Sornione

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27 gennaio 2016

Il così tanto atteso momento di andarlo a vedere giocare allo Juventus Stadium era finalmente arrivato.
Juve-Inter, girone d'andata semifinale di coppa Italia, proprio come avevamo concordato.
Era eccitato all'idea che fossi lì, che avrebbe potuto rivolgermi uno sguardo ogni volta che ne avrebbe avuto bisogno, io ero piena d'ansia invece, non sapevo come comportarmi e mi sentivo estremamente a disagio.
Mi aveva messa in tribuna d'onore, a un passo dal ristorante, con vicine tutte le amate compagne dei suoi colleghi.
Panico e terrore.
Avrò detto "Piacere Eva" una ventina di volte e ne impiegai altrettante per rispondere alla domanda "chi sei? Non ti ho mai vista qui" con "la ragazza di Paulo" per poi venire sbaciucchiata due secondi dopo.
"Pau ha parlato tanto di te a..", "sembri davvero simpatica", "sei veramente stupenda, complimenti" e chi più ne ha più ne metta.
Ero abbastanza in imbarazzo, per loro però, che sembravano così scialbe e finte buoniste, anzi probabilmente si sforzavano di esserlo per apparire la donna perfetta che il calciatore deve da stereotipo avere accanto, il che mi faceva ancora più pena.
Per fortuna arrivò Alice a salvarmi da quella mandria.
"Quanto è stato shoccante da uno a dieci?" chiese.
"Dodici"
E non stavo esagerando.
"Non sono così male dopotutto, si comportano in questa maniera solo in contesti del genere, a casa in realtà sono spontanee"
Ci mancherebbe anche, se si fossero comportate così in casa loro ci sarebbe stato un serio problema di fondo.
"Lo capirai quando t'inviteranno a cena" sgranai gli occhi.
No, non sarebbe successo.
"Io vengo a passare la serata solo da voi, che sono abbastanza certa non mi avvelenereste mai, nemmeno per sbaglio"
Okay, forse iniziavo ad essere un po' too much.
Non avevo nulla contro di loro, semplicemente non amavo stare con le persone per cortesia quando in realtà a pelle non m'ispiravano amicizia.
Brutto da dire ma non lasciavo spazio a seconde occasioni, se lo facevo era perché in realtà avevo già colto qualcosa dalla prima, ma con loro sinceramente..
"Va bene dai, concentriamoci sul match"
Ecco sì, forse meglio.
Fondamentalmente non capii molto, ero abbastanza confusa e quando mi annoiavo capitava di perdermi tra i pensieri deconcentrandomi completamente, e in quel caso lo ero, annoiata.
Per carità non glielo avrei mai detto, infondo si trattava di lui dunque star lì a non far nulla mi andava più che bene.
Lo guardai con attenzione durante l'inno della serie A, puntò i suoi occhi nei miei e accennò un sorriso senza scomporsi minimamente.
Era sempre così serio e corrucciato, mamma mia figlio mio, un po' di allegria, sù!
Però capivo il suo livello di concentrazione, era come quando dovevo prepararmi prima di un'esibizione, l'adrenalina, le aspettative per la performance portano a sembrar freddo e distaccato quando in realtà si ha una tempesta dentro.
Poi lo ammirai correre per 90 minuti, esultare per la doppietta del suo amato Alvaro, con la sua ragazza che scattò immediatamente in piedi al mio fianco entrambe le volte, ed esplodere di gioia quando al minuto 83 la mise dentro di mancino, suo classico, sempre una sentenza.
Corse con le braccia aperte, come un uccello che sorvola il panorama mondiale sentendosi libero, felice, spensierato, come se nulla di brutto potesse accadergli.
E io me lo auguravo, che non gli succedesse davvero mai, aveva già dovuto sopportare abbastanza.
Al triplice fischio mi fece un cenno col capo, quasi a chiedermi se fosse tutto apposto, poi sorrise e io prontamente ricambiai.
