Io e te, nessuno

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"Nena, che ci fai sveglia a quest'ora?"
"Non riesco a dormire"
La mia intenzione non era di certo disturbarlo, anche se accendendo l'abat-jour e mettendomi a leggere il libro che tenevo sul comodino avrei dovuto immaginare che succedesse.
Erano appena le tre, un orario un po' insolito per svolgere qualsiasi attività.
"Sei in ansia per questa sera?"
Beh, a giudicare dall'enormità di pasticche che avevo preso dalle 22, ora in cui eravamo andati a dormire, sino a quel momento direi di sì, tanto.
"Abbastanza, ci saranno persone che non vedo da anni e che non mi fa per niente piacere dover rincontrare"
Ero certa di non potercela fare.
Allungai la mano verso il flacone.
"Dovresti smetterla, tra poco finirai in overdose"
"E tu non dovresti permetterti di giudicarmi, so quello che faccio"
In realtà no, non lo sapevo, o meglio non ne ero cosciente.
Colpa della dipendenza, credevo di esserne uscita ma l'incontro con mio padre aveva cambiato tutto.
Negli ultimi quattro giorni ne avevo decisamente abusato, e non si parla di qualche milligrammo ma di circa due pillole in più a dose, ne avevo assunte dieci soltanto quella notte, figuriamoci.
Sapevo dove mi avrebbero portata a lungo andare come sapevo anche che non mi sarei fermata se le cose non fossero migliorate.
"Ho bisogno di un drink" e mi alzai di scatto correndo in cucina, completamente fuori controllo.
"Cosa? Adesso?"
Sì, aveva capito benissimo.
"Ti ho appena finito di dire di non giudicarmi. Voglio ubriacarmi, fare sesso e poi ubriacarmi ancora, l'importante è togliermi dalla testa tutte queste paranoie"
Presi il Campari dalla dispensa, il prosecco dal frigo e gli mischiai in un bicchiere, non me lo avrebbe impedito.
"Possiamo fare l'amore a ripetizione, tutte le volte che vuoi, ma per favore torna di là con me, lascia perdere, non farti questo"
Capii fosse realmente preoccupato, glielo leggevo in faccia, nei suoi occhi c'era terrore, ma presi comunque un bel respiro e mandai giù come fosse uno shottino, non curandomi di quello che stesse provando in quel momento o di quello che provassi io a guardarlo stare così.
"Sei egoista" proferì imbronciandosi.
Poi vidi che lungo il suo volto scese una lacrima, scivolò così lentamente che mi fu difficile evitare di seguirla con lo sguardo e di conseguenza avere il tempo di assorbire il suo dolore così che si trasformasse anche nel mio.
"Non puoi farmene una colpa, sapevi cosa ti aspettava" e rispose semplicemente con "hai ragione".
"Devi lasciare che mi faccia del male in modo che possa imparare dai miei errori, se ci pensi non tieni i bambini intrappolati nel loro passeggino per non fargli camminare soltanto perché c'è il rischio che possano cadere le prime volte"
Un esempio insensato, le mie non erano prime volte.
"Non mi lasci via d'uscita"
Fece un cenno con il capo e s'incamminò verso la camera da letto, doveva riposare altrimenti non avrebbe avuto le forze per affrontare la giornata, come tutte le persone normali.
Tutte tranne me, che per l'appunto normale non lo ero affatto.
Inaspettatamente però crollai distesa con la parte superiore del corpo sulla penisola della cucina, era colpa dei farmaci, il prezzo da pagare se volevo restare calma.
Mi sentii scuotere dolcemente le spalle e quando aprii gli occhi avevo già dimenticato qualunque cosa fosse successa nelle ore precedenti, almeno finché non notai l'espressione che aveva dipinta in faccia e il bicchiere rovesciato alla mia destra.
"Scusami, sono un disastro"
"No, non preoccuparti" e mi lasciò un bacio sulla fronte.
Si prese cura di me, preparò il caffè con un goccio di limone in modo da alleviare almeno un po' il mio mal di testa e tostò il pane spalmandoci sù un po' di burro d'arachidi sapendo fosse il mio preferito.
Mi conosceva meglio di chiunque altro, indubbiamente.
"So che non è il momento per le notizie shock ma sarebbe peggio se lo scoprissi da sola"
Oh benissimo, la mattinata iniziava con il botto.
"Nahuel è in città, mi ha chiamato ieri, ha detto che passerà per pranzo"
"Quello stronzo? L'ultima volta che l'ho visto stavo per staccargli le palle"
Odioso, maschilista e ipocrita del cazzo.
"Ecco, motivo per cui vi ho tenuto lontano tutto questo tempo, ma è ora che affrontiamo i nostri problemi e ristabiliamo la pace"
Sul serio?
"Vi siete messi d'accordo per stravolgere la mia vita nelle ultime 24h? Per capire eh"
Non seppi per quale stupida ragione gli sembrò il periodo perfetto per fare una cosa del genere ma alla fine accettai la realtà dei fatti, infondo il suo migliore amico infame sarebbe stato l'ultimo dei miei problemi quel giorno.
"Oggi ho solo scarico dopo la partita di ieri, in due ore dovrei essermi liberato, se passi a prendermi andiamo a vedere qualcosa di carino per l'evento dei tuoi"
Seppur la motivazione del nostro shopping mi scocciasse avevo bisogno di comprare un abito elegante che andasse bene anche per il mio prossimo concerto con Anna e Cosimo.
"Mi porti da Louis Vuitton?"
"Sbagliato, ti toccherà Dolce&Gabbana"
Seppur odiassi i due stilisti con tutto il mio cuore, per i loro modi a dir poco grotteschi, non mi tirai indietro, fare un giro nei negozi di lusso era sempre un piacere.
"Okay fidanzatino milionario, sarò lì per le 11 e ci faremo trovare a casa per le 13, così il simpatico non potrà lamentarsi"
Il fatto che avessi dormito rannicchiata su un tavolo per ben cinque ore mi aveva distrutta, avevo male ad ogni singolo muscolo dalla dorsale in sù, braccia comprese.
"Avrei dovuto portarti a letto, quanto è forte il dolore in un range da 1 a 10?" disse quando mi vide storcere il naso come reazione a un involontario movimento del collo che mi fece vedere le stelle.
"Non vorrei esagerare ma tra il 6,5 e il 7"
Sì, doleva un bel po'.
"Vieni stupida, ho tempo di farti un massaggio"
Mi aiutò a togliermi la maglietta e appoggiarmi su un cuscino senza che peggiorassi la situazione, se avessi anche solo mosso la scapola un centimetro in più del dovuto probabilmente sarei finita a piangere.
"Se non risolviamo ti porto con me e ti faccio vedere da qualcuno"
Esagerato, stavo bene.
Le sue morbide mani si mossero con gentilezza calcando i miei muscoli aggrovigliati, era piacevole ma al contempo un po' fastidioso in alcuni punti.
"Quest'olio ha un buon odore, perché non lo usiamo mai quando.."
"Perché non abbiamo mai tempo per poterci rilassare, lo facciamo sempre troppo in fretta"
Aveva ragione, avevamo così tanta voglia di amarci e buttarci l'uno addosso all'altra che non ce la sapevamo prendere con comodo e donarci un po' di meritata pace.
"Ti prometto che appena troviamo un attimo scappiamo dallo stress della vita di tutti i giorni e ci dedichiamo completamente a noi"
Ce la meritavamo una vacanza dopo star affrontando letteralmente l'impossibile.
"Dovremmo aspettare l'estate, finché non si chiude il campionato non ho tregua"
Già..
Il fatto che facesse un lavoro che non gli permetteva di prendere ferie, permessi, quando aveva bisogno di staccare con la mente e stare un po' con le persone che amava era deleterio, ecco perché a volte non sopportava l'ambiente.
Visto quanto veniva pagato alla gente non saltava minimamente in mente che anche lui potesse star implodendo seppur non lo desse a vedere, come se i soldi facessero la felicità.
Certo, talvolta la facevano ed era innegabile ma ciò che desideravo di più al mondo era che le persone si accorgessero del fatto che lo conoscevano marginalmente, che non si trovavano in casa con lui giorno e notte, non erano partecipi dei suoi problemi.
Io lo ero, potevo capirlo tanto quanto lui poteva capire me, e odiavo chiunque si permettesse ad aprir bocca su di noi e sulle nostre storie, recenti e passate.
Nelle ore che passai da sola, in cui non avevo granché da fare se non ripassare qualche studio al pianoforte, finii "Il buio oltre la siepe", il romanzo che stavo leggendo in quel periodo, e prima di uscire mi preparai un sandwich per evitare di collassare nei camerini, non ero brava a tenere a bada la fame.
"Bello far guidare sempre me, ci hai preso l'abitudine vedo" lo sfottei mentre ci dirigevamo verso via Roma.
"Mi piace stare comodo"
Non che mi dispiacesse farlo anzi, semplicemente adoravo prenderlo in giro.
Il fatto che ci mettemmo solo mezz'ora a scegliere il mio abito e un'ora e un quarto per il suo completo dimostrava quanto fosse egocentrico e meticoloso.
Non riuscivamo a capire cosa volesse: niente di normale, qualcosa d'innovativo ma non troppo, non la solita cosa che si vede in giro.
Alla fine era stato colpito da un pantalone in velluto nero e per fortuna riuscimmo ad accompagnarlo a una giacca dello stesso tipo altrimenti sarebbe stata la fine, i commessi non ne potevano più, quei poveretti volevano soltanto mollarlo e andare a fare la loro amata pausa pranzo.
Per fortuna riuscii a trascinarlo fuori prima che notasse qualcos'altro che gli sarebbe potuto piacere o interessare.
Io invece non appena vidi quel meraviglioso vestito verde con top bustier e morbido drappeggio verso la fine me ne innamorai alla follia, sapevo di sceglierlo ancor prima di provarlo, per altro mi stava benissimo, evidenziava perfettamente tutte le mie forme senza però esagerare.
"Hola amigo"
Era arrivato il tragico momento.
"Hola Eva" mi guardò e seppur non volessi ricambiai lo sguardo con altrettanta fermezza.
Eravamo immobili nello stesso identico punto della scorsa volta, dietro al divano prima del muro che separava il soggiorno dalla cucina.
"Senti scusami, quella sera sono stato davvero una mierda"
Ma lo fermai prima che potesse sparare altre cazzate.
"Non m'interessano le tue parole, so che è stato Paulo a dirti di farlo. Siete amici, non posso che accettarlo, ma questo non significa che tu debba necessariamente avere a che fare con me, quindi siamo apposto così"
Odiavo le doppie facce, poco m'importava del rapporto che avessero deciso di mantenere tra loro, io non volevo averne alcuno.
"Vabbè, facciamo una partita alla play" propose il mio lui per calmare le acque.
Mi sedetti con loro sul divano beccandomi uno sguardo contrariato.
"Che fai qui? Torna ai fornelli, questo non ti compete"
Era serio?
"Non ti smentisci mai Nahuel. Per tua sfortuna non ho intenzione di farlo, passami un joystick"
Amavo le sfide, amavo combattere i pregiudizi, e quale migliore occasione di quella?
"Ti faccio il culo ragazzina"
Certo, poteva contarci.
Afferrai una matita dal porta penne che tenevamo sul tavolino, intrecciai i capelli e la usai per fissarli in una specie di chignon disordinato, poi schiacciai il tasto "start" e iniziammo la partita.
Non m'impegnai nemmeno per batterlo, 18 a 6 per me, era davvero mediocre.
"Come hai fatto, non hai mai giocato!" esclamò il mio lui.
Era a dir poco allibito, non se l'aspettava.
Non conosceva proprio tutte le mie doti.
"Non l'ho mai fatto con te"
La verità era che io e Fabio adoravamo passare il poco tempo che dedicavamo nello stare insieme così, era l'unica cosa che ci legava, forse perché entrambi avevamo talmente tanto bisogno di sentirci superiori all'altro che ci affidavamo a uno stupido gioco per decretare chi fosse il migliore.
Poi pranzammo tranquillamente, soltanto dopo aver specificato che aveva preparato Pau e non io.
In realtà lo avevamo fatto insieme, ma avevo bisogno di dargli una forte lezione morale.
Con il passare dei minuti quasi iniziai a tollerarlo ma nel momento in cui faceva qualche mossa a me familiare i ricordi tornavano ad attanagliarmi la mente e subito avvertivo quella sensazione d'inadeguatezza, la stessa di quella volta.
Ci fu un momento però in cui desiderai davvero castrarlo..
Quando il mio ragazzo venne chiamato al cellulare dal suo agente per una questione urgente e dovette spostarsi io e lui restammo da soli.
Ciò che mi lasciò basita fu che non esitò un secondo ad allungarsi quando lo vide scomparire dietro la porta della nostra stanza.
Viscido, era l'aggettivo perfetto per descriverlo.
"Hai un culo meraviglioso"
Non potevo sopportare le sue mani su di me, il suo fiato sul mio collo, mi faceva schifo.
"Sei sempre il solito pezzo di merda, se non ti allontani immediatamente ti becchi una denuncia in meno di un secondo, sappi che abbiamo telecamere ovunque"
Con quale coraggio fui in grado d'inventare una baggianata simile non saprei dirlo, fatto sta che si allontanò con la stessa velocità con cui ci aveva provato.
Non ne feci mai parola con Paulo, custodii quel segreto come fosse il più intimo, che non si rivelerebbe nemmeno nel purgatorio davanti a Dio come garanzia per accedere al paradiso.
Avrei preferito andare all'inferno piuttosto che ammettere cosa fosse successo, forse più a me stessa che a chiunque altro.
Quella si rivelò essere una delle giornate più difficili della mia vita, assolutamente dieci volte peggio del previsto dato come si stavano mettendo le cose.
"Vuoi un po' di gelato?" mi domandò quando fummo finalmente soli.
Sorrisi, anche se non era periodo ne aveva sempre un po' nel congelatore per i momenti in cui mangiarlo era l'unica soluzione per combattere lo stress e la tristezza.
"Sì, grazie"
Allora andò a prenderlo e tornò con una grande coppa dentro la quale c'erano infilati due cucchiai, uno grande e uno piccolo.
Non potei credere ai miei occhi, si era ricordato..
"Comunque ho da dirti due cose: la prima è che anche io come tutti gli esseri umani ho le posate in casa quindi non c'era bisogno le portassi tu, la seconda invece è che mangio il gelato con il cucchiaio da minestra e non quello da dolce" dissi alzandomi poi recuperarlo dalla mia credenza.
Era qualcosa di più forte di me, non riuscivo ad utilizzare quello piccolo, il mio cervello disapprovava completamente.
"Imparerò per la prossima volta, ora però mangiamo che ho una fame da lupi"
Incredibile..
"Dobbiamo iniziare a prepararci, dobbiamo esser lì per le 20"
Oh mamma, di già, volevo piangere.
"Sei tu a metterci cinquecento ore, a me bastano pochi minuti" il che non era assolutamente vero, si trattava di un vano tentativo per dirgli che non avevo ancora voglia di pensarci.
"Pensavo di fare un pisolino per rilassare i nervi, ti dispiace?"
"No, tranquilla" e mi lasciò andare, soltanto dopo avermi baciato la guancia però.
Mi addormentai, sperando di sognare fate e unicorni, ma una volta svegliata dalle sue dolci carezze fu come se avessi visto il buio per un paio di secondi e fossi tornata alla vita di sempre subito dopo.
A poco mi era servito, forse soltanto a non torturare il mio cervello per il doppio del tempo, ma a divagare non ero affatto riuscita.
"Vabbè, mi sa che è arrivata l'ora, corro ad acconciare i capelli"
Che poi non avevo in mente di fare nulla d'impegnativo, semplicemente gli girai con il ferro in modo che dei morbidi boccoli ricadessero sulle mie spalle.
Mi feci aiutare a chiudere la zip del vestito e gentilmente si prodigò a mettermi collana ed orecchini poiché i muscoli delle spalle erano ancora contratti e doloranti.
"Sei pronta?" chiese ma non risposi nemmeno.
Non lo ero affatto, ad ogni modo andava bene così.
Avevo passato una vita intera a scappare dalle mie paure, era ora che la smettessi.
Arrivammo in men che non si dica davanti la loro maestosa villa perfettamente illuminata e addobbata per l'evento, si poteva udire la musica sin dall'esterno, ma loro non avevano problemi con i vicini, qualunque cosa facessero andava sempre bene a tutti.
"Mi hai promesso che proverai a divertirti"
E lo avrei fatto, ma non poteva pretendere che iniziassi subito.
All'entrata non ci fu nemmeno bisogno di controllare i nostri nomi sulla lista, ci venne detto che eravamo gli ospiti d'onore, erano davvero dei lecchini provetti.
"Poi, se ci annoiamo possiamo sempre appartarci in un bagno" propose.
"Mi sembra un'ottima idea"
La prima cosa che feci non appena arrivata in sala fu correre verso il tavolo degli alcolici e recuperare un whisky sour, non mi piaceva per niente ma era il più forte che avessero dunque perfetto.
"Tu farai l'astemio come al solito?" odiavo il fatto che non potesse bere con me, mi faceva quasi sentire sola.
"No, questa volta prendo qualcosa, la situazione è troppo dura anche per me"
Se stava davvero per mandare giù dei bicchieri di champagne significava che si sentiva veramente fuori luogo.
"Signorina Eva" mi sentii richiamare.
Mi voltai varie volte ma non notai nessuno, soltanto dopo qualche secondo mi accorsi che lì vicino a me, più in basso di dove stessi guardando, c'era il mio scricciolo.
"Jessica, piccolina" la salutai chinandomi immediatamente per arrivare alla sua altezza.
"Ti ho riconosciuta subito, ho visto anche il signore" e indicò la mia persona preferita al mondo subito dopo di lei.
"Sì, si chiama Paulo ed è il mio fidanzato" glielo presentai.
Quando lo vidi imitarmi nel gesto che avevo compiuto poco prima e porgerle la mano, che anziché stringere schiaffeggiò come per dargli il cinque, il mio cuore fece un balzo.
Era stupendo vederli insieme, se ne avessimo avuto l'opportunità sarebbe stato un patrigno stupendo.
"Venite a giocare con me?" ci chiese e come avremmo potuto rifiutare?
Ci afferrò per i vestiti trascinandoci verso le scale, quelle così odiate che per fortuna avevo dovuto salire poche volte per raggiungere la sala d'affari di mio padre.
"Questa è la mia camera"
Ci fece entrare in quella che pareva essere una suite presidenziale del miglior hotel di lusso.
Ma.. in che senso sua?
"Tu vivi qui? Con i nonni?" le domandai.
"Sì, io mamma e papà" rispose semplicemente e con una tale innocenza prima d'iniziare a correre e ridere perché da giù era partita quella che diceva essere la sua canzone e preferita.
Quindi mi avevano preso per il culo tutto il tempo, erano sempre insieme, non era vero che Jo al tempo volle i suoi spazi.
Ecco perché quando gli chiesi di rimanere nel vecchio appartamento anziché trasferirmi con loro non obbiettarono com'ero certa avrebbero fatto, dovevano prendere mio fratello sotto la loro ala protettiva, e io giustamente non avrei potuto vivere sotto lo stesso tetto di mia figlia.
Dovettero prendere una decisione e come al solito scelsero lui, palese.
Ci accomodammo a terra con le gambe incrociate e insistette affinché imparassimo una filastrocca che le avevano insegnato all'asilo perciò con tanta pazienza ci provammo.
Continuammo così per un po', almeno finché non venimmo interrotti..
"Che ci fate voi qui? Jess, vieni via"
Antipatica come al solito, non potevo godermi nemmeno qualche secondo con lei.
"Ma mamma, i tuoi amici sono tanto simpatici" non la fece parlare però, le parve più facile tirarle uno schiaffo e urlarle contro: "sai che non devi contraddirmi".
"Come cazzo ti permetti!" scattai in piedi e fui sul punto di attaccarla se non fosse che la bambina venne ad abbracciarmi.
Strinse così forte le mia gambe che non fui in grado di allontanarla.
Si sentiva bene con me, si sentiva a casa, ma nessuno sembrava capirlo.
Volevano condannarla alla stessa vita di merda a cui avevano costretto me, non glielo avrei permesso.
La strattonò per il braccio e la portò via lasciando me e Paulo da soli.
"Odio questo atteggiamento e odio non poter fare nulla"
Mi rintanai tra le sue braccia sperando che il suo calore potesse curare le mie ferite che parevano allargarsi sempre di più.
"Non preoccuparti, ce la faremo, io con te e nessun altro tra le palle, te lo giuro"
Volli credergli perché altrimenti non ne sarei uscita indenne, e poi lo amavo così tanto che non potevo permettermi di non fidarmi.
Tornammo giù giusto in tempo per il taglio della torta, non si capì perché dato che si trattava di una serata di beneficienza e non di un compleanno, che ci venne immediatamente servita dai camerieri con del Pinot Bianco.
Non mangiai, bevvi soltanto, avevo una gran voglia di distruggermi lo stomaco.
Scappammo via appena potemmo, non ero intenzionata a trattenermi a lungo in quel luogo così deleterio per me, ma ad un paio di isolati di distanza dal nostro palazzo iniziai a sentirmi male.
Persi il controllo degli impulsi, non ero in grado di fare un discorso di senso compiuto.
Mi resi conto di quello che stava succedendo ma era come se il mio corpo fosse chiuso in una bolla e io mi stessi guardando da fuori.
Paulo si allarmò e tutto ciò che riuscii a comprendere di quello che accadde poco dopo furono tante luci, la scritta pronto soccorso e qualcuno che mi prese in braccio posandomi poi su qualcosa di morbido.
Subito dopo buio, totale.

Él ||Paulo DybalaHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin