a loro"
"Scusami, lei è più piccola di me?" ero a dir poco shoccata.
Sembrava così composta e perfetta per essere solo una diciannovenne.
"Si" e non aggiunse altro perciò decisi di non farlo nemmeno io.
"Hai detto di avere un match domani giusto?" cambia totalmente discorso.
Annuì precisando poi fosse alle 18.
"Pensi di segnare?" domandai ancora.
"Credo proprio che lo farò, mi riesce bene" si girò verso di me ma decisi di dargli le spalle facendolo sospirare.
Quando si parlava di calcio non potevo guardarlo negli occhi, lo avrei spogliato da ogni indumento che rivestiva la sua anima e non ero ancora pronta a farlo.
"Mi guarderai?" chiese posando le dita sulla mia schiena per spostare una ciocca di capelli che ricadeva su di essa.
"Certo" era il minimo che potessi fare.
"Promettimelo" sussurrò.
"Promesso"
E lo guardai sul serio la sera dopo, lo vidi splendere e segnare proprio come solo un gioiello sa fare, e lui lo era, sia in campo che fuori.

Él ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now