Lo schermo del cellulare s'illuminò ma prima di controllare la notifica restai qualche secondo ad osservare la velocità con la quale gli spalti si svuotarono rivelando al le splendide e minuziose decorazioni delle tribune.
Da Paulo, 22:38 p.m. :
"Dopo aver percorso il ristorante gira a sinistra, scendi le scale, mostra il pass al vigilante e vai sempre dritta. Mi faccio trovare lì il prima possibile"
Il mio google maps preferito.
Cercai di seguire scrupolosamente le istruzioni, anche perché il rischio di perdermi e finire nei depositi era altissimo svampita com'ero.
"Qui non si passa" m'intimò l'omone con il giubbotto catarifrangente posato contro una transenna dietro la quale potevo scorgere dei salottini bianchi.
Dopo aver visto il foglietto di carta plastificato, però, mi diede il via libera, mi sentii anche un po' troppo osservata a dire il vero.
Abbandonai il pensiero che si sostituì immediatamente con la domanda: "Bene, ora che faccio?" quando notai dei ragazzi in giacca e cravatta seduti.
Mi sarei dovuta accomodare anch'io? Beh, non volevo aspettare in piedi perciò, sotto i loro sguardi sospettosi, lo feci sperando che il mio uomo arrivasse presto.
"Ciao pardon, tu sei Eva per caso?"
Ah, quindi mi conoscevano letteralmente tutti?
"Ciao, sì sono io"
"Oh lala, enchantè, je suis Paul, Pogba" e mi porse la mano che con un caloroso sorriso strinsi.
Sapevo chi fosse ma non lo avevo minimamente riconosciuto tanto ero confusa e agitata, forse dovevo calmarmi, erano solo i suoi amici.
"Io invece sono Leonardo, tanto piacere cara"
Bonucci, certo! Il marito di Martina, l'unica che mi sembrava normale a dire il vero.
L'avevo conosciuta una sera quando uscendo da un ristorante a pranzo finito ci scontrammo per caso, era con due bambini molto dolci, uno dei quali ancora molto piccolo.
Pareva molto gentile e disponibile, ecco forse a cena da loro ci sarei andata volentieri.
"Dybala a casa è un rompi coglioni tanto quanto lo è qui?" intervenne il difensore per fare conversazione.
"Guarda, a dire il vero penso lo sia almeno dieci volte di più"
Risero entrambi.
Ero lì da un po' e ancora non ero stata mangiata da nessuno, contro tutte le mie aspettative, mica male.
Ogni volta che arrivava qualcun altro della rosa i due, gentilissimi, esordivano presentandomi, cosa che avrebbe dovuto fare Paulo se solo non fosse stato inghiottito da chissà quale buco nero.
"Ma è sempre in ritardo o lo sta facendo di proposito perché sa che ci sono io?" no perché iniziavo seriamente a credere che mi stesse prendendo per il culo.
"Le interviste a coloro che hanno sbloccato la partita di solito durano di più, ma ti assicuro che lui ci mette del suo"
Ottimo, conoscendo quanto fosse logorroico non ci saremmo sbrigati mai.
"Nena perdonami, non mi uccidere, giuro che ho fatto del mio meglio per esser veloce"
All'alba delle 23:22 finalmente si fece vivo, salutò tutti e mi prese per mano conducendomi verso l'uscita.
"Allora? Che ne pensi?" era ansioso di ricevere il mio feedback, come fosse più importante di quello del suo allenatore o di un vero esperto in materia.
Forse perché effettivamente per lui lo era, il che mi riempiva davvero il cuore.
"Che sono veramente orgogliosa te lo ripeto in continuazione, sei stato super bravo piccolo Pau" gli afferrai il volto con entrambe le mani e gli lasciai un bacino prima sulla punta del naso, poi sulle labbra facendolo sorridere talmente tanto che gli venne una minuscola fossetta che non avevo mai visto prima.
"E tu sei troppo dolce, che ti succede? Esci da questo corpo!" urlò scuotendomi nel vano tentativo di esorcizzarmi.
Non avrebbe funzionato, no, ero troppo contenta quella tarda sera.
Alcuni di loro andarono via con il pullman, altri con la famiglia, lui venne in auto con me.
Dopo aver deciso se e dove andare a mangiare qualcosa, dato che seppur fosse quasi mezzanotte stavamo morendo di fame, restammo in completo silenzio per tutto il resto del viaggio.
Eravamo stanchi, ci sentivamo senza forze, ma riuscivamo comunque a comunicare con i sospiri, con gli sguardi, e se ci concentravamo bene potevamo addirittura udire il battito sincronizzato dei nostri cuori.
Arrivati davanti Spazio 7, i quali proprietari ci avevano fatto il favore di restare aperti oltre l'orario di chiusura, ci lasciammo avvolgere dal gelo della città, quasi piacevole e rigenerante per due corpi esausti.
Poche cose mi facevano sentire viva, una di quelle era il vento freddo in faccia, a scompigliare i capelli e far arrossare naso e orecchie.
Lui entrò immediatamente mentre io restai ancora qualche secondo a bearmi della brezza guardando il prospetto del lussuoso locale.
"Ci venivo spesso qui con i miei" gli dissi quando ci accomodammo al tavolo.
Brutti ricordi in realtà ma oramai avevo preso l'abitudine di parlargli di tutto.
Non rispose, forse aspettava che continuassi, forse non sapeva come replicare, fatto sta che anziché comunicare con lui mi persi nei ricordi sconfortanti della miriade di serate passate a sentirmi inadeguata dinnanzi a cotanta arroganza.
Incontri d'affari gli chiamavano, in realtà si trattava di baratto forzato, minacce continue.
Quante volte avevo sentito "sai già cosa ti aspetta se ti rifiuti", accompagnato dal gesto del pollice che sfiora con lentezza la gola per tutta la sua lunghezza.
Mi rabbrividiva ancora dopo anni.
Quasi mi veniva da ridere, cosa si aspettassero da una ragazzina costretta ad assistere a ciò ancora non ero stata in grado di capirlo.
Di certo non un trauma, probabilmente perché con mio fratello era andato tutto bene, io però non ero come lui.
Mentre Paulo parlava dei tortelli di rombo, cime di rapa e ricci di mare iniziai ad avvertire una brutta sensazione attanagliarmi lo stomaco, come se sapessi di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Gli chiesi allora di andarmi a prendere le pillole in macchina pensando si trattasse di una sorta di crisi psicotica, non riuscivo a distinguere se i presentimenti fossero reali o provocati artificialmente dalla mia mente confusa.
Non capì cosa stesse succedendo e non mi preoccupai nemmeno di spiegarglielo, o meglio, lo avrei fatto una volta rientrato.
E poi successe l'inaspettato, mentre rispondevo ad una mail di lavoro, così per ammazzare il tempo e divagare, udii una voce fin troppo familiare.
"Principessa, che ne dici di venire qui a suonarci qualcosa?" 
Alzai il capo e loro erano lì, in piedi vicino al pianoforte della sala.
Continuava a fissarmi ma dopo svariati minuti mi accorsi che non ce l'aveva con me.
Distolse lo sguardo e lo rivolse verso il basso, allora da dietro le sue spalle spuntò lei, vestita di tutto punto, sorridente, che rispose: "Sii nonno, che bello!"
Non riuscii ad appigliarmi a nessuna delle mie forze, probabilmente perché in quel momento sapevo di non averne, una lacrima rigò il mio volto e il mento iniziò a tremarmi.
Poi il mio lui rientrò, guardò prima verso i nuovi ospiti e nemmeno un secondo dopo i suoi occhi guizzarono su di me per accertarsi che stessi bene.
Ma no... come avrei potuto?
"Che cazzo ci fanno qui?" domandò immediatamente quando tornò vicino a me.
"Non lo so" risposi flebilmente.
"Mi avranno pedinata per tutto questo tempo, ti ho sempre detto che sono delle merde ma non mi sono mai preoccupata di raccontarti dei loro sporchi inciuci, sono capaci di qualsiasi cosa"
Non ci avevo pensato, tra la denuncia, il processo che sarebbe arrivato a breve, era ovvio lo facessero, com'era prevedibile che avrebbero violato l'ordine restrittivo che gli avevamo fatto imporre.
Avrei dovuto saperlo che non gliene sarebbe minimamente interessato.
"Ragazzi, che gioia immensa vedervi qui"
Non potevo crederci, lo stava facendo sul serio.
Scossi il capo con disperazione quasi pregandolo di fermarsi, di non andare avanti.
"Tesoro vieni qui, ti presento una nostra amica"
No, lei non andava messa in mezzo.
Arrivò vicino alle mie ginocchia, inciampò leggermente perciò fu costretta ad appoggiarsi alla mia gamba.
Fu l'emozione più forte mai provata in vita mia, forse addirittura più di quando la misi al mondo quattro anni prima.
"Ciao signorina, mi chiamo Jessica" sventolò la sua manina paffutella a un palmo dal mio naso.
"Ciao, io sono Eva"
Forse le parsi fredda, distaccata, ma non riuscivo purtroppo a far altro che non fosse rimanere immobile.
Era un vero shock per me.
"Sei molto bella" e fece l'unica cosa che non avrei mai voluto.
Si mise sulla punta dei piedi e tese le braccia per accarezzarmi il volto, come se fossi la cosa più interessante che avesse mai visto.
Ero certa sentisse il profondo legame che ci univa, almeno quanto lo sentivo io, ma così mi stava distruggendo.
Poi, con una scioltezza che solo i bambini possiedono, corse verso il piano e iniziò a suonare "Per Elisa", era a dir poco divina per la sua età.
Paulo mi afferrò una mano e tentò invano di tranquillizzarmi, quando lo guardai mi accorsi che anche lui aveva gli occhi lucidi, era incredibile come fosse realmente coinvolto, lo avevo davvero tirato dentro fino in fondo, e fu in quell'istante che capii che nemmeno lui ne sarebbe più uscito.
Mi maledii per averlo fatto, non meritava quella sofferenza, sapevo bene cosa significasse farsene carico e non era per nulla piacevole.
"È proprio figlia di sua madre" esordii Jonathan.
"Sì, lo so bene" risposi schietta.
Vidi sua moglie affranta, lui che tentava di consolarla, stavano scherzando? Ipocriti.
"Senti, non puoi portarcela via così" disse.
Che intenzioni avevano?
"Così come? Vogliamo ricordarci del modo atroce con cui me l'avete strappata dalla braccia? Perché fate finta che non sia mai successo? Avete avuto i vostri momenti di gloria, adesso rivoglio ciò che è mio"
Non mi sarei fermata, mai e poi mai.
"Tu sei fuori di testa, come lo eri quando hai partorito, non è cambiato nulla! La bambina è cresciuta con noi, siamo i suoi genitori, e ci sentiamo già abbastanza in colpa per non poterle regalare un fratellino con cui giocare e crescere" continuò ad urlare Rita.
Un attimo..
Avevo appena scoperto il punto debole della coppia, non potevano avere figli, quindi tentavano di tenersi la mia.
"Siete spregevoli, arrivare a perseguitarmi per chiedermi l'elemosina perché non avete altra via d'uscita"
Sapevano che tutto sarebbe andato a gonfie vele, che avrei vinto la causa, ed era proprio quello il motivo del loro gesto, altrimenti avrebbero mandato qualcun altro, non si sarebbero presentati, non erano bravi negli affronti.
"Okay, smettiamola" intervenne il boss.
"Mamma dov'è? L'avete chiusa nello sgabuzzino perché non vi ascoltava?" mi alzai in piedi avvicinandomi così tanto che dovette fare un passo indietro.
Sapevo che lei non glielo avrebbe mai permesso, infondo era solo succube, il suo unico difetto era non avere il coraggio di ribellarsi.
"Sei consapevole che scavando troveranno tutta la tua merda, ti stai cagando in mano lurido bastardo"
Non lo avessi mai detto.
"Stupida ragazzina, ti ho detto di smetterla" mi si lanciò addosso attorcigliando la sua mano callosa attorno al mio collo.
Per fortuna non fece in tempo a stringere dato che Paulo scattò verso di lui dandogli uno spintone, più forte di quanto immaginassi.
Menomale che c'era lui a pararmi il culo, non ce l'avrei fatta da sola, per quanto sembrassi forte nell'uso della parola quando si trattava dei fatti non era così, almeno con mio padre, che aveva la capacità d'intimorirmi talmente tanto da non farmi minimamente ragionare.
"Non la toccare mai più altrimenti ti spacco la faccia, hai capito?" lo afferrò per il colletto della giacca e lo strattono svariate volte.
Lo vidi ritrarsi, abbassare lo sguardo..
Wow, il Signor Benedetti che si faceva mettere all'angolo da un ragazzino?
Aveva paura, era cosciente che Dybala se avesse voluto lo avrebbe distrutto, e visto come si erano messe le cose preferì tirarsi indietro.
Stavamo vincendo, passo dopo passo.
"Facciamo una cosa, mettiamo tutto da parte, venite al nostro evento di beneficienza domenica, un'asta per salvaguardare l'estinzione degli orsi polari"
Istintivamente risi.
Peccato che avrebbero venduto cose misere e svalutate, facendole passare per oggetti dall'enorme valore, per poi incassare il denaro e riutilizzarlo, altro che donazione.
Era la trentesima volta che inscenavano quella farsa, eppure nessuno se ne accorgeva, oppure semplicemente fingevano di non farlo.
Uscirono dal locale senza ascoltare repliche, senza curarsi della nostra opinione, come sempre.
La piccola fu l'unica a rivolgermi un sorriso prima di abbandonarci, un sorriso di cui mi cibai per giorni con la consapevolezza che probabilmente non ce ne sarebbero stati altri.
"Torniamo a casa, forza" ma non accennai ad alzarmi da quella sedia.
La sua unica opzione dunque fu sfilarmi le chiavi dalla borsa e prendermi in braccio, trascinandomi così fino all'auto dove mi fece accomodare sul sedile del passeggero.
Mi raggomitolai su me stessa cercando di memorizzare la sua vocina, il suo sguardo ma soprattutto il suo tocco dolce in modo che rimanessero per sempre impressi nel mio cervello, nei miei ricordi.
Allo stesso modo mi prese una volta arrivati davanti al condominio, mi condusse nel nostro appartamento aiutandomi a spogliarmi e infilare il pigiama, poi si stese nel letto al mio fianco. Non mi attirò a sé, non mi strinse, l'unica cosa che fece fu guardarmi e dire: "Non ci andremo se non vorrai, ma devi lottare per tua figlia e sicuramente sarà lì quella sera, potrai parlarci, farle capire che la ami"
All'inizio ero titubante, molto, ma non potei che dargli ragione, era la mia occasione.
Mi lasciò un tenero bacio sulla fronte, poi si girò dandomi le spalle mentre ero intenta a mandare giù cinque pasticche per riuscire quantomeno a passare la notte.
Aspettai che si addormentasse e quando il suo respirò divenne più lento e regolare scoppiai in un pianto rotto, silenzioso, fino a che Morfeo non prese me e la mia valanga di lacrime tra le sue braccia.

Él ||Paulo DybalaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